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Le barriere architettoniche sono ostacoli di natura fisica che non consentono alle persone disabili di accedere liberamente o facilmente agli edifici. Eliminarle, quindi, vuol dire levare di mezzo un ostacolo alla piena fruibilità di uno stabile. La configurazione proprietaria dell’edificio incide, e non poco, sulle modalità attraverso cui è possibile giungere all’eliminazione dei suddetti ostacoli: in condominio il soggetto disabile ha a disposizione varie modalità d’azione per far valere i propri diritti.
È molto probabile che per l’eliminazione delle barriere architettoniche sia necessario porre in essere opere innovative nelle parti comuni degli edifici. Sono classici gli esempi dell’installazione di un ascensore o di un servoscala. In questi casi la legge cui fare riferimento è la numero 13 del 1989 e in particolare l’ articolo 2. Secondo questa disposizione, le decisioni riguardanti l’eliminazione delle barriere architettoniche possono essere prese con maggioranze semplificate ma comunque differenziate a seconda che si tratti di prima o seconda convocazione. Per l’adozione di questa deliberazione, tale almeno è l’indicazione fornita dalla prassi, non è necessario che la persona disabile sia anche condomina. L’assemblea, in sostanza, può deliberare l’eliminazione delle barriere anche solo per rendere pienamente fruibili le parti comuni dell’edificio.
A fronte dell’inerzia o del rifiuto dell’assise condominiale, inoltre, chi ne ha bisogno e ne abbia fatto richiesta può provvedere personalmente all’installazione di strutture amovibili che consentano o rendano più agevole l’accesso agli edifici. In ogni caso, infine, gli interventi in esame non devono recare pregiudizio al decoro, alla sicurezza, alla stabilità dell’edificio, né possono comprimere i diritti sulle parti comuni anche solamente di un comproprietario; resta ferma la possibilità per chi non ha partecipato fin dall’inizio alla realizzazione dell’opera di subentrare successivamente nel suo uso.
Ad ogni modo, è doveroso evidenziarlo, l’eliminazione delle barriere architettoniche non è materia di competenza esclusiva dell’assemblea. Detto diversamente: dato che ogni condomino è, per definizione, comproprietario delle parti comuni dell’edificio, egli può sempre agire di propria iniziativa (con spese a proprio carico) per la rimozione degli ostacoli strutturali. Grimaldello normativo che lo consente è l’art. 1102 del Codice civile. Secondo questa norma, infatti, tutti i condomini possono usare le cose comuni nel modo più consono ai loro bisogni purché ciò non limiti il pari diritto di ogni altro comproprietario e dovendo sempre evitare che eventuali interventi sulla struttura dell’edificio rechino pregiudizio al decoro, alla sicurezza e alla stabilità dell’edificio.
Così, ad esempio, se l’unica possibilità per un condomino di accedere alla propria abitazione è rappresentata dall’installazione di un ascensore e ciò non comporta alcun pericolo, egli avrà diritto di installare quell’impianto e gli altri condomini saranno tenuti a sopportare il disagio, che deve sempre restare minimo, che quell’opera potrebbe arrecare. Questo nella sostanza, è quanto ha affermato la Cassazione nella sentenza n. 2156 del 14 febbraio 2012. Quindi, secondo i giudici di legittimità, in materia di uso dei beni comuni, da parte del singolo condomino, correlato all’eliminazione delle barriere architettoniche, per coniugare esigenze della proprietà e della salute e diritto degli altri comproprietari sulle cose comuni, le prime devono assumere maggior valore senza, tuttavia, che ciò significhi totale compressione di quest’ultimo.
Questa valutazione, hanno chiarito i giudici, deve essere fatta caso per caso e anche l’assemblea condominiale deve tenerne conto, nel deliberare sull’uso delle cose comuni da parte dei singoli condomini.
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