Cari amici,
I mercati finanziari mondiali stanno entrando di nuovo in una fase pericolosa.
La causa principale di questa situazione è da ricercarsi nel valore del dollaro americano, che si sta deprezzando eccessivamente.
Ci sono troppi dollari che circolano nel mondo, la Fed non è in grado di alzare i tassi, gli USA hanno un debito pubblico fuori controllo; inoltre il fatto che il petrolio sia quotato in dollari esporta questa inflazione in tutti i continenti, e poi torna negli Stati Uniti, aumentando così i prezzi di tutti i prodotti di consumo americani, eccetto quelli degli immobili che invece calano a causa della crisi che perdura, nonostante questo fatto non venga riconosciuto ufficialmente.
Tutta questa situazione porta l’ Euro in rialzo; e questo rialzo è accentuato ulteriormente anche dal rialzo dei tassi di interesse promosso dalla Bce.
Ma il problema non è solo della valutazione nominale del prezzo del petrolio.
Il punto della questione è che il prezzo del petrolio sopra i cento dollari al barile innalza i costi delle aziende in modo eccessivo, e molte aziende non se lo possono permettere; ad esempio le compagnie aeree di tutto il mondo si ritrovano imprigionate da costi in aumento da una parte, e mercato molto sensibile agli incrementi di prezzo dall’ altra.
Pertanto, i mercati finanziari globali sono tirati da tutte le parti da questi disequilibri che abbiamo brevemente descritto.
A questa situazione già precaria, si aggiungono i disastri che si sono verificati in Giappone, e le tensioni politiche scatenate in medio oriente che provocano flussi migratori incontrollabili nei paesi europei.
Non c’ è molto da stare allegri!
Il sole 24 ore
di Riccardo Sorrentino
L’euro torna al passato? Come se nulla fosse, né la crisi finanziaria né quella dei debiti sovrani?L’andamento della moneta comune, martedì 12 aprile, ha riproposto un vecchio problema, quello dell’euro valvola di scarico delle tensioni valutarie globali. La struttura del mercato valutario, in effetti, è sempre la stessa: l’area informale del dollaro è ancora attiva, le monete asiatiche (e non solo quelle) tendono a muoversi in modo sincronizzato con la moneta Usa. Lo yuan si è apprezzato, ma troppo poco; e lo yen è stato riportato “in linea” dal G-7. E se la sterlina si è sganciata dall’euro, è stato solo per scivolare verso il basso.
Nulla è davvero cambiato dunque: ogni pressione al ribasso sul dollaro – e sono tante, con il carry trade – tende a riflettersi sull’euro (che in cambio ne riceve un aumentato potere d’acquisto, importante quando il petrolio sale). A questa struttura stabile si è però sovrapposta la crisi dei debiti sovrani, che è stata un freno importante – ma solo un freno – all’apprezzamento dell’euro. È un caso, forse, se il rialzo della valuta comune procede insieme al progressivo esaurirsi delle incertezze sui paesi periferici?
Gli operatori osservavano ieri che si sta definendo il piano per il Portogallo, forse l’ultimo: la notizia che la Cina continuerà a investire in Spagna, ha confermato che la quarta economia di Eurolandia consolida sempre la propria posizione, grazie a un governo che con le sue riforme – nota Nicola Mai di JPMorgan – «sembra muoversi a un passo ragionevole nella direzione giusta». Diventa lentamente chiaro, infine, che la stretta della Bce avrà effetti limitati. L’unico ostacolo al rialzo dell’euro sta quindi mollando la presa.
L’euro continuerà allora a salire? In realtà gli investitori si stanno proteggendo, con le options, soprattutto contro un rischio di ribasso, considerato più probabile. C’è in azione, quindi, un nuovo freno, che si sostituisce, almeno in parte, a quello della crisi fiscale. Al centro dell’attenzione del valutario c’è ora, di nuovo, la politica monetaria. Tutti sanno che la Bce è stata solo la prima nella sua stretta. Non resterà l’unica. Il calo di marzo dell’inflazione in Gran Bretagna, al 4% dal 4,4%, potrebbe aver allontanato il primo rialzo della Bank of England; ma di poco.
Allo stesso modo sembra allontanarsi sia lo spettro di un’interruzione prematura degli acquisti di bond da parte della Fed, sia quello di una loro prosecuzione: i componenti del board, ormai, sembrano non parlar d’altro che di aspettative di inflazione in rialzo. Benigne, per ora, ma fino a quando? Escludendo i prezzi delle case – che continuano a calare – l’inflazione Usa era già al 2,1% già a gennaio. In base a quanto si conosce oggi, un sondaggio Reuters tra gli economisti indica un euro a 1,36 a fine anno. Non è uno scenario impossibile.
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