Slavoj Sizek scrive:
Se la teologia sta di nuovo emergendo come punto di riferimento per la poltica radicale, questo avviene non perchè la teologia fornisca un divino "grande Altro" che garantisca il successo finale dei nostri sforzi, ma, al contrario, perchè essa rappresenta la nostra radicale libertà nel non avere alcun grande Altro su cui contare.
Fu già Dostoevskij che mostrò che Dio ci dà sia la libertà che la responsabilità: Dio non è un padrone benevolo che ci conduce alla salvezza, ma colui che ci ricorda che siamo totalmente lasciati a noi stessi.
Questo paradosso giace al cuore stesso della nozione protestante di predestinazione: La predestinazione non significa che, siccome ogni cosa è determinata in anticipo, non siamo veramente liberi; invece essa implica una libertà ancor più radicale di quella ordinaria, la libertà di determinare (cioè cambiare) in modo retroattivo il nostro stesso destino.
Il Dio che abbiamo quì è piuttosto come quello che si trova nella battuta bolscevica su un propagandista comunista di talento che, dopo la morte, si trova mandato all’ inferno.
Subito cerca di convencere le guardie a lasciarlo andare in paradiso.
Quando il diavolo nota la sua assenza va da Dio a chiedergli che il propagandista venga riportato all’ inferno.
Tuttavia, non appena il diavolo inizia a parlare, cominciando con "Mio Signore…", Dio lo interrompe dicendo:
"Primo in non sono il tuo Signore ma un compagno. Secondo, sei pazzo a parlare ad un invenzione? Io non esisto nemmeno! E terzo, sbrigati, altrimenti mi perdo la riunione di partito!".
Questa è la sorta di Dio di cui ha bisogno oggi la cultura radicale: un Dio che si è completamente "fatto uomo", un compagno tra di noi, crocifisso insieme a due reietti sociali, che non solo "non esiste", ma anche sa di non esistere, accetta la propria cancellazione, trasformandosi completamente nell’ amore che unisce tutti i membri dello "Spirito Santo", e cioè del partito o collettivo emancipativo.
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