Anche nel condominio minimo, possono essere rimborsate le sole spese autonome urgenti
La Suprema Corte fa luce sui principi governanti la partecipazione alla conservazione della cosa comune. Nel condominio minimo, differentemente da quanto avviene nelle ipotesi di comunione, la spesa autonomamente sobbarcata da uno dei partecipanti è rimborsabile solo nel caso in cui abbia i requisiti dell’urgenza, ai sensi dell’art. 1334 c.c. Questo è il principio affermato dalla Cassazione Civile nella recente sentenza n. 16128/12, depositata il 21 settembre.
Il caso
Un uomo è condannato alla demolizione della sopraelevazione abusiva eseguita sull’edificio di proprietà degli attori e al conseguente risarcimento dei danni. La querelle riguarda anche la riparazione e la richiesta di rimborso delle spese di una porzione di tetto dello stabile, composto da due parti, di cui la seconda di proprietà comune dei convenuti nell’appello.
La Corte di Cassazione interviene richiamando i precedenti in materia del rimborso delle spese sostenute dal partecipante per la conservazione della cosa comune. Secondo una pronuncia delle Sezioni Unite (n. 2046/06), nella comunione i beni comuni costituiscono l’utilità finale del diritto dei partecipanti. Essi, se non vogliono chiedere lo scioglimento, possono decidere di provvedere personalmente alla loro conservazione; nel condominio, invece, i beni predetti rappresentano utilità strumentali al godimento dei beni individuali, così la legge regolamenta con maggiore rigore la possibilità che il singolo possa interferire nella loro amministrazione.
Deriva che anche nel condominio minimo (composto da solo due partecipanti), la spesa autonomamente sobbarcata da uno di essi è rimborsabile nel caso in cui abbia i requisiti dell’urgenza, ai sensi dell’art. 1334 c.c. (così anche Cassazione 21015/11). Altra doglianza lamenta che sia stata ordinato l’abbattimento della sopraelevazione per una violazione solo formale della legge sismica, senza aggravamento delle condizioni statiche dell’edificio, rinforzato – a detta del ricorrente – da un cordolo in cemento armato di nuova realizzazione. Il motivo di ricorso omette di riportare le considerazioni di consulenza d’ufficio che hanno sorretto la sentenza. Il giudice d’appello, ricorda la Suprema Corte, ha comunque ravvisato una violazione della normativa antisismica, il che «implica una presunzione di pericolosità che giustifica la demolizione ex art. 1127 c.c.» (Cass. n. 3196/08). Al centro della lente di ingrandimento degli Ermellini la questione del risarcimento del danno derivante dalle opere di cui è stata ordinata la demolizione: accordato in primo grado, però negato dal giudice di seconde cure. La decisione della Corte territoriale ha escluso correttamente l’esistenza di un danno permanente successivo al ripristino dei luoghi.
La sentenza resa nega tuttavia, senza motivazione, il risalto dovuto alla condizione di illegittimità in cui l’immobile è venuto a trovarsi sia in offesa del decoro architettonico, sia per contrasto con le prescrizioni antisismiche. Al giudice del rinvio, l’obbligo di nuova valutazione su questo specifico punto della vicenda.
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