Ecco perché il dollaro
resterà debole ancora a lungo
Oggi ho trovato un articolo molto interessante che vi segnalo di seguito, il quale invece descrive lo scenario futuro visto da un importante economista americano: Martin Feldstein.
Le idee che il sole 24 ore propone riflettono la mentalità neo liberista iniziata ai tempi di Ronald Reagan, a cui ancora oggi molti pensatori illustri si riferiscono.
Ciò nonostante la conclusione dell’ articolo, a mio giudizio, è condivisibile e appropriata:
L’incremento del risparmio delle famiglie limiterà la crescita dei tassi d’interesse Usa, ma non cambierà il dato di fatto che la combinazione tra i forti deficit di bilancio del governo di Washington nei prossimi anni e la minore disponibilità da parte dei prestatori esteri ad acquistare titoli americani condurrà al tempo stesso all’indebolimento del dollaro e all’innalzamento dei tassi d’interesse negli Stati Uniti.
Pertanto, è opinione concorde della maggioranza degli economisti non schierati che il dollaro perderà valore nel prossimo futuro.
Questa realistica previsione, a mio giudizio, avrà conseguenze che potrebbero essere molto concrete anche da noi che usiamo l’ euro.
Ciò in quanto la svalutazione del dollaro potrebbe essere, a mio giudizio, improvvisa e molto inaspettata.
Infatti, l’ equilibrio mondiale del valore delle monete oggi si fonda sul prezzo del petrolio quotato in dollari.
La caduta costante del valore del dollaro, causa un irritazione sempre più sensibile sia da parte dei creditori cinesi, giapponesi e indiani, i quali si ritrovano costretti a continuare a finanziare il debito USA per sostenere le proprie esportazioni; sia da parte degli esportatori di greggio arabi, i quali hanno nelle casse quantità esagerate di biglietti verdi che valgono sempre di meno.
Questa situazione ha un punto di rottura, che, prima o poi, scatenerà la paura collettiva di perdere del tutto il valore della moneta espressa in USA.
In quel momento si scatenerà una svalutazione globale mai conosciuta prima, la quale molto probabilmente si trasmetterà in europa, minando il valore degli investimenti mobiliari.
Un piccolo segnale di questa incombente tempesta che si sta avvicinando, a mio giudizio, si manifesta nella costante diminuzione dei prezzi delle case, la quale porta i venditori a rincorrere i compratori offrendo prezzi sempre più bassi.
Vedremo che succederà!
Il Sole 24 ore
Il tasso di risparmio delle famiglie americane è cresciuto nettamente dall’inizio dell’anno, toccando a maggio la quota del 6,9% del reddito personale dopo le tasse, il livello più alto dal 1992. In base alle dimensioni attuali dell’economia, questa percentuale equivale a risparmi annui per 750 miliardi di dollari (530 miliardi di euro).
Un tasso di risparmio del 6,9% non è alto rispetto a quello di molti altri paesi, ma resta un cambiamento impressionante rispetto ai dati registrati nel 2005, 2006 e 2007, inferiori all’1 per cento.
Prima di cominciare a crescere, lo scorso anno, il tasso di risparmio delle famiglie americane era in calo da oltre vent’anni, per effetto dell’incremento della ricchezza delle famiglie. L’ascesa del mercato azionario e l’incremento del valore delle abitazioni ha indotto i cittadini a consumare una quota maggiore del loro reddito e risparmiare meno. Il risultato è stato che la maggior parte degli americani attivi ha ridotto la quota del proprio reddito da accantonare per la pensione, mentre i pensionati hanno potuto incrementare il loro livello di spesa. Il tasso di risparmio netto è sceso quasi a zero.
Il brusco calo della ricchezza delle famiglie avvenuto negli ultimi due anni, però, ha messo fine a tutto questo. L’impressionante discesa dei prezzi delle azioni e un calo del 35% dei prezzi delle case ha ridotto la ricchezza delle famiglie a 14mila miliardi di dollari, una perdita pari al 140% del reddito disponibile annuo. I cittadini ora devono risparmiare di più per essere pronti per la pensione, e i pensionati hanno meno soldi da spendere. In prospettiva, il tasso di risparmio potrebbe crescere ulteriormente, e in ogni caso rimarrà elevato per molti anni.
L’incremento del risparmio delle famiglie fa sì che per l’America sia meno necessario di prima poter disporre di fondi esteri per finanziare gli investimenti e l’edilizia residenziale. Di per sé, questi 750 miliardi di dollari risparmiati in un anno dalle famiglie potrebbero sostituire gli afflussi di capitale dal resto del mondo.
Considerando che il picco raggiunto da questi flussi di denaro in ingresso è stato di 803 miliardi di dollari (nel 2006), la maggiore risparmiosità delle famiglie potrebbe annullare quasi completamente la dipendenza dell’America dai capitali esteri.
L’afflusso di capitali negli Stati Uniti è pari ogni anno al deficit della bilancia dei pagamenti (la somma del deficit commerciale più interessi netti e dividendi dovuti dal Governo e dalle imprese Usa al resto del mondo). Il calo degli afflussi di capitale pertanto comporterebbe una riduzione del deficit commerciale.
Dal momento che per ridurre il deficit commerciale è necessario incrementare le esportazioni e limitare le importazioni, il dollaro dovrebbe perdere valore rispetto alle altre valute per rendere i prodotti Usa più allettanti per i compratori stranieri, e i beni e servizi Usa più allettanti per i consumatori americani.
Senza un calo del dollaro, con conseguente aumento delle esportazioni nette, un tasso di risparmio più alto e una riduzione della spesa per i consumi potrebbero spingere l’economia americana in una recessione profonda. Al contrario, un dollaro debole renderebbe possibile coniugare minor spesa per i consumi e piena occupazione, perché sposterebbe la spesa da beni e servizi d’importazione a beni e servizi di produzione nazionale, e perché a questa crescita della domanda interna aggiungerebbe anche la crescita delle esportazioni.
Ma questo collegamento diretto tra maggior risparmio delle famiglie e minor valore del dollaro verrà a crearsi solo se il maggior risparmio delle famiglie non sarà annullato da un incremento del non-risparmio pubblico, cioè da un incremento del deficit pubblico.
Un consistente disavanzo di bilancio aumenta la necessità di fondi esteri per evitare di far precipitare gli investimenti privati. Per dirla in altro modo, il valore del dollaro riflette il risparmio complessivo nazionale, non solamente i risparmi delle famiglie.
Sfortunatamente, il disavanzo di bilancio americano rimarrà elevato per molti anni, secondo le previsioni. L’Ufficio bilancio del Congresso stima che il deficit del Governo Usa arriverà nel corso del prossimo decennio al 5,2% del Pil, e fra dieci anni da oggi sarà del 5,5 per cento. Questo indebitamento pubblico, se avverrà effettivamente, assorbirà tutti i risparmi disponibili delle famiglie, anche ai livelli attuali.
Ciò vorrà dire che gli Stati Uniti continueranno a necessitare di forti afflussi di capitale estero per finanziare gli investimenti e l’edilizia residenziale. Perciò il dollaro dovrà restare ai livelli attuali per continuare a tenere in piedi il forte deficit commerciale e i conseguenti flussi di capitale in entrata.
È possibile, naturalmente – direi anche che è probabile – che la Cina e altri prestatori stranieri non siano disposti a continuare a garantire agli Stati Uniti gli attuali volumi di prestito. La minor domanda di dollari da questi paesi spingerà al ribasso la valuta americana e ridurrà il deficit commerciale.
Questo minor deficit commerciale e la conseguente diminuzione degli afflussi di capitale determinerà tassi d’interesse più alti negli Stati Uniti. I tassi d’interesse più alti faranno scendere gli investimenti e l’attività edilizia, fino a che non arriveranno a un livello tale da poter essere coperti dal ridotto volume di risparmio interno sommato ai ridotti flussi di capitale in entrata.
L’incremento del risparmio delle famiglie limiterà la crescita dei tassi d’interesse Usa, ma non cambierà il dato di fatto che la combinazione tra i forti deficit di bilancio del governo di Washington nei prossimi anni e la minore disponibilità da parte dei prestatori esteri ad acquistare titoli americani condurrà al tempo stesso all’indebolimento del dollaro e all’innalzamento dei tassi d’interesse negli Stati Uniti.
* Martin Feldstein è professore di economia a Harvard.
È stato capo dei consulenti economici del presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan
Copyright: Project Syndicate, 2009.
(Traduzione di Fabio Galimberti)
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