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I debiti pubblici sono ormai inesigibili?

….una cosa è certa: In Occidente siamo entrati tutti in una zona pericolosa, quella dove lo Stato e il mercato si osservano, chiedendosi chi dei due premerà il grilletto per primo.

Jacques Attali

    scrive….

Come reagirebbe un investitore privato che dovesse investire in un’ impresa il cui debito rappresentasse cinque anni di fatturato, le cui perdite annuali fossero il quinto del fatturato e le cui necessità annuali di prestito superassero il fatturato?

Questa è la situazione di molti paesi occidentali.

Se la tendenza attuale non si invertirà rapidamente, potrebbe un giorno (più vicino di quanto si crede) che gli stati si riveleranno incapaci di mantenere il funzionamento normale dei servizi pubblici fondamentali: scuole, ospedali, esercito, polizia, pensioni.

Accadrebbe lo stesso per molte istituzioni sociali e comunità locali.

Il peggio non è tuttavia un’ idea nuova: il fallimento è da tempo la soluzione più frequente in materia di indebitamento eccessivo.

Fra il 1800 e il 2009, ci sono state 250 insolvenze sul debito estero e 68 su quello pubblico.

Solo il Canada, la Danimarca, la Finlandia, la Norvegia, la Corea del sud, Hong Kong, Singapore, Taiwan, l’ Australia e la Nuova Zelanda sono riusciti finora a evitare la bancarotta; anche se alcuni di questi paesi ci sono andati anche loro molto vicini.

La rovina dell’ intero Occidente costrituisce dunque uno scenario credibile, così poco prevista dai contemporanei come lo fu a suo tempo quella di Venezia, di Genova e di Madrid.

Come in passato, l’ enormità del debito sovrano può scatenare questa rovina e al tempo stesso essere il mezzo per prendere coscienza della sua imminenza: con i limiti che impone, costituisce un principio di realtà.

Nessuna sa quando i mercati fischieranno la fine della ricreazione facendo salire ovunque i tassi di interesse; nè se l’ opinione pubblica esigerà dai governanti una moratoria sul debito sovrano per poter continuare a finanziare i servizi pubblici.

Nessun indice permette di tracciare il limite tra il debito buono e quello cattivo, nè di fissare il livello giusto del debito buono, nè di arbitrare il duello mortale tra lo stato e i mercati.

Nessuno può affermare che esiste un livello ideale di disavanzi e di debiti.

La storia mostra soltanto che i mercati finanziano facilmente livelli di debiti molto più elevati di quelli previsti da tutte le dottrine; e che alcuni paesi stanno abbastanza bene con un debito pari al 250% del loro PIL, mentre, al contrario, altri falliscono con un debito sovrano uguale al 20% del PIL.

Nessun seguale può predire lo scoppio di una crisi, fatta eccezione, forse, del pagamento degli interessi a bilancio: quando raggiunge il 50% delle entrate fiscali, il disastro è inevitabile.

In generale, a questo livello di indebitamento pubblico, il governo è costretto a intervenire riducendo in maniera massiccia le spese, altrimenti il mercato reclama il dovuto.

In realtà, lo scoppio di una crisi del debito sovrano dipende da un gran numero di parametri:

La fiducia dei finanziatori, il coincidere delle loro aspettative, la capacità politica del paese di mantenere la parola data, l’ evoluzione del suo tasso di crescita, dei tassi di interesse, di quello demografico, del tasso di risparmio; la capacità delle sue entrate fiscali di servire il debito, il suo surplus primario (ossia il suo saldo di bilancio prima degli interessi), lo stato dei suoi attivi, la capacità di prendere in prestito in valuta nazionale, la facoltà del suo governo di aumentare ancora le tasse e di fare economia.

In questo settore, più che in qualsiasi altro, l’ economia è soltanto una scienza politica.

Più politica che scienza…

Una cosa è certa: In Occidente siamo entrati tutti in una zona pericolosa, quella dove lo Stato e il mercato si osservano, chiedendosi chi dei due premerà il grilletto per primo.

Il Sole 24 ore

L’effetto del piano di aiuti all’Irlanda da 85 miliardi è durato poco sui mercati. Dopo un avvio in rialzo, infatti, le Borse europee hanno azzerato i guadagni girando in territorio negativo, segnale evidente che il quadro economico europeo è ancora dominato dall’incertezza. Il Cac40 di Parigi cede lo 0,9%, ilFTSE 100 di Londra lo 0,5%, il Dax30 di Francoforte lo 0,66 per cento. A Piazza Affari il FTSE Mibperde lo 0,99% e il FTSE IT All Share lo 0,93 per cento. Tra i titoli peggiori Intesa Sanpaolo (-2,11%) eUnicredit (-1,6%), proprio quelli che in apertura avevano trainato gli acquisti con i maggiori rialzi.

Euro sotto 1,32
Le preoccupazioni sulla tenuta del debito dei paesi periferici, Portogallo e Spagna in primis, si riflettono sull’andamento dell’euro che oggi, nei confronti del dollaro, è scivolato a quota 1,3136, sui minimi degli ultimi due mesi. «L’euro rimane soggetto a prese di profitto ogni volta che risale, ogni recupero è temporaneo – spiaga alla Reuters Ankita Dundai di Rbs Global Banking -. Ora ci si sta prendendo cura dell’Irlanda, ma la domanda è se il Portogallo avrà bisogno di aiuto quest’anno o all’inizio del prossimo, e all’orizzonte c’è la Spagna».
Balzo per bond spagnoli e BTp
La tensione si riflette anche sul mercato obbligazionario. Questa mattina i tassi sui titoli di Stato spagnoli a dieci anni sono saliti al 5,330%, il nuovo massimo dal 2002.
Nuovo balzo in alto anche per i rendimenti dei BTp triennali e decennali, aggiudicati oggi in asta a tassi più alti di mezzo punto percentuale rispetto alle precedenti emissioni. Nel dettaglio, il decennale 1/3/2021 é stato aggiudicato al tasso lordo annuo del 4,43%, in rialzo di 0,54 punti dall’asta precedente. Il triennale 1/11/2013 é stato aggiudicato al tasso lordo del 2,86% con un rialzo di 0,55 punti rispetto all’asta precedente. L’importo assegnato é al massimo della forchetta prevista dal Tesoro: 2,5 miliardi per il triennale e 2,998 miliardi (su 3mld) per il decennale. In rialzo anche i rendimenti dell’asta dei CcTeu scadenza 15/10/2017 al 2,3% (+0,52%).
Nel complesso la domanda è stata molto buona: le richieste arrivate sono state pari a 1,38 volte la quantità offerta per i titoli a tre anni e a sette anni, leggermente più bassa, a 1,27 volte, quelle per la scadenza più lunga.

L’asta ha influenzando anche l’andamento dei BTp quotati sul mercato secondario. Il rendimento dei titoli a 10 anni è salito di 10 punti base al 4,53%, e lo spread (differenziale di rendimento) rispetto al corrispondente Bund tedesco si è ampliato fino a 185 punti avvicinandosi al record di 191 segnato il 12 novembre.
In tensione anche le obbligazioni del Portogallo: il rendimento del bond con scadenza a 10 anni è salito di 6 punti base al 6,76 per cento.
Volano le banche irlandesi, Bank of Ireland annuncia un aumento di capitale
Il piano di aiuti irlandesi si riflettono sui titoli del credito dell’isola. Brindano in particolare Allied Irish eBank of Ireland in volo, rispettivamente del 17% e del 6 per cento. Ben intonata la Borsa di Dublino, in un corposo rialzo (+1,6%)
. Sempre oggi Bank of Ireland ha annunciato che entro febbraio dovrà realizzare una iniezione di capitale di almeno 2,2 miliardi di euro. Bank of Ireland é già controllata al 36% dallo Stato e con questa ricapitalizzazione verrebbe nazionalizzata.
Giappone
Il Nikkei ha chiuso in rialzo dello 0,86% grazie a una ripresa del dollaro sullo yen della quale hanno beneficiato gli esportatori. I più ampio Topix ha guadagnato lo 0,90% a 874,59 punti.
I guadagni sono stati tuttavia limitati da prese di beneficio, con gli investitori che subiscono gli effetti dell’incertezza legata alle turbolenze della zona euro e della penisola coreana.Tra gli esportatori, Toshiba Corp ha chiuso in progresso del 2,83%, Sony del 2% e Kyocera dell’1,9 per cento. Un dollaro viene scambiato a 84 yen.
Sul fronte macroeconomico, le vendite al dettaglio in Giappone sono scese dello 0,2% annuale nel mese di ottobre, facendo segnare il primo calo dopo 9 mesi consecutivi di rialzi. Il calo é stato determinato dagli acquisti ridotti di automobili alla fine del periodo di sussidi governativi, scaduti in settembre. Il dato di ottobre, fornito dal ministero dell’Economia, commercio e industria (Meti) viene dopo il rialzo dell’1,2% segnato in settembre. Le vendite della grande distribuzione sono salite dello 0,4% in ottobre.

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