Il primo sprizza colori. Caldi, decisi, mediterranei. Ma lo sguardo franco e diretto è incorniciato da un paio di occhiali scarlatti, vezzo da artista. Piacerebbero molto a Elton John.
Il secondo solca un periodo in bianco e nero. Il rude ascetismo delle rughe precoci riusciva a stupire anche i suoi scombinati compagni di Radio Aut. Persiane divelte, bandiere compagne e comuni freak. Ma lui aveva intuito l’inganno, e il vento freddo gli spazzava via gli occhi troppo mesti.
Entrambi si chiamavano Giuseppe. Ma il primo è rimasto tale: Giuseppe Di Fini , per la precisione. Di anni 12, da Enna. L’altro era ormai adulto, ancorché giovane, eppure lo ricordiamo per un vezzeggiativo fanciullesco: Peppino. Peppino Impastato , di anni 30, da Cinisi.
Eclettico e razionale il bambino, mistico il giovanotto. Il suo percorso solitario è stato stroncato nella notte di trent’anni fa. Come ricorrono i numeri, in certe esistenze. Ma il suo messaggio è andato a lambire mutevoli scorci, in un balenìo d’innocenza. L’innocenza che esige giustizia.
Nella notte di trent’anni fa veniva ritrovato il cadavere di Aldo Moro . Poco dopo sarebbe toccato a Walter Tobagi , che proprio ieri il neosindaco di Bresso e suo ex-compagno di liceo, Fortunato Zinni , ha ricordato in sala consiliare, e a moltissimi altri, vittime della stessa follia omicida. Oggi, il terrorismo e le mafie si sono estesi su scala mondiale.
Peppino, Aldo, Walter: ho voluto menzionarli insieme, perché insieme avevano contribuito a edificare un Paese di valori. E uguali, in fondo, erano i loro nemici: delinquenti comuni miranti a distruggere la democrazia e la società civile.
Da Peppino siamo giunti al fresco entusiasmo di Giuseppe e dei suoi amici, coetanei e insegnanti. Sognatori avidi e consapevoli. Un passaggio di mano, per mano. Da una notte di repubblica, l’avvenire di democrazia deve necessariamente attecchire in virgulti teneri, primigenii. Ma guai a noi, se non permettiamo a quell’avvenire di farsi vigore e possanza.
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