28.05.2010 11:21
(18/05/2010)di Alessandro Gallucci,
L’art. 1803, che fornisce la nozione di comodato, recita:
“ Il comodato è il contratto col quale una parte consegna all’altra una cosa mobile o immobile, affinché se ne serva per un tempo o per un uso determinato, con l’obbligo di restituire la stessa cosa ricevuta.
Il comodato è essenzialmente gratuito”.
Si è di fronte ad un contratto a prestazione unilaterale (cfr. Cass. 18 dicembre 1990 n. 11980) trattandosi, come dice la norma, di negozio essenzialmente gratuito, nel quale una parte consegna all’altra una cosa mobile o immobile della quale quest’ultima può servirsi per uno specifico tempo e con una specifica destinazione.
Ai sensi del successivo art. 1810 c.c. “ se non è stato convenuto un termine né questo risulta dall’uso a cui la cosa doveva essere destinata, il comodatario è tenuto a restituirla non appena il comodante la richiede”.
In sostanza nel contratto di comodato a tempo indeterminato il comodante può ottenere indietro la cosa in qualsiasi momento.
Può accadere che per la sua conformazione il condominio abbia delle parti comuni che risultino inutilizzate.
Si pensi al locale caldaia a seguito di dimissione dell’impianto termico, a locali che pur dovendo essere destinati a luogo di svolgimento delle riunioni non sono vincolati a ciò da norme regolamentari o da deliberazioni assembleari.
In questi casi, è pacifico, l’assemblea di condominio può decidere di vendere o affittare queste cose comuni. A queste ipotesi vale la pena riferirsi per rispondere al quesito: le cose comuni possono essere date in comodato?
Ai sensi dell’art. 1108, terzo comma, c.c., infatti, “ è necessario il consenso di tutti i partecipanti per gli atti di alienazione o di costituzione di diritti reali sul fondo comune e per le locazioni di durata superiore a nove anni”.
Nel caso di locazione per un periodo di tempo inferiore ai nove anni sarà sufficiente la maggioranza indicata dall’art. 1136, secondo comma, c.c. e quindi: maggioranza degli intervenuti all’assemblea che rappresentino quanto meno 500 millesimi.
Non v’è differenza, nel caso di locazione per periodi minori di nove anni, se tale contratto comporti il mutamento di destinazione d’uso del bene. Come chiarito dalla Cassazione, “ infatti, in tema di condominio di edifici costituisce poi innovazione ex art. 1120 c.c. non qualsiasi modificazione della cosa comune ma solamente quella che alteri l’entità materiale del bene operandone la trasformazione, ovvero determini la trasformazione della sua destinazione, nel senso che detto bene presenti, a seguito delle opere eseguite, una diversa consistenza materiale ovvero sia utilizzato per fini diversi da quelli precedenti l’esecuzione delle opere (v. sentenze n. 240 del 1997 e 3549 del 1989). La locazione (…) per uso abitativo dell’appartamentino condominiale in precedenza concesso ad un condomino per uso deposito non realizzava un mutamento di destinazione nei termini precisati del bene (v. sentenze nn. 270 e 331 del 1976) ma soltanto una diversa utilizzazione che l’assemblea dei condomini poteva deliberare con la maggioranza semplice dell’art. 1136 – comma 2 c.c.” (Cass. n. 8622/98).
L’art. 1108 c.c., è utile evidenziarlo, è una norma dettata in materia di comunione ma applicabile anche al condominio negli edifici in virtù del richiamo, alle norme sulla comunione in generale, contenuto nell’art. 1139 c.c.
Tornando all’ipotesi del comodato l’identità di ratio rispetto a cessione e vendita si ferma alla consegna della cosa immobile all’altra parte dell’accordo, in quanto mentre in questi ultimi due l’acquirente o l’inquilino si obbligano a versare un corrispettivo per la prestazione della controparte, nella prima ipotesi il comodatario non ha quest’obbligo.
Tuttavia visto e considerato che dalla stipula di un simile accordo non sempre il comodante trae un’utilità non è azzardato affermare che, al pari di cessione e locazione ultranovennale, ed indipendentemente dalla sua durata (sia essa stabilita o meno) anche il contratto di comodato necessita del consenso di tutti i condomini.
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