A Wall Street tornano gli «Orsi»
se il sentiment è troppo positivo
Cari amici,
Era da tempo che non leggevo un articolo di questo tenore sul Sole 24 ore.
Precisamente, da quando i valori di borsa sono crollati, gli articoli sul cosiddetto “sentiment” degli operatori erano scomparsi e sostituiti da proclami sull’ efficienza e sulla ripresa imminente.
Spero che questo sia un segnale di “normalità”, dal punto di vista delle quotazioni di borsa, ma nello stesso tempo mi stupisco di quanto ancora si voglia “credere” in questo sistema.
Ancora si vuole credere contro ogni logica che il valore finanziario si possa “creare” dall’ incontro della domanda e dell’ offerta.
Ancora si vuole credere che i bilanci redatti con criteri di valore di scambiano possano essere veritieri e corrispondenti alla realtà economica sottostante.
Ancora si vuole credere che si possa prevedere il futuro economico, anticipandolo nello scambio di titoli finanziari.
Questo concetti erano assurdi quando si credeva che i valori di borsa potessero crescere all’ infinito, e rimangono assurdi anche oggi, quando, a mio giudizio, dovrebbe essere evidente che non si può misurare l’ economia con le logiche di mercato.
Non si creda che la crisi sia passata!
Gli equilibri finanziari costituiti dagli scambi valutari sono sempre più precari, e se non si troveranno delle soluzioni, prima o poi saranno travolti.
Spero che i nostri politici abbiano il coraggio di cercare e di trovare nuovi riferimenti economici, che possano redistribuire il valore finanziario disponibile con criteri di equità e di giustizia.
Non possiamo restare a guardare inermi un mondo economico sempre più autoreferenziale e distaccato dalla realtà politica e sociale sottostante che coinvolge la stragrande maggioranza della popolazione.
Il sole 24 ore (di Vittorio Carlini)
Il «troppo…stroppia». Il vecchio adagio potrebbe essere utilizzato per analizzare gli umori che aleggiano in quel di Wall Street. La scorsa settimana, l’Investors Intelligence Advisors Sentiment index, che misura il sentiment di circa 150 newsletter di investimento e altrettanti consulenti, ha dato un segnale inequivocabile: il 51,6% degli esperti è positivo rispetto all’andamento futuro della Borsa. Il livello più alto dal dicembre 2007. Chi invece ha un sentiment “Orso” è solo il 19,8% degli operatori: una valore, quello al di sotto del 20%, che non si era più raggiunto dall’ottobre del 2007. Un mese in cui, vale la pena ricordarlo, l’s&P500 aveva toccato un suo massimo per poi scivolare per 17 mesi consecutivi.
Si potrebbe dire: e allora, che cosa significa questo dato? La maggioranza degli investitori vedono ancora bene l’evolversi della situazione. Tutto è ok. In realtà, le cose non stanno proprio così. Proprio questa settimana, come riporta Market Watch, Mary Ann Bartels, analista di Bank of America, ha sottolineato che bisogna fare attenzione alla rottura della soglia del 20% delle previsioni “Orso”. È un fatto da interpretare come un segnale che i listini stanno raggiungendo un massimo intermedio. Un’impostazione, quella di Ann Bartels, che non deve troppo stupire: spesso, infatti, gli analisti usano le misure dei sentiment in un’ottica contrarian. Vale a dire: quando l’ottimismo è salito troppo è probabile – pensano – che le quotazioni di Borsa ritraccino; viceversa, quando il pessimismo è alle stelle, allora può essere l’occasione di ripartire.
Di solito, infatti, nei momenti in cui gli operatori hanno in massa una visione “Toro”, le cose funzionano bene, un fiume di liquidità si è già spostata dai risparmi degli investitori verso le Borse. Con la conseguenza, spesso, che il propellente per ulteriori salite incomincia a scarseggiare. «Un così forte sentiment positivo – dice John Gray, di Investor Intelligence -, vuole dire che i consulenti hanno cosigliato ai loro clienti di comprare, riducendo la liquidità». E a questo punto, diventa rischioso, prendere posizione.
Che le incertezze non manchino è, peraltro, dimostrato dai molti dubbi degli investitori sul rally del settore bancario. Non si tratta tanto, o almeno non in particolare, di valutare i fondamentali degli istituti. In realtà, è un sentiment “enigmatico” rispetto ad un comparto dove i fallimenti continuano a succedersi e dove le autorità americane stanno abbassando i requisiti rispetto all’identikit dei cavalieri bianchi. La Federal Deposit Insurance Corporation (Fdic), infatti, fino ad ora ha permesso la vendita delle banche (fallite) ad altre istituzioni bancarie soggette a rigide norme federali, soprattuto in materia di prestiti e di leverage. Ma il continuo aumentare dei fallimenti (potrebbero – secondo alcune stime- arrivare fino a 200 a causa della crisi) ha indotto, la Fdic a votare una riforma nel sistema: gli acquirenti potranno essere anche i private equity con un capital ratio solo del 10%, rispetto alle richieste di molti esperti di una percentuale del 15%. Una scelta, che se non realizzata nei corretti termini, potrebbe creare non poche difficoltà. È chiaro che, in questa situazione, l’incertezza potrebbe farla da padrona. E in un mercato dove gli aspetti psicologici sono, in questo momento, essenziali il semplice cambiamento di sentiment avrebbe conseguenza sui listini. Il che non vuol dire che torneremmo a rischiare “l’armageddon” di metà settembre 2007. Semplicemente, Wall Street potrebbe fare dei passi indietro.
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