Bersani: pensioni? Prima di toccarle meglio intervenire sull’evasione
«Il punto non è se stiamo con la Cgil o con la Cisl ma che stiamo tornando ai nostri rapporti con le forze sociali»
Cari amici,
Dove va la “sinistra” in Italia?
Ci si potrebbe domandare anche se esiste ancora la “sinistra”, ma non sarò così cattivo!
Sono convinto che oggi la sinistra un progetto politico non ce l’ ha!
E’ evidente, a mio giudizio, che non è possibile avere un progetto politico alternativo, fino a che il presupposto di ogni azione di governo ipotizzata sia l’ accettazione incondizionata del sistema economico esistente.
Fino a che “tutti” i politici presuppongono che il mercato sia la soluzione ultima a tutti i problemi, non credo che sia possibile identificare un progetto politico alternativo alla destra.
Ai cosiddetti “poveri” il mercato non conviene!
Questo concetto può sembrare rivoluzionario, ma è un fatto che il sistema economico di mercato presupponga un sistema politico di riferimento che difenda e valorizzi l’ individualismo e la speculazione.
Il valore della condivisione sociale oggi è soffocato dalla difesa disperata del cosiddetto “sistema delle imprese”, che alimenta il consumo “indotto” di beni e servizi che spesso sono inutili per chi “compra”.
Sono convinto che senza condivisione sociale non esista società che possa progredire.
E’ un fatto a mio giudizio evidente, che il valore della condivisione deve essere sostenuto da un “collante sociale” riconoscibile e sufficientemente forte, che oggi ancora non esiste!
In altre parole mi chiedo:
Perchè mai oggi una persona dovrebbe impegnarsi a creare buone relazioni sociali che creino valore per il futuro?
Chi le riconosce? Chi le difende? Chi le valorizza? Chi le finanzia?
Queste domande dovrebbero essere riempite di contenuti politici, che la “sinistra” si guarda bene dal produrre, perchè non ha alcun progetto economico alternativo che riesca ad opporsi all’ individualismo e alla speculazione.
Malgrado questa situazione, credo che il futuro sia nelle mani di chi se lo sa costruire!
Uniamoci per difendere i nostri interessi!
Corriere della sera
ROMA — Dario Franceschini arriva alla guida del Pd e propone un sussidio di disoccupazione per tutti quelli che perdono il lavoro.
È cominciata la campagna elettorale per le Europee?
«No, è che la crisi è molto più seria di quanto il governo racconti — risponde Pier Luigi Bersani, sostenitore della svolta al vertice del partito, alla cui guida lui stesso si candida —. Sono mesi che giro nei luoghi della crisi. Se non c’è qualcuno a dar voce al disagio crescente, si rischia che la situazione vada fuori controllo. Per questo proponiamo di intervenire immediatamente, con un decreto, per dare un assegno a tutti i disoccupati, compresi i precari e i lavoratori della piccola impresa».
Il premier Silvio Berlusconi dice che la vostra proposta costa un punto di Pil: 16 miliardi.
«Non è vero. Ne basterebbero 5-6».
Da trovare come?
«Innanzitutto non capisco perché quando si è trattato di trovare i soldi per togliere l’Ici ai benestanti, per l’Alitalia e per eliminare la tracciabilità dei pagamenti non ci si è posti questo problema. Eppure si trattava di almeno 8-9 miliardi. Noi proponiamo di risparmiare sulla spesa corrente, ad esempio con la centrale acquisti, e di reintrodurre quelle misure di lotta all’evasione eliminate da Tremonti per strizzare l’occhio a qualche milione di contribuenti elettori del Pdl».
Enrico Letta, dirigente del suo partito, dice che bisognerebbe anche rimettere mano alla previdenza.
«Ci può essere un patto tra generazioni sulla previdenza solo dentro un grande patto sociale dove tutti i ceti siano chiamati a fare la propria parte. Perché non può più essere che la solidarietà sia cercata solo dentro i ceti medi e bassi mentre nel nostro Paese c’è il record dell’evasione fiscale e si è abolita l’unica tassa sui patrimoni».
Anche l’Unione Europea ci chiede di portare l’età pensionabile delle donne a 65 anni.
«A Bruxelles si può rispondere che si può fare su base volontaria».
Lei ha detto che la situazione sociale rischia di andare fuori controllo. Che significa?
«Che ci sono non solo fabbriche, ma interi territori dove il disagio si addensa: Torino, Prato, Pomigliano sono solo alcuni esempi. E il peggio deve venire. Nei prossimi mesi la crisi dell’occupazione peggiorerà. E allora potremmo trovarci non dico con la rivoluzione, ma col rischio di fughe populiste».
Sta facendo allarmismo?
«No. Dico che quando la gente misura il distacco tra la sua condizione e le risposte della politica, ripiega sull’amarezza, sulla disperazione, sullo scoramento. E magari non va a votare o dà sfogo a manifestazioni di ribellione. Si rischia insomma un indebolimento del tessuto democratico».
Teme per l’ordine pubblico?
«Voglio credere di no, però ripeto, se non si interviene subito, la situazione è destinata a peggiorare».
Nicola Rossi, anche lui del Pd, liquida la proposta Franceschini come una «trovata mediatica».
«Lo so che Rossi pensa che non si devono fare proposte che aumentino il disavanzo, ma il Pd ritiene che il sostegno ai disoccupati e alle piccole imprese e un limitato disavanzo temporaneo siano sostenibili. Non si può stare fermi. Il Pil va a rotoli, il sistema industriale si sta fermando e i Tremonti bond sono solo un palliativo».
Perché?
«Perché rappresentano un finanziamento oneroso per le banche e quindi pensare che poi queste diano credito a buon mercato alle imprese è pura fantasia. L’operazione che serve è diversa ».
Quale?
«Ci vuole che lo Stato fornisca parziale garanzia a una nuova generazione di prestiti selettivi e sostenga fiscalmente gli investimenti delle imprese in innovazione».
E per quelle che non li fanno?
«Per le imprese fuori mercato bisogna appunto rafforzare gli ammortizzatori sociali».
Lei ha già partecipato alla manifestazione Cgil del 13 febbraio e ora il Pd annuncia che sarà in piazza con i pensionati Cgil giovedì. È finita l’equidistanza dalle confederazioni tentata da Veltroni? Per Franceschini, che viene dalla Margherita, è più facile spostare il Pd a sinistra?
«No, questa è una lettura politicista. La questione non è se stiamo con la Cgil o con la Cisl, ma che stiamo tornando ai nostri tradizionali rapporti con le forze sociali, ma sulla base di una nostra piattaforma».
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