Volentieri riporto questo stupendo articolo di Aldo Giannuli.
Il Presidente del Consiglio Monti, nel suo Alto magistero, ci fa sapere che lo Statuto dei diritti dei lavoratori è stato un danno per l’occupazione, perché, ingessando l’economia con troppi diritti per i lavoratori, ha scoraggiato gli investimenti che avrebbero creato lavoro. In effetti, se i lavoratori fossero tenuti 16 ore alla macchina, possibilmente legati con una solida catena, in modo da evitare inutili interruzioni per stupide ragioni fisiologiche, non perdessero tempo in assemblee sindacali, ricevessero un salario di pura sussistenza, come nelle zone interne della Thailandia o della Birmania, sarebbe molto più conveniente investire in Italia e ci sarebbe tanta occupazione in più. Considerando poi che con un trattamento simile, una parte considerevole dei lavoratori non raggiungerebbe l’età della pensione, questo rappresenterebbe un vantaggio per le casse statali, produrrebbe un turn over assai veloce e proprio non ci sarebbe disoccupazione.
Monti è un vero progressista! Però ci deve dare qualche spiegazione su come lavora lui.Recentemente l’illustre economista (il cui ultimo libro risale al 1992, dopo solo interviste e qualche rapporto), ha recentemente ammesso che, in effetti, l’economia italiana è in recessione e che questo è il prodotto delle scelte di austerità fatte dal suo governo. Però questo era necessario per rimettere in ordine i conti.
Peraltro, nel mese di luglio abbiamo appreso che, nonostante il massiccio aumento della pressione fiscale con l’aumento dell’Iva e l’istituzione dell’Imu (insieme a non so quante altre tasse) lo Stato ha incassato il 3% in meno, rispetto al gettito fiscale dell’anno precedente.
Se abbiamo capito bene è successo questo:
1.il debito pubblico è cresciuto rispetto al Pil: infatti se il debito resta alle quotazioni in cui è ed il Pil diminuisce del 2,7-2,8 (vedremo il dato preciso a fine anno, vuol dire che il debito è cresciuto in proporzione
2.la flessione delle attività economiche è stata tale da produrre un gettito fiscale più basso, nonostante gli aumenti decisi
3.pertanto, questo significa che i vantaggi dei tagli alla spesa, in buona parte se ne vanno solo per compensare il calo di introiti
4.la crescita del debito in proporzione al Pil e la flessione del gettito fiscale riducono la possibilità di restituire il capitale preso in prestito, per cui gli investitori vogliono interessi più alti per ricomprare i titoli; e, infatti, lo spread dopo una momentanea e limitata riduzione è tornato ribaldamente oltre i 500 punti per poi diminuire nuovamente (non sappiamo per quanto) mantenendosi comunque oltre quota 300 ed al limite della sostenibilità
5.tutto questo, poi, significa che quel che resta delle economie realizzate con i tagli se ne vanno per pagare i differenziali di interesse sul debito.
E tutto questo Monti lo chiama “mettere in ordine i conti”. Intervento del tipo: “l’operazione è riuscita, ma l’ammalato è morto”. Uno così, ve lo scegliereste come amministratore di condominio?
Però Monti ci assicura che intravede la fine della crisi, anzi che la sente: forse ha consultato il mago Othelma o i fondi di caffè. Di sicuro, non si capisce sulla base di quali ragionamenti economici si regga una affermazione così perentoria. Molti sostengono che Monti capisce poco di politica ma come economista…! In effetti Monti, come politico vale poco, ma come economista vale minus quam straminem (siamo persone educate e moderiamo l’espressione).
Ma se Monti in quanto tale è solo una macchietta da avanspettacolo, il montismo è una cosa molto più seria che non va presa sotto gamba (ci torneremo) e la dimostrazione è in questa generale confluenza delle forze politiche, che, non contente del disastro già prodotto, vogliono di più.
In tutto questo la cosa più imbarazzante è l’atteggiamento del Pd che fa scudo con il suo corpo a Monti perché finisca la legislatura e poi si riprenda la nuova con il programma dell’agenda Monti. E che il “montismo” sia qualcosa di più di Monti (che magari il Pd si appresta ad eleggere sul Colle), destinato a durare oltre il suo scalcinato fondatore, lo dice l’atteggiamento isterico del Pd nei confronti del referendum sull’art. 18.
Considerato che, nella migliore ipotesi, il referendum avrà luogo fra 2 anni, nel 2014, e che nel frattempo il Parlamento può modificare la legge per evitare il referendum, perché mai prendersela così calda ora, arrivando a mettere in crisi l’accordo con il suo unico alleato di qualche peso? Il senso, puro è semplice, è che quello è un punto acquisito –al pari degli altri già imposti da Monti- e che non è ammesso che l’elettorato ci metta il becco. Quindi è inutile che Bersani, con aria vanamente pensosa, ci dica che, si, l’agenda Monti bisogna proseguirla, ma contemperandola con imprecisate esigenze sociali: non incanta nessuno, il programma del Pd è in perfetta continuità con Monti e il resto sono chiacchiere.
Va bene amici, andate avanti così ed auguri!
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