A proposito dei voucher in condominio, se il condominio non si avvale di intermediari o contratti di appalto o somministrazione preferendo affidare direttamente ai lavoratori l’esecuzione, ad esempio (della pulizie delle scale, della conduzione del giardino, di lavori di manutenzione ordinaria all’edificio), al medesimo, la legislazione consente di far ricorso al lavoro accessorio, compensando i prestatori utilizzati con i voucher senza superare il limite di 7.000 euro netti nell’ anno solare.
Definizione.
La disciplina del lavoro accessorio è stata introdotta nel 2003 ed è nota come “Legge Biagi”.
E’ una tipologia contrattuale atipica rispetto ai comuni rapporti di lavoro subordinato e parasubordinato e prescinde dalle altre caratteristiche usualmente esistenti nel rapporto di lavoro.
Il Legislatore ha inteso intervenire modulando e semplificando quel rapporto di lavoro e collaborazione che era definito ed individuato come prestazione occasionale.
In particolare ha chiarito incontrovertibilmente quando si è in presenza di una prestazione lavorativa “occasionale”.
Il lavoro accessorio non è un rapporto di lavoro né subordinato, né autonomo, ma una semplice attività lavorativa il cui carattere occasionale è definito dall’entità del compenso erogato al lavoratore.
La disciplina attuale.
Oggi, l’estensione dell’utilizzo dei voucher legati al ricorso al lavoro accessorio sta assumendo dimensioni notevoli anche al di là delle intenzioni del legislatore.
Il quale, tuttavia, sia con la riforma Fornero del 2012 (legge 92/2012), sia con quella del Job Act del 2015 (D.Lgs. 81/2015), ha sostanzialmente liberalizzato questa tipologia lavorativa.
Per questo il Ministero del lavoro e l’Inps hanno da ultimo cercato di introdurre dei vincoli più stringenti non tanto nei presupposti, quanto nelle modalità procedimentali per acquisire i buoni.
Il compenso.
Ciò che rende del tutto peculiare le prestazioni di lavoro accessorio è la modalità di pagamento del compenso.
I voucher (buoni lavoro), che il committente deve preventivamente acquistare presso rivenditori autorizzati (sedi INPS, banche, uffici postali, tabaccai), verranno consegnati al prestatore una volta terminata la sua attività.
Successivamente, il prestatore potrà successivamente presentarsi per l’incasso presso uno dei concessionari del servizio.
Con l’avvicinarsi delle dichiarazioni reddituali da rendere al Fisco, risulta fondamentale capire quali sono i redditi percepiti lo scorso anno che non vanno indicati nei predetti modelli in quanto esenti da qualsiasi imposizione fiscale.
Nell’alveo di tali redditi possiamo sicuramente includere le prestazioni di lavoro accessorio, ossia quelle attività compensate con i voucher (art. 48 del D.Lgs. n. 81/2015), ma anche gli importi percepiti a titolo di TFR.
Voucher e condominio
L’esclusione di tali somme dal reddito complessivo imponibile del lavoratore, è confermata all’art. 49, co. 4 del D.Lgs. n. 81/2015, il quale stabilisce quanto segue:
“Il compenso è esente da qualsiasi imposizione fiscale e non incide sullo stato di disoccupato o inoccupato del prestatore di lavoro accessorio”.
E non solo.
I compensi così percepiti, non concorrono neanche alla soglia dei 2.840,51 euro per essere considerati familiari a carico. Ciò significa che se per esempio un figlio ha ricevuto nel periodo d’imposta 2015 voucher per 3.500 euro, al padre spetta comunque la detrazione per familiari a carico.
Si ricorda che dal 25 giugno 2015, il limite economico massimo percepibile dal prestatore di lavoro è passato da 5.000 euro a 7.000 euro (lordo € 9.333), con riferimento alla totalità dei committenti, nel corso di un anno civile (1° gennaio – 31 dicembre).
Mentre la prestazione resa nei confronti di ciascun imprenditore commerciale o professionista, fermo restando il limite dei 7.000 euro annui, non può comunque superare i € 2.000 (€ 2.020 per l’anno 2015, ossia 2.693 euro lordi).
Dunque, i committenti dovranno stare particolarmente attenti a non far superare al lavoratore il predetto limite, poiché, in caso contrario, scatterebbe la trasformazione in un contratto a tempo indeterminato.
È bene, quindi, che il committente si faccia rilasciare dal lavoratore un’autodichiarazione dove indichi i compensi già ricevuti durante l’anno.
Ma se i voucher sono completamente esentasse, come si giustifica la variazione dal lordo al netto? Ebbene, su un voucher di 10 euro lordi all’ora, al lavoratore ne rimangono 7,50 euro netti, in quanto:
- il 13% va all’INPS;
- il 7% all’INAIL;
- e 0,50 euro a titolo di rimborso spese per la gestione del servizio.
Lavoro occasionale accessorio
Il lavoro accessorio compensato con i voucher non deve essere confuso con il lavoro occasionale accessorio con ritenuta d’acconto.
Ossia le prestazioni d’opera dell’articolo 2222 C.c., che vanno tassati ai fini IRPEF come redditi diversi.
In particolare, si tratta di un’attività occasionale di lavoro autonomo senza vincolo di subordinazione, senza organizzazione di mezzi e senza esercizio abituale della professione.
Tali prestazioni hanno, quindi, carattere episodico e, essendo di natura autonoma, sono del tutto svincolate dalle esigenze di coordinamento con l’attività del committente (datore di lavoro).
Come previsto dal TUIR anche sui redditi prodotti attraverso le prestazioni occasionali è dovuta l’IRPEF.
Il Testo Unico sulle Imposte sui Redditi prevede, però, che fino a 4800 euro non siano dovute le tasse.
Più precisamente, la normativa prevede che fino a 4800 euro sia possibile emettere una ricevuta con ritenuta d’acconto per le prestazioni da lavoro occasionale.
Inoltre che fino a 5000 euro non siano dovuti contributi previdenziali all’INPS.
Quindi, in sede di presentazione della dichiarazione dei redditi, il contribuente che ha svolto prestazioni occasionali fino a 4.800 euro può portare a credito IRPEF le ritenute d’acconto precedentemente trattenute dal datore di lavoro sul compenso della prestazione.
TFR
Altro elemento retributivo che non va indicato in UNICO o 730 è il trattamento di fine rapporto (TFR).
In quanto è assoggettato alla tassazione separata anziché ordinaria.
Analogo ragionamento vale per tutte le altre indennità e somme percepite una tantum a seguito della cessazione dei rapporti di lavoro dipendente, come le indennità di preavviso.
I redditi ai quali si applica la tassazione separata viene già comunicata all’Agenzia da parte del datore di lavoro.
Per mezzo del modello di Certificazione unica, motivo per il quale non devono essere indicati in dichiarazione.
Differente è il caso in cui il lavoratore decidesse di ricevere parte del TFR direttamente in busta paga.
In questo caso, come previsto dall’art. 1, co. 26 della Legge 23 dicembre 2014, n. 190 (Legge di Stabilità 2015), la quota maturanda di cui all’articolo 2120 C.c. verrà assoggettata a tassazione ordinaria, anziché separata.
Pertanto l’importo maturato e pagato viene tassato a IRPEF assieme allo stipendio dal datore di lavoro.
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