Diossina, più controlli dopo «mucca pazza». Gli esperti: da noi paura infondata
Il sottosegretario Francesca Martini.: pochi rischi, ma ora indicare l’origine anche per i suini
Cari amici,
prendo spunto da un articolo tratto dalla WebPage del Corriere della sera, per accendere l’ attenzione su questo importantissimo problema.
Che ne sappiamo di come il cibo che mangiamo quotidianamente è “fabbricato”, “commercializzato” e “venduto” dai supermercati?
Che ne sappiamo dei ragionamenti che guidano il comportamento dei dirigenti che riempiono gli scaffali dei supermercati di “roba” che poi noi, con rispettoso ordine e in piena “libertà”, svuotiamo, mettiamo nei carrelli, e paghiamo alla cassa?
La risposta è “nulla” …a parte una piccola etichetta di spiegazione e il prezzo!
Quando mi aggiro tra gli scaffali degli ipermercati mi assale una sensazione di impotenza, di inadeguatezza e di ignoranza.
Mi sento una pallina che rotola negli ingranaggi di un mercato, pensato e organizzato apposta per farmi rotolare.
Le nostre Comunità Residenziali sono disperse in tanti atomi, e raramente si organizzano per andare a trovare i contadini che abitano vicino a casa nostra, al fine di organizzare un commercio di vivande che sia conveniente per noi che vogliamo mangiare bene, e per gli agricoltori che vogliono essere pagati adeguatamente, senza essere “schiavizzati” da chi ha il potere di acquistare e rivendere alla grande distribuzione.
Certamente ad organizzarci si fa fatica, …ma la libertà non si conquista senza lavorare.
Siamo tutti responsabili di come spendiamo i nostri soldi, e soltanto noi possiamo creare nuovi meccanismi di redistribuzione del valore.
Spero di incontrare amici che sappiano insegnarmi a mangiare e a comprare “bene”, e metto in gioco le mie competenze per agevolare questo nuovo mercato che “deve” incominciare, se vogliamo immaginare un’ economia che promuova libertà e benessere!
Corriere della sera
ROMA — Rischia di assestare un colpo pesante al mercato del maiale l’allarme diossina sulle carni esportate dall’Irlanda. In Italia i consumi erano già in calo. Secondo i dati Ismea già nel 2007 c’è stata una flessione di circa l’1% rispetto all’anno precedente. Un calo inferiore a quello dei bovini (-3,1%) ma preoccupante alla luce della nuova minaccia nascosta in uno degli alimenti più richiesti nel periodo natalizio. Aziende, sindacati di produttori ed esperti di nutrizione invitano a non lasciarsi catturare dall’emotività indirizzando verso la scelta di cibi di casa nostra, più sicuri. A cominciare dal Gran suino padano, marchio Dop, certificato. Ma i timori non si dissolvono considerando la facile reattività dei consumatori di fronte alle emergenze passate. Il problema è che il maiale e i derivati non sono soggetti ad obbligo di etichettatura. Ed è possibile che il caso irlandese spinga le autorità comunitarie a valutare a un giro di vite. «Io lo proporrò, abbiamo il diritto di conoscere da dove viene ciò che mangiamo», annuncia il sottosegretario al ministero del Wel-fare, Francesca Martini. Forse c’era proprio bisogno di una scossa. Come fu «mucca pazza», la grande emergenza che nel 2001 ha messo in ginocchio manzo, vitello. L’Unione Europea per restituire fiducia ai consumatori introdusse già a partire dall’anno successivo l’obbligo di etichetta. Anche polli e tacchini sono soggetti a regole di rintracciabilità. Pur non essendoci una regolamentazione comunitaria, le aziende italiane, duramente colpite dalle crisi legate all’influenza aviaria, applicano spontaneamente il principio della trasparenza denunciano il percorso del prodotto dalla nascita alla tavola. Il consumo è cresciuto nell’ultimo anno del 3%.
Ma qual è il reale livello di esposizione dell’Italia a partite di suini e bovini alla diossina? Il rischio potrebbe essere molto basso. Il nostro Paese, secondo Coldiretti, Fedagri-Confcooperative e Cia, non acquista più dello 0,3%. La diffusione di carni sospette è circoscritta. I nostri maggiori fornitori sono Danimarca, Germania, Olanda, Francia e in minore misura il Brasile, che coprono il 45% del fabbisogno interno. I prodotti vengono utilizzati soprattutto per la trasformazione, per preparare tra l’altro zamponi e cotechini. «Non fasciamoci la testa di paure infondate — avverte Gaetano Maria Fara, docente di Igiene all’università La Sapienza —. Se proprio vogliamo vincere l’ansia il consiglio è di acquistare cibi italiani con marchi di fiducia. Le aziende serie utilizzano solo materie prime di qualità e origine controllata. Il maiale non va abbandonato. Casomai alterniamolo alle altre carni bianche vale a dire pollo, coniglio e pesce di mare, non di allevamento». Variare la dieta significa applicare il cosiddetto principio della «diluizione del rischio». Per non contare il fatto che dal punto di vista dei controlli sulla carne l’Italia è un Paese diligente. Siamo gli unici in Europa a pretendere l’obbligo di segnalazione ai 24 Uvac (servizi veterinari per gli adempimenti comunitari) di ogni prodotto che entra. E su questi vengono effettuati una serie di verifiche e analisi. I test sulla diossina sono eseguiti a campione, da tre laboratori specializzati. Costano molto e per questo non possono essere sistematici. Altri controlli da parte dei veterinari (5 mila quelli di sanità pubblica) al momento della macellazione (se si tratta di animali vivi) e durante le successive fasi di lavorazione, fino al momento dell’immissione in commercio. Nas, Finanza, Guardia Forestale e altre forze dell’ordine intervengono in situazioni particolari. Gli esperti di diossina raccomandano saggezza: «Perché la diossina provochi danni alla salute è necessaria una esposizione prolungata ad alte dosi. Non mi sembra questo il caso», avverte Claudio Minoia, istituto Maugeri di Pavia.
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