Insieme per l’ Italia fuori dall’ Euro
Volentieri diffondo l’ ultimo articolo che Aldo Giannuli ha pubblicato sul suo blog:
Quello dell’Euro è un progetto fallito, e gli interessi dell’Europa periferica sono radicalmente opposti a quelli tedeschi. Ma forse siamo ancora in tempo a varare una exit strategy dalla moneta unica, graduata in 2-3 anni ed avendo cura di garantire a tutti un atterraggio meno duro possibile
Si avvicina la scadenza dei titoli trimestrali greci e, come da copione, inizia il solito teatrino: i conti non tornano, i tedeschi giurano che di altri aiuti alla Grecia non se ne parla e che Atene è ora che esca dall’Euro, i greci replicano che loro non vogliono uscire dall’euro, Draghi media, i tedeschi mostrano qualche svogliata disponibilità e via di questo passo. Può darsi che questa sia la volta definitiva o che, invece, troveranno l’ennesima toppa per arrivare al prossimo trimestre, non importa, tanto il finale di commedia è già scritto e non ci sono santi: prima o poi, la Grecia farà default. D’altra parte, i termini della questione non sono cambiati. Non potevano cambiare e non cambieranno in tempi così brevi. L’unico salvataggio della Grecia (come degli altri paesi mediterranei) avrebbe potuto essere la messa in comune dei debiti europei, accompagnata da un forte programma di investimenti e ripresa economica; ma questa strada è stata preclusa dai tedeschi che ormai non sono più interessati al progetto europeo (motivo non ultimo del fallimento definitivo di ogni progetto di Unione).
Si è andati avanti con ipotesi di haircut (ripudio concordato e parziale del debito) verso le banche creditrici e prestiti a breve termine da parte di banche e vari fondi di soccorso europeo. Il risultato è un disastro: l’haircut ha l’effetto di rendere poco rifinanziabile il debito rimanente, perché sono molto pochi quelli disposti ad investire nei titoli di un debitore che ha appena finito di dire che non restituirà tutto il capitale ricevuto. Il "taglio" può funzionare solo con debitori interni e con pratiche di prestito forzoso, ma funziona molto meno nei mercati internazionali, a meno di salatissimi interessi che, però, hanno il difetto di aggravare la posizione del debitore, rendendo ancora meno credibili i suoi titoli. E gli "aiuti" di breve termine completano il tutto riproducendo ad ogni scadenza la stessa situazione con un debitore sempre più dissanguato dagli interessi.
Ma, si dice, i greci potrebbero fare quelle "riforme" che la Ue ed il Fmi gli chiedono. Argomento risibile: ammesso che queste mitiche "riforme" abbiano l’effetto risanatore auspicato (cosa della quale non siamo affatto convinti), è evidente che i loro effetti si avvertirebbero nel lungo periodo. Calcolando che il debito greco ha superato il 300% del Pil (gli effetti dei timidi haircut è stato quasi del tutto riassorbito dal salasso degli interessi), pur dicendo che ci accontentiamo che il debito scenda di 120 punti Pil su quello attuale (e restando comunque altissimo), quanto tempo ci vorrebbe per ottenere questo risultato?
Con un avanzo primario pari al 2,5% costante ogni anno, ci vorrebbero 48 anni. La crisi ha molta meno pazienza. Peraltro, nessuno spiega come un paese che, intanto dovrebbe dissanguarsi per gli interessi e senza capitali di investimento, possa fare un avanzo primario di quelle dimensioni e costante per mezzo secolo.
Il punto è che i tedeschi sostengono la Grecia come la corda sorregge l’impiccato: quel tanto che basta a non fare default nell’immediato, mentre le loro banche succhiano tutti gli interessi possibili e, soprattutto, si attrezzano ad avventarsi sulla grande svendita dei beni pubblici greci (isole, monumenti, porti ecc.) ed è questa l’unica vera riforma che interessa ai tedeschi.
Dal canto loro, i greci cercano di restare nell’Euro pagando il meno possibile e sperando in qualche svolta che gli consenta di uscirne in qualche modo. A questo scopo, usano il classico "ricatto del debitore" rafforzato dal fatto che un loro fallimento avrebbe ripercussioni imprevedibili sull’Euro.
I tedeschi, di tanto in tanto, affermano in tutta tranquillità che la Grecia può fare default ed uscire dalla moneta unica che sopravvivrebbe benissimo senza di essa, anzi, ne sarebbe alleggerita. Nello stesso tempo altri analisti affermano che un’uscita della Grecia dall’Euro ne determinerebbe la fine per l’effetto domino. Infatti, una simile soluzione, non solo avrebbe l’effetto di bruciare i crediti delle banche francesi e tedesche (e questo sarebbe il meno), ma toglierebbe ai paesi debitori quella garanzia che dava l’appartenenza all’Euro, per cui non è difficile prevedere che lo spread schizzerebbe verso l’alto.
Contemporaneamente l’Euro subirebbe un crollo di immagine, perché non sarebbe più quella "scelta irrevocabile" di cui parlano i trattati: il caso greco stabilirebbe un precedente che in breve potrebbe trasformare la moneta unica nel Grand Hotel: gente che viene, gente che va.
In realtà, nessuno è in grado di stabilire – non dico con certezza, ma con sufficiente approssimazione – quel che accadrà, la cosa più probabile è che i tedeschi cerchino di scaricare sui paesi deboli il costo di un eventuale crollo dell’Euro, considerando anche l’ipotesi di una sua rifondazione come moneta del "club del Nord".
Insomma, stiamo ballando sul ponte del Titanic in attesa degli eventi.
Il punto è che quello dell’Euro è un progetto fallito, perché non solo non c’è stata la convergenza prevista fra le diverse economie, ma la moneta unica si è rivelata una gabbia che ha irrigidito tutto, rendendo impossibile una uscita dalla crisi della finanza pubblica dei paesi deboli.
Piaccia o no, i nostri interessi (di Grecia, ma anche Spagna, Portogallo ed Italia) sono opposti a quelli tedeschi e non sono mediabili all’interno di una stessa moneta. Noi abbiamo bisogno di una vigorosa svalutazione per ridimensionare il debito (passo che, peraltro, pagheremmo in termini di aumento dei costi delle importazioni, a cominciare dal petrolio: ne siamo coscienti), mentre i tedeschi possono essere interessati a qualche ritocco che aiuti le esportazioni, ma hanno bisogno di una moneta forte per comprare a buon mercato le materie prime per la propria industria di trasformazione. E ci sono anche altri motivi di ordine più politico e meno economico che li spingono in questa direzione.
Nel frattempo, la crisi incalza con colpi di maglio sempre peggiori sul debito pubblico dei paesi europei. Nessuno si illuda di averla fatta franca perché la "battaglia di agosto" si è risolta in un pressing tutto sommato abbastanza contenuto: ne riparliamo a novembre dopo le elezioni Usa.
Ed allora che si fa dell’Euro? Non credo che l’esperimento avviato del 2002 possa andare avanti a lungo, per cui è ragionevole che in tempi non lontanissimi si arrivi al capolinea. Ma c’è modo e modo di arrivarci (e rispondo anche a chi mi chiedeva a chi converrebbe un’uscita dell’ Italia dall’Euro): un conto è se il tetto ci cade in testa ed un conto è se prepariamo una ordinata uscita di casa prima che tutto crolli. Forse siamo ancora in tempo a varare una exit strategy dalla moneta unica, graduata in 2-3 anni ed avendo cura di garantire a tutti l’atterraggio meno duro possibile. Porre la questione dell’uscita dall’Euro è in sé una cosa assolutamente ragionevole, ma discutiamo di come farlo senza farci male.
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