La riforma del condominio aumenta l’elenco delle parti comuni dell’edificio, fornendone una definizione più articolata ed esprimendo nel contempo, con l’uso di espressioni di contenuto più ampio, una volontà di considerare comune tutto ciò che può essere utile a soddisfare gli interessi dell’intera collettività condominiale. Non si parla più di acquedotti, di fognature o di impianti dell’acqua o del gas o del riscaldamento, ma di «impianti idrici e fognari», e di interi «sistemi centralizzati di distribuzione e di trasmissione per il gas, per l’energia elettrica, per il riscaldamento e il condizionamento dell’aria e per l’accesso a qualunque altro genere di flusso informativo».
L’integrata elencazione delle parti comuni chiarisce ancor più il concetto stesso di condominio, vale a dire della necessaria coesistenza di proprietà esclusive e di proprietà in comunione tra tutti i partecipanti al condominio. In altri termini, ciò che costituisce il condominio è proprio la peculiare situazione in cui si trovano due o più proprietà individuali al cui servizio sono posti altri beni e servizi indispensabili all’uso e al godimento delle porzioni esclusive da parte di tutti i condomini.
La presunzione di proprietà comune dei proprietari delle singole unità continua anche con la riforma a non operare per quelle parti che espressamente siano escluse dal novero delle parti comuni da un "titolo", ossia dall’atto con cui l’originario unico proprietario, sia esso l’impresa costruttrice o la singola persona, procede alla vendita della prima unità immobiliare.
L’assoluta novità della riforma consiste però nell’aver precisato che la proprietà comune dei beni elencati sussiste anche tra i proprietari «aventi diritto a godimento periodico» dell’unità immobiliare sita nell’edificio. Il riferimento è senza dubbio diretto alle multiproprietà, cioè al caso in cui a un soggetto viene riconosciuto un diritto di godimento turnario ed esclusivo su un bene immobile ben determinato per uno o più periodi dell’anno. Il nuovo articolo 1117, Codice civile, continua a individuare, attraverso una elencazione non tassativa, i beni che sono presuntivamente di proprietà e di godimento comune.
L’elenco è meramente esemplificativo: compaiono, tra le parti dell’edificio necessarie all’uso comune e a integrazione della formulazione vigente, i pilastri e le travi portanti. Parimenti dicasi per la facciata, anch’essa nuova entrata nell’elencazione ed espressamente indicata come tale nel testo riformulato. Restano incluse le aree destinate a parcheggio, senza peraltro una particolare motivazione rispetto al generale principio ispiratore della norma, che conferma infatti di considerare comuni tutti gli spazi e i locali utili per fornire servizi alla collettività dei condomini. Novità invece per i sottotetti, che sono considerati comuni qualora, per le loro caratteristiche strutturali e funzionali, siano destinati a un uso a vantaggio di tutti i condomini.
Viene ulteriormente garantita la destinazione d’uso delle parti comuni, modificabile solo dall’assemblea con una elevatissima maggioranza (quattro quinti delle teste e dei millesimi), sempre che il mutamento avvenga per soddisfare un interesse comune a tutti i condomini. Vietato anche al singolo condomino di svolgere qualsiasi attività che possa pregiudicarla, perché in tal caso qualsiasi condomino oltre all’amministratore possono diffidarlo per fare cessare la violazione e in ultima analisi interviene il giudice: si pensi a un arbitrario parcheggio di motocicli o di auotoveicoli negli spazi comuni o un ingombro dei pianerottoli a proprio uso esclusivo così da impedirne ad altri il pari uso. Spetta comunque all’assemblea, in questo caso con una maggioranza più bassa (metà millesimi e almeno un terzo di teste), valutare se in concreto ci sia stata o meno violazione dell’obbligo di rispetto della destinazione della parte comune.
http://www.casa24.ilsole24ore.com/art/c … d=Ab0HL06G
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