Cari amici,
Anche oggi prosegue l’ “assalto alla diligenza”, che i grandi gruppi finanziari privati stanno scatenando contro le finanze pubbliche dei paesi più indebitati.
Non lo fanno apposta!
Il punto della questione è che sono avidi, e si comportano in modo economicamente efficiente.
Ossia gli operatori finanziari cercano di ridurre le proprie perdite e incrementare i propri utili.
Questo comportamento è estremizzato a tutti i livelli; i più ricchi estremizzano la loro ricchezza allo stesso modo della gente cosiddetta “normale”.
Gli stati, i quali dovrebbero calmierare questa tendenza alla sopraffazione, negli ultimi anni si sono piegati anche loro alla logica finanziaria dominante.
E così siamo tutti saliti su una barca (il mercato globale) che ha perduto il timone della Governance.
Siamo arrivati al punto in cui siamo costretti a prendere consapevolezza della situazione.
I governi mondiali sono eccessivamente indebitati nei confronti di un sistema finanziario che non ha più un equilibrio economico di riferimento, e produce valore finanziario in modo incontrollato e incontrollabile.
A questo punto, la logica di mercato attuale porterà in breve tempo ad una inflazione galoppante, che a sua volta porterà ad un aumento incontrollato del valore attribuito alle materie prime (e soprattutto del petrolio), e pertanto, non appena il mondo inizierà nuovamente a “crescere” (come raccontano i cosiddetti economisti), una nuova frenata arriverà puntuale come un orologio causata dal prezzo del greggio che diventerà insostenibile.
I nostri politicanti non sanno nulla di questi fenomeni, e non credo che gliene importi neanche tanto!
Molti di loro sono come tantissimi amministratori di condominio; ossia impegnati soprattutto a mantenere la propria poltrona.
Il sole 24 ore
Che i mercati abbiano i nervi tesi a volte lo si capisce anche dalle piccole cose. Il salvataggio di Cajasur, per esempio, non sarebbe di per sé evento da spaventare la finanza mondiale: in fondo gli asset della piccola cassa di risparmio andalusa ammonterebbero soltanto allo 0,6% dell’intero sistema bancario spagnolo, quindi poco più di una goccia nell’oceano finanziario mondiale. Eppure i contraccolpi dell’operazione condotta sabato dalla Banca di Spagna non hanno mancato di farsi sentire, anche perché si teme che il caso Cajasur non sia proprio isolato.
Così l’euro ha interrotto la serie di due sedute di recupero consecutive, evento più unico che raro in questo ultimo mese. Questa mattina la valuta comune è scesa sotto 1,23 dollari all’avvio dei mercati europei. Contro lo yen un vero tracollo: a Tokyo l’euro è precipitato a quota 109.99, per la prima volta sotto quota 110 dal 30 novembre 2001 (109,89). Questo dopo i cali di ieri: la valuta comune ha infatti ripiegato sotto quota 1,24 dollari (1,2380), oltre due «figure» in meno rispetto ai massimi di seduta di venerdì scorso e perso terreno anche sulle altre valute, scendendo di nuovo a 111,89 yen (da 113,16) e 1,4351 franchi svizzeri (1,4430). Non che il movimento fosse del tutto inaspettato, visto che a detta degli operatori il recupero dei giorni scorsi era dovuto più che altro all’effetto deterrente esercitato sui ribassisti dalle voci (mai confermate e per certi versi pure improbabili) di un intervento della Bce a sostegno dell’euro. Ma appare comunque evidente che il caso Cajasur (oltre alla giornata semifestiva, che ha contribuito a ridurre i volumi) abbia dato agli investitori un motivo in più per tornare a vendere la divisa europea.
Quando si parla di tensioni, però, gli operatori guardano sempre con maggior attenzione a un altro mercato, quello interbancario in cui gli istituti di credito si scambiano il denaro. Anche qui la situazione è mutata a partire dai primi giorni di aprile quando, dopo un anno e mezzo di discesa pressoché ininterrotta, i tassi hanno iniziato a risalire dai minimi storici. Per ora si tratta di ben poca cosa: l’Euribor a un mese veniva indicato ieri allo 0,426% (lo stesso valore di venerdì e tre centesimi in più rispetto ai minimi storici) e la scadenza 3 mesi allo 0,695% (0,634% il record).
Ma in un mercato in cui tutto si misura con il bilancino gli analisti guardano con un sospetto anche un altro valore: lo scarto fra l’Euribor 3 mesi e l’overnight indexed swap (Ois), il tasso «free risk». Anche in questo caso il differenziale è aumentato (31 punti base rispetto ai 22 di qualche settimana fa) e testimonia la minor fiducia tra le banche stesse, che in una situazione di incertezza generale (e qui il caso Cajasur non contribuisce certo a rasserenare gli animi) non sempre sono disposte a prestarsi il denaro e anzi preferiscono lasciarlo in deposito presso la Bce stessa al tasso decisamente poco attraente dello 0,25 per cento.
Ogni paragone con le settimane successive al crack-Lehman, quando l’interbancario era praticamente «congelato» è tuttavia per il momento del tutto improprio. Non solo in quei giorni i tassi Euribor viaggiavano oltre il 5% e lo spread con gli Ois era salito a 180 punti base, ma mancavano anche tutte le misure che nel frattempo la Bce ha messo e continua tuttora a mettere in atto per garantire la liquidità necessaria al funzionamento degli ingranaggi. Proprio nell’ultima asta di rifinanziamento a 8 giorni sono state però 81 le banche ad attingere alla fonte di Francoforte chiedendo 104 miliardi di euro (5 in più della settimana precedente), a testimonianza del fatto che qua e là esiste qualche granello che per ora scorre via, ma che alla lunga potrebbe anche inceppare l’ingranaggio.
Da tempo ormai gli operatori segnalano del resto un mercato interbancario che funziona a due velocità: le grandi banche non trovano problemi a finanziarsi, mentre le piccole (o quelle meno solide) hanno qualche difficoltà e mettono apprensione. Qualche preoccupazione in più, inoltre, gli istituti la hanno quando chiedono dollari, anziché euro. Non a caso le recenti tensioni si sono fatte sentire soprattutto sul Libor in dollari (il «cugino» dell’Euribor, calcolato dalla British Bankers’ Association) che ieri, nella scadenza a 3 mesi, è salito oltre quota 0,50% (0,5097%) per la prima volta dal luglio 2009, raddoppiando così il valore rispetto a due mesi fa.
Ed è soprattutto per cercare di alleviare queste difficoltà che la Bce ha ripristinato due settimane fa le aste in dollari. Nelle prime due operazioni di questo tipo non si è però vista la ressa che molti attendevano: finora sono stati assegnati poco più di 10 miliardi di dollari a non più di 8 istituti per volta. Forse la ricerca di fondi di finanziamento non è soltanto un problema delle banche europee.
Wall Street Italia
C’è panico puro a Piazza Affari questa mattina. E il risveglio oggi non è per nulla confortante neanche per i mercati europei, che hanno avviato le contrattazioni in pesante ribasso, per i timori di un allargamento della crisi che imperversa in Europa.
L’indice Ftse Mib lascia sul terreno il 3,30%, attaccato dall’ondata di vendite che prende di mira soprattutto le banche: queste ultime scontano sia la crisi internazionale che il rapporto dell’ABI sul settore, pubblicato la vigilia.
Il quadro fornito dall’Associazione Bancaria Italiana non è infatti di certo roseo ed evidenzia un massiccio calo degli utili nel 2009 che è andato aggravandosi nel primo trimestre di quest’anno.
Il 2010 sarà dunque un’altro anno difficile, secondo quanto confermato dal Direttore Generale Giovanni Sabatini. Fra i titoli più sacrificati nella seduta di oggi appaiono così Unicredit, Intesa Sanpaolo e Banco Popolare. Nel risparmio gestito soffre Azimut.
Ma a Piazza Affari la doccia è gelata anche per gli oil, che scontano la caduta delle quotazioni del greggio. Eni, Tenaris e Saipem evidenziano performance pessime, mentre tiene meglio la raffinazione con la ERG.
In generale, in tutta l’Europa, i mercati seguono la scia negativa disegnata prima da Wall Street e poi dai listini asiatici, in primis da Tokyo, che è scivolata sotto la soglia dei 9.500 punti per la prima volta in sei mesi.
Ad appesantire i listini azionari globali, è stata di nuovo la carrellata di notizie negative che continuano ad attanagliare l’euro.
La moneta unica è tornata infatti a perdere terreno nelle ultime ore contro le valute cosiddette rifugio – come il dollaro – e il trend appare nuovamente al ribasso, dopo il recupero registrato nel finire della scorsa settimana.
La valuta sconta di fatto, oltre al problema dei debiti Ue, anche lo spettro dei salvataggi bancari.
Ad alimentare ancora di più le paure degli investitori sono poi i piani di austerity di Germania e Gran Bretagna, che ieri hanno tenuto banco dopo quelli che nei giorni scorsi avevano visto come protagonisti Grecia, Portogallo e Spagna.
L’aria di crisi si respira insomma sia sui mercati azionari globali che su quelli valutari.
La stessa Wall Street ha accentuato ieri le perdite nel finale, con il Dow Jones che si e’ riavvicinato a quota 10000, attestandosi ai livelli minimi di 3 mesi, in piena zona “correzione”.
Da segnalare, infine, che il sell off scatenato dall’effetto euro è provocato anche da quelle notizie che confermano come i fondi hedge continuino ad attaccare la moneta unica: alcuni di loro, tra cui Hayman Advisers e Matrix Group, prevedono addirittura un aggravamento della crisi del debito sovrano, nonostante il piano di salvataggio messo a punto dall’Unione Europea e dalla BCE, per un valore di un trilione di dollari.
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