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L’EURO è morto. Evviva l’EURO!

L’EURO è morto. Evviva l’EURO!

Ormai sono davanti agli occhi di tutti le motivazioni che portano all’ammissione del fallimento del “progetto Euro”. Prima che sia troppo tardi, bisogna trovare delle soluzioni il più possibili concrete e realizzabili. E anche la stessa rigidissima Germania si deve rendere conto che E’ FINITA. E presto lo sarà anche per lei. Altro che Euro Break Up…

A molti può anche non piacere il Premio Nobel Paul Krugman. Però, quanto ha riportato in un recente articolo sintetizza, secondo me, in modo molto chiaro la realtà europea, mettendone a nudo le criticità principali.

Ecco perché ho pensato di riproporvela con alcune considerazioni.

L’articolo (citato qui nelle parti in corsivo) è uscito recentemente in italiano sul quotidiano nazionale Il Sole 24 Ore.

Chiunque studi l’economia monetaria internazionale conosce bene la Legge di Dornbusch: «La crisi ci mette molto più tempo ad arrivare di quanto pensavate, e poi si svolge molto più in fretta di quanto avreste pensato» (lo disse in un’intervista, nel 1997, il compianto economista tedesco Rudi Dornbusch).
euro-morto-vivaCredo che questa prima affermazione di Krugman fotografi in modo ideale la realtà attuale, oppure sbaglio? Il “comprare tempo” ha spostato in avanti il momento in cui la crisi, quella vera, potrebbe scoppiare (siamo sicuri che sia già scoppiata? E chi lo sa?). L’abbondante liquidità, la forward guidance e le rassicurazioni delle banche centrali hanno generato aspettative che potrebbero anche venire deluse. Una gestione psicologica che, finchè regge, terrà in piedi il sistema. Ma un eventuale crollo rischia di essere rapido e di drammatica intensità e velocità.

E con l’ultima crisi dell’euro è successo esattamente questo. Fino a poco tempo fa gli austeriani che dettano la politica macroeconomica della zona euro andavano in giro tutti tronfi a cantar vittoria per una modesta risalita della crescita. Poi l’inflazione è precipitata e l’economia dell’Eurozona ha cominciato a incepparsi, e tutti, cosa probabilmente più importante, sono andati a riguardarsi i fondamentali e si sono resi conto che la situazione rimaneva molto seria.

Già, i fondamentali, ma quanto contano ancora oggi? Ricordatevelo bene, contano eccome, perché è proprio lì che torneremo un giorno. Il gap tra economia reale e finanza resta troppo ampio, il restringimento dello stesso potrebbe essere anche non essere indolore.

Anche nell’estate del 2012 la situazione sembrava grave, e Mario Draghi, il presidente della Banca centrale europea, riuscì a evitare che il vecchio continente precipitasse nel baratro. E forse riuscirà a farlo di nuovo, ma adesso il compito appare molto più difficile. Nel 2012 il problema erano gli interessi molto alti sui titoli di Stato dei Paesi della periferia dell’euro, che in realtà, come adesso sappiamo, crescevano più per questioni di liquidità che per problemi di solvibilità.
euro dead or aliveAnche se non sembra, il buon Mario Draghi ha già usato delle cartucce. Non per ultime quelle “psicologiche”. Resta le “bombe” degli acquisti di bond governativi a titolo definitivo. (alias QE o quantitative easing). Ma…visti anche gli ultimi sviluppi, siamo sicuri che sarebbero efficaci?

In altre parole, i mercati temevano in sostanza che la Spagna o l’Italia potessero dichiarare entro breve tempo lo stato di insolvenza perché sarebbero rimaste letteralmente senza soldi, e queste paure minacciavano di trasformare lo scenario del default nella classica profezia che si autorealizza. Ma per disinnescare quella crisi bastò che Mario Draghi promettesse che la Bce avrebbe fatto whatever it takes (tutto il necessario). Una volta sgombrato il campo dalla prospettiva di una carenza di liquidità, il panico rientrò quasi subito. Attualmente gli interessi dei titoli di Stato di Spagna e Italia sono bassi, rispetto ai livelli storici.

Ma quello che sta succedendo adesso è ben diverso. È una crisi al rallentatore e coinvolge tutta la zona euro, che sta scivolando verso una trappola deflattiva.

Draghi può cercare di imprimere una spinta attraverso politiche di allentamento quantitativo, ma non è affatto scontato che possano servire allo scopo, anche nelle circostanze migliori. E in realtà la politica limita pesantemente i suoi margini di azione.

Proprio così. Draghi potrebbe anche voler fare. E se poi potesse, siamo sicuri che sia efficace? Non dimenticate cosa ho scritto in passato. La politica monetaria espansiva NON è più sufficiente. E’ necessaria una “rivoluzione” strutturale. Ma questa rivoluzione la deve portare la politica sia in ambito LOCALE (singoli governi nazonali) e sia Europeo (Unione Europea, in altri termini, secondo il mio punto di vista BISOGNA RIFARE L’EUROPA E L’EURO).

Un’altra cosa che mi colpisce è la quantità di confusione intellettuale che ancora c’è in giro. La Germania continua testardamente a voler vedere tutta la crisi come l’effetto di una gestione irresponsabile dei conti pubblici, e questo non solo esclude la possibilità di stimoli di bilancio efficaci, ma azzoppa l’allentamento quantitativo perché Berlino vede l’idea di comprare titoli di Stato come un anatema.

E un’altra cosa incredibile è il fatto che la logica della trappola della liquidità, dopo sei anni – sei anni! – di tassi di interesse quasi a zero, continui a non essere compresa. Ho letto recentemente, e non è neanche l’esempio peggiore, un editoriale sul Financial Times di Reza Moghadam, vicepresidente della Morgan Stanley, che scrive che «i salari e il costo del lavoro in generale sono semplicemente troppo alti, anche per gli standard dei Paesi ricchi e tanto più rispetto ai concorrenti dei mercati emergenti».

Santo cielo! Se è la concorrenza esterna che vi preoccupa allora bisognerebbe svalutare l’euro, non tagliare i salari. E tagliare i salari in un’economia incastrata in una trappola della liquidità quasi sicuramente aggraverebbe la recessione. Com’è possibile che ci sia ancora qualcuno che non lo capisce?

Probabilmente non lo si capisce, ma il tempo, dopo aver fatto dei danni, porterà i nodi al pettine. Solo che oggi tutti sono troppo concentrati al proprio giardino e non c’è la volontà di allargare i punti di vista.

L’Europa ha sorpreso molte persone, me compreso (Paul Krugman, ndr), con la sua capacità di resistenza. E penso che la Bce di Draghi sia diventata un importante elemento di forza. Ma faccio sempre più fatica (e come me altri con cui ho parlato) a capire come andrà a finire tutta la faccenda (o meglio a capire come farà a finire in modo non catastrofico).

Se trovate implausibile una storia in cui Marine Le Pen porterà la Francia fuori dall’euro e dall’Unione Europea, ditemi qual è il vostro scenario alternativo.

Senza scomodare la Francia e concentrandosi anche solo sulla Grecia, ultimamente di nuovo nell’occhio del ciclone, cosa succede se anche solo uno degli elementi fa ciò che non è previsto dai trattati, ovvero ESCE dall’Euro? Credo sia inconcepibile perché l’uscita di un Euro aprirebbe la strada e porterebbe automaticamente alla POLVERIZZAZIONE del “progetto Eurozona”. Ma dico io: possibile che NESSUNO se ne renda conto?

Idem dicasi per la Germania, secondo me. O meglio, non sarebbe più “Euro” ma sarebbe tutta un’altra cosa. E allora, perché non cogliere la palla la balzo, visto lo stato di evidente difficoltà dell’Eurozona e anche della Germania, e RIFARE il progetto EURO?

Nuovi trattati, nuovi accordi, nuove deleghe alla BCE, tutto nuovo facendo tesoro degli errori e cercare di creare un VERO progetto di unione di lungo periodo.

Recentemente anche un grande difensore dell’Euro, il noto Luigi Zingales, professore di Finanza alla University of Chicago Booth School of Business, economista liberista, ammette che questo Euro NON ha più senso di esistere. Ma senza volerne la morte (come il sottoscritto) ne chiede la “rinascita”.

“Il problema – secondo Zingales – è che man mano che l’avventura di Eurolandia è proseguita, peraltro incrociando una crisi economico-finanziaria senza precedenti, si è creata un’insanabile contrapposizione tra paesi del Sud Europa (tra cui l’Italia) e del Nord Europa, con i primi in posizione di debolezza e i secondi, rappresentati dalla Germania, che sono riusciti sempre di più a prendere in mano le redini e a salire in plancia di comando. Dove naturalmente ora vogliono restare. (…)

Dopo Maastricht, c’è la crisi del 2009, ulteriore spartiacque del sentiment dei cittadini verso l’Europa unita, ma non nel senso che uno potrebbe immaginare. “Per esempio nei paesi meridionali, Italia inclusa, è cresciuto il numero di quanti sostengono che Bruxelles si muove nella direzione errata, ma è aumentato ancora di più il numero di quanti imputano ai propri governi errori perfino peggiori. Inoltre, in alcuni Paesi, l’immagine della Banca centrale europea (Bce) si è deteriorata molto più di quella della moneta unica, specialmente nell’europeriferia”. Ora tutto possiamo permetterci, meno che restare fermi. Pena il collasso.

Credo sia tutto chiaro. Ne siamo consapevoli. Qualcuno può fare arrivare il messaggio alla politica e a Bruxelles?
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