Gomorra in sala
Il patto di ferro fra mafia e politica
Cari amici,
Non so se andrò a vedere Gomorra.
Sono stato tentato di leggere il libro, ma finora non ho mai avuto il coraggio di cominciare.
Credo che molti argomenti descritti li ho già letti in passato su altri libri, e li ho già visti in altri film.
Gomorra è l’ aspetto visibile della crisi del nostro modello sociale!
Ci sono problemi grandi come montagne che gravano sulle nostre vite, e le condizionano.
Tutti noi siamo spinti da forze potenti “di mercato” a guadagnare sempre di più.
Chi è premiato in questo “gioco sociale” di solito non è il più bravo, ma il più scaltro.
L’ erosione del potere dello stato è palpabile: Forze potenti “private” lo stanno soppiantando giorno dopo giorno, imponendo a tutti di vivere con criteri di produttività, intendendo con questo termine un significato riduttivo:
Per “Produttività” in questo contesto allucinante, si intende la capacità di generare valore finanziario, ossia liquidità (soldi)!
Punto! Non interessa nient’ altro! Tutti i nostri comportamenti sono orientati e plasmati dalla politica e dalla società soltanto per conseguire questo obiettivo considerato primario e preminente: GUADAGNARE!!
Siamo tutti in questo gioco, e tutti siamo costretti a giocare!
Che razza di mondo scaturirà da questa organizzazione?
Ho paura di immaginarlo!
Il manifesto
roberto silvestri
«E l’uomo si ricordi che molte superbe e ricche città, proprio quando l’uomo si crederà padrone del cosmo, faranno la fine di Sodoma e Gomorra». Così Giordano Bruno anticipava di 500 anni il primo volo sulla luna e l’autodistruttiva globalizzazione. Ma oggi leggiamo alla fine di Gomorra di Matteo Garrone, che la Camorra, apocalitticamente corretta, ha già acquistato azioni per la ricostruzione delle Torri Gemelle di Manhattan… La potenza visiva del best seller scioccante di Roberto Saviano, analisi accurata e denuncia accorata della crescita criminale, economica e politica della camorra come multinazionale, non più come sola autovalorizzazione feudale del territorio, è da ieri racchiusa nelle 2 ore e 18 minuti di questo film d’immediato successo che, attraverso 5 intrecciati affreschi necrorealisti, su manovalanza, apprendistato, controllo capillare del territorio marginale, ipersfruttamento tessile (a istigazione cinese) e incarognimento degli strati intermedi, subimprenditoriali e «di fuoco», restituisce l’esperienza emotiva e la scultura interiore di almeno un pezzo del mosaico. Ridipinta la scenografia con il colori «fango su fango» di Toccafondo, e dotata di sensibilità populista, a glorificare i peggiori dei peggiori, perché per essi è il regno dei cieli, ecco la parte bassa della camorra: i quartieri costruiti da architetti più criminali di chi li abita, i corpi e le pulsioni deviate di chi è condannato a non poter mai volere «tutto e subito», pur producendo tutto e subito. I più stritolati. L’ «Africa», i «rom dei rom» falso abbronzati della camorra. Certo, il film (vedi l’episodio di Toni Servillo, smistatore di scorie cancerogene, e dell’allievo alla fine indocile «Roberto», al cui personaggio sono affidate le sole speranze etico-didattiche dell’opera) spinge troppo nel fuori campo, affidandolo alla ricezione di parte, ciò che il best seller ha scodellato con scandalo maggiore, il patto di ferro tra camorra e potere politico. Ma, nel «dopo Rosi», dunque «a causa di Rosi», non rischiamo forse – si sarà chiesto Garrone – di essere sbeffeggiati come ideologici e demodé? Fuori campo, se non nella didascalia finale, anche le cifre, per essere «spettatori oggettivi». I 25 mila affiliati e i 200 mila fiancheggiatori della mafia; i 4000 morti di camorra in 30 anni, i 150 miliardi di euro l’anno di giro d’affari (per la Fiat 58 e d’investimenti planetari provenienti da tutto ciò che sappiamo e soprattutto, sono orrori recenti – e il film ne è avvelenato, dallo smaltimento dei rifiuti tossici (altro che eroina). Se amianto e superballe di riciclaggio illegale fossero accorpati diventerebbero una montagna alta 14.600 metri. E così torna al magnate furbetto nordista, sotto forma di mozzarelle e pomodori avvelenati, quel che lui ha fatto seppellire nelle viscere della Campania. Già, ma le bufale non ridono neanche nel «biutiful cauntri». Che in questi giorni è furioso, senza più santi a cui votarsi, se non di apocalittica potenza di fuoco. Sono quelli che il papa e Fini minacciano, come «relativisti culturali». Matteo Garrone e Roberto Saviano cercano di non raggiungere Giordano Bruno sul rogo. Se la civiltà cristiana occidentale tollera infatti non l’esistenza di indispensabili peccatori, come i «casalesi», in questo caso, ma la vista delle diavolerie urbanistico-sociali che stritolano Napoli e Caserta, così come dei ghetti di commuovente povertà che ornano Los Angeles e Lagos di identica fame, rendendo vana la caccia ai veri peccati e peccatori, vuol proprio dire che quelle «radici culturali» vanno sostituite, e presto.
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