Sottoposti a IRPEF anche se il conduttore è moroso, sempre che non si sia già concluso il procedimento di sfratto
Non possono essere sottratti all’IRPEF i canoni di affitto non percepiti dal contribuente a causa della morosità del conduttore, anche si tratta di una locazione commerciale, salvo che non si sia già concluso il procedimento di sfratto. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 651 del 18 gennaio 2012.
Un contribuente aveva avanzato un’istanza di rimborso all’Amministrazione finanziaria della maggiore IRPEF erroneamente versata in relazione ai canoni di locazione commerciale regolarmente dichiarati ma non percepiti per morosità del conduttore poi sfrattato. Il Fisco, però, non dava seguito a tale domanda di rimborso. Il contribuente proponeva, allora, ricorso alla C.T. Prov., adducendo che le somme non riscosse non potevano essere assoggettate ad imposizione e, a supporto della sua tesi, richiamava pronunce di legittimità.
I Giudici di prime cure si pronunciavano a suo favore, ma il Collegio d’appello, ribaltando la sentenza di primo grado, stabiliva, invece, che la possibilità di non dichiarare i redditi di locazione non percepiti attiene esclusivamente ai contratti d’affitto di immobili ad uso abitativo e non, come nel caso di specie, quelli per uso commerciale. Infatti, l’art. 26, comma 1, secondo periodo, del TUIR stabilisce che i redditi derivanti da contratti di locazione di immobili ad uso abitativo, se non percepiti, non concorrono a formare il reddito dal momento della conclusione del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità del conduttore.
La Cassazione, investita della questione, ha osservato che nella giurisprudenza di legittimità non esiste un univoco orientamento: da un lato, infatti, con la sent. n. 6911/2003, richiamata dal contribuente, la Suprema Corte ha statuito che, nel caso in cui non si debba far ricorso alla rendita catastale, i dati contrattuali forniscono solo un’indicazione presuntiva del reddito derivante dall’affitto dell’immobile, poiché di consueto i proprietari percepiscono il canone indicato nel contratto, ma deve essere consentita la prova contraria, anche attraverso elementi indiziari, quale la procedura di sfratto per morosità; d’altro lato, però, i Giudici del Palazzaccio hanno altresì stabilito, con la sent. n. 12095/2007, che la risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del conduttore non è idonea, di per sé, ad escludere che i canoni in precedenza non percepiti non debbano concorrere a formare la base imponibile IRPEF ex art. 26 del TUIR (nello stesso senso, Cass. n. 24444/2005).
La tassazione è collegata al diritto di percezione di un reddito
Con la pronuncia odierna, gli Ermellini, confermando l’orientamento espresso nelle sentenze più recenti, hanno osservato che il diverso filone interpretativo, che ravvisa dietro la tassazione basata sul canone di affitto una presunzione di percezione del canone, non possiede alcun fondamento né testuale né teorico-sistematico. Secondo i Giudici di piazza Cavour, invece, deve ritenersi che la tassazione del reddito da locazione è collegata alla mera maturazione del diritto di percezione di un reddito (in forza del sottostante contratto di affitto; cfr. Corte Cost. 362/2000) e ciò vale sia per le locazioni di immobili abitativi che commerciali.
Nel caso di specie, l’istanza di rimborso del contribuente aveva riguardato periodi antecedenti alla conclusione dello speciale procedimento di convalida dello sfratto, a cui, peraltro, si attribuisce una qualificazione giuridica mista, diretta sia alla risoluzione del contratto che al rilascio dell’immobile. Pertanto, poiché per quanto sopra esposto, l’intassabilità dei canoni di locazione, anche commerciale, è prevista soltanto dal momento di terminazione del predetto procedimento di sfratto, il motivo di ricorso del contribuente non poteva essere accolto, atteso che i giudici di merito avevano già accertato che, appunto, si trattava di canoni antecedenti a tale evento.
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