In tema di usucapione in condominio, ossia di acquisto della proprietà di un bene in ragione del suo possesso nel tempo, anche l’amministratore di condominio può agire in giudizio.
Con il termine usucapione gli operatori del diritto fanno riferimento ad un modo di acquisto a titolo originario della proprietà e dei diritti reali di godimento.
In particolare la fattispecie si verifica in caso di possesso non vizioso e continuato per un determinato periodo di tempo, che varia a seconda della natura del bene posseduto.
Pertanto è necessario approfondire la nozione di possesso.
Nozione di possesso – Usucapione in condominio
A riguardo l’art. 1141 c.c. definisce possesso il potere sulla cosa, che si manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale.
Tale esercizio del possesso può essere diretto ed immediato, oppure essere esercitato per il tramite di un detentore.
In altre parole, chi esercita il possesso anche locando il bene immobile, può usucapirlo conteggiando il periodo anche quello esercitato da parte del conduttore.
Il tempo necessario a consentire l’acquisto della proprietà per usucapione è pari a 20 anni (salvo casi particolari in cui sono sufficienti solamente 10 anni, cfr. art. 1159 c.c.).
E’ bene precisare che, ai fini dell’usucapione, il possesso dell’immobile deve essere ultraventennale, pubblico, pacifico, non interrotto e continuo.
Pubblico, nel senso che dev’essere facilmente comprensibile a chiunque che l’usucapente stia possedendo il bene.
Pacifico, ossia che non esistano contestazioni inerenti il possesso.
A riguardo è utile ricordare che, in questo caso, la diffida e la messa in mora non costituiscono atti idonei ad interrompere i termini dell’usucapione (v. da ultimo Cass., sez. II, 19.06.2003, n. 9845; e Cass., sez. Il, 23.11.2001, n. 14.917).
Non interrotto e continuo, ossia il possesso, seppur non esercitato quotidianamente, dev’essere esercitato con continuità, che giustifichi l’esistenza dell’esercizio di tale situazione di fatto.
In ogni caso impediscono l’acquisizione per usucapione i così detti atti di tolleranza (art. 1144 c.c.).
La giurisprudenza, chiamata a darne una definizione, ha chiarito che possono essere considerati atti di tolleranza idonei a non far maturare il tempo necessario per l’usucapione tutti quei fatti che trovano giustificazione nello spirito di condiscendenza, nei rapporti di amicizia o di buon vicinato ed implicano una previsione di saltuarietà o di transitorietà (v. Cass., sez. II, 25.06.2004, n. 11871).
In questo caso spetta a chi invoca la tolleranza darne prova in giudizio (art. 2697 c.c.), in tutti i modi possibili a norma delle leggi processuali.
Usucapione in condominio
Un condominio, ossia l’insieme dei condomini che lo vanno a comporre, può reclamare l’usucapione di un bene in ragione del possesso prolungato, da parte della collettività, per più d’un ventennio?
Se sì, chi può reclamare, per il tramite di un’azione giudiziale di accertamento, l’avvenuta usucapione?
Quando in passato la Cassazione s’è trovata a rispondere a quesiti come quelli appena indicati, ha affermato che l’amministratore di un condominio non è legittimato, senza autorizzazione dell’assemblea, all’esperimento di azioni reali contro i singoli condomini o contro terzi dirette ad ottenere statuizioni relative alla titolarità o al contenuto di diritti su cose e parti dell’edificio.
A meno che questi non rientrino nel novero degli atti meramente conservativi.
(Nella fattispecie, la S.C. ha cassato senza rinvio la sentenza che aveva riconosciuto tale legittimazione in relazione all’azione proposta nei confronti di uno dei comproprietari che aveva aperto accessi nel cortile comune ai fini della rimessa di autovetture, in quanto tale azione, secondo la S.C., avrebbe inciso sulla condizione di un bene comune sottoposto a servitù) (Cass. 6 febbraio 2009 n. 3044).
È bene ricordare che l’accertamento dell’usucapione rientra nell’ambito delle azioni reali, come tale, quindi, soggetta al tentativo obbligatorio di conciliazione ex art. 5 d.lgs n. 28/2010.
Non sono mancate sentenze (si tratta di un orientamento minoritario) dalla quale lettura sembra emergere una totale impossibilità, per l’amministratore di portare avanti azioni reali a favore dei condomini (cfr. Cass. 24 novembre 2005 n. 24764).
Domanda di usucapione proposta dall’ amministratore
In una sentenza resa dal Tribunale di Trento, la n. 516 del 29 aprile 2014, si litigava proprio in relazione all’usucapione, da parte di un condominio, di alcune unità immobiliari (cantine e sottotetti) appartenenti a dei condomini.
Il Tribunale ha ritenuto fondata la domanda di usucapione proposta dall’amministratore di condominio in favore della compagine da lui amministrata.
Nel dispositivo della sentenza il giudice ha stabilito le quote di proprietà (tutte uguali) in capo ai singoli condomini.
Non è chiaro (visto che la sentenza è stata redatta in modo conciso nella parte relativa allo svolgimento del processo, in osservanza delle disposizioni processuali che lo consentono) se l’amministratore fosse dotato di delibera di autorizzazione a stare in giudizio o se avesse avuto specifico mandato dai condomini.
Sta di fatto che il giudice adito ha accertato l’intervenuta usucapione.
Resta un dubbio:
Se il condominio, giuridicamente parlando, non esiste, e se, com’è pacificamente ammesso, i diritti reali non rientrano tra quelli sui quali l’amministratore ha poteri di gestione, rientrando nella sfera di dominio dei singoli (salvo il caso degli atti conservativi), com’è possibile che l’assemblea autorizzi una causa su un qualcosa che poco o nulla ha a che vedere con la gestione delle parti comuni?
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