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tutela della destinazione d’uso delle parti comuni

La regolamentazione di vari aspetti relativi a tali enti è stata resa più puntuale dalla riforma

Oltre che regolamentare con il nuovo art. 1117-ter c.c. la possibilità (e la relativa procedura) di deliberare modifiche delle destinazioni d’uso delle parti comuni per soddisfare esigenze di interesse condominiale, la riforma è anche intervenuta sul tema, anch’esso delicato, della tutela delle destinazioni d’uso delle parti comuni.
Il nuovo art. 1117-quater c.c. stabilisce che, “In caso di attività che incidono negativamente e in modo sostanziale sulle destinazioni d’uso delle parti comuni, l’amministratore o i condomini, anche singolarmente, possono diffidare l’esecutore e possono chiedere la convocazione dell’assemblea per far cessare la violazione, anche mediante azioni giudiziarie. L’assemblea delibera in merito alla cessazione di tali attività con la maggioranza prevista dal secondo comma dell’articolo 1136”.

Quest’ultimo periodo, introdotto dalla Camera nel testo approvato il 27 settembre scorso e ora validato dalla Commissione Giustizia del Senato, invero, lascia un po’ perplessi, in quanto la delibera assembleare (che molto di frequente si renderà necessaria sia per intimare o ribadire la cessazione dell’attività che incide sugli enti comuni, sia per avviare le iniziative giudiziali a tutela, non essendo spesso sufficiente la semplice diffida all’esecutore da parte di singoli condomini o dello stesso amministratore) dovrà essere assunta con una maggioranza comunque qualificata quale è quella prescritta per la prima convocazione, ossia “con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà dell’edificio”.

La medesima maggioranza è stata prescritta anche dal nuovo art. 1122-ter, che regolamenta il delicato tema dell’installazione di impianti di videosorveglianza sulle parti comuni volti a consentire il monitoraggio delle stesse.
Anche gli articoli 1118 (Diritti dei partecipanti sulle parti comuni) e 1119 (Indivisibilità delle parti comuni) sono stati interessati da alcune modifiche, di forma e di sostanza, rispetto alla normativa codicistica sinora vigente.
Viene infatti codificato che “ Il condomino non può rinunziare al suo diritto sulle parti comuni”, ferma restando l’impossibilità – già sancita dalla normativa sinora vigente – di sottrarsi all’obbligo di contribuire alle spese per la loro conservazione, con la precisazione – aggiunta ora dalla riforma – che il sottrarsi agli obblighi di contribuzione non è ammessa “neanche modificando la destinazione d’uso della propria unità immobiliare, salvo quanto disposto da leggi speciali”.

Circa invece il distacco dall’impianto centralizzato di riscaldamento o di condizionamento, la riforma ha recepito l’indirizzo giurisprudenziale ormai consolidato secondo il quale “Il condomino può rinunciare all’utilizzo (…) se dal suo distacco non derivano notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condomini. In tal caso il rinunziante resta tenuto a concorrere al pagamento delle sole spese per la manutenzione straordinaria dell’impianto e per la sua conservazione e messa a norma”.

Circa l’indivisibilità delle parti comuni, già sancita dall’attuale disciplina con la previsione di una possibile deroga qualora “la divisione possa farsi senza rendere più incomodo l’uso della cosa a ciascun condomino”, la riforma conferma la normativa vigente codificando però anche la condizione che sussista “il consenso di tutti i partecipanti al condominio”.
La riforma incide in modo unitario anche sulla disciplina delle scale e degli ascensori (art. 1124 c.c.), prescrivendo che gli stessi siano mantenuti e sostituiti (nell’attuale norma, fra l’altro riferita alle sole scale, si diceva “mantenute e ricostruite”) dai proprietari delle unità a cui servono e che la spesa sia ripartita tra essi “per metà in ragione del valore delle singole unità immobiliari e per l’altra metà esclusivamente in misura proporzionale all’altezza di ciascun piano dal suolo”.
Con l’inserimento di questo ultimo avverbio la riforma ha inteso mettere fine all’utilizzo di altri criteri, riscontrabili nella pratica, non esclusivamente proporzionali all’altezza dei piani dal suolo.
http://www.eutekne.info/Sezioni/Art_401179.aspx

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