Per il recupero della morosità l’ amministratore può chiedere l’ emissione del decreto ingiuntivo anche sulla base del rendiconto preventivo.
Cari amici,
La sentenza che riporto di seguito ricorda a tutti i condòmini che non possono “non pagare” le spese condominiali.
Nessuna ragione, anche se giustificata dal punto di vista legale, può essere utilizzata per opporsi al pagamento delle spese condominiali approvate dall’ assemblea, sia in preventivo sia in consuntivo.
Da un’ altro punto di vista, questa sentenza ci ricorda anche che l’ amministratore non ha il potere di richiedere rate condominiali non deliberate dall’ assemblea.
In altre parole le cosiddette “rate di acconto” che molti amministratori sono soliti emettere, si possono benissimo non pagare senza correre alcun rischio.
Ciò fino a quando non si approverà un rendiconto consuntivo che le giustificherà, e che rappresenterà il titolo sufficiente e necessario per dare il potere all’ amministratore di richiederle coattivamente tramite il decreto ingiuntivo.
In ogni caso è meglio che il debitore giustificato cerchi un contraddittorio con l’ amministratore, e trovi delle soluzioni di mediazione che evitino per quanto possibile “incontri ravvicinati” con gli avvocati.
Una buona transazione è sempre meglio di una lunga, costosa ed incerta causa civile.
Per il recupero della morosità condominiale l’amministratore può chiedere l’emissione del decreto ingiuntivo anche sulla base del bilancio preventivo.
Lo ha confermato in maniera espressa la Corte di Cassazione, sezione seconda civile, con la sentenza n. 24299, depositata lo scorso 29 settembre 2008.
Con la quale è stato chiarito in maniera definitiva quello che la Suprema Corte ha definito un “principio informatore della gestione condominiale”.
Il fatto.
Nel caso in questione due condomini in ritardo nel pagamento degli oneri condominiali avevano presentato opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso contro di loro dal Giudice di Pace su richiesta dell’amministratore per un credito di € 759,29.
L’istanza in questione era stata presentata sulla scorta di quanto previsto dall’art. 63 delle Disposizioni di attuazione del Codice Civile.
Com’è noto, la norma concede all’amministratore la facoltà di chiedere la tutela monitoria, peraltro con decreto immediatamente esecutivo, nonostante opposizione, per la riscossione dei contributi “in base allo stato di ripartizione approvato dall’assemblea”.
Tra i motivi di opposizione presentati al Giudice di Pace dai condomini morosi figurava l’eccezione relativa al fatto che l’amministratore, nel chiedere la concessione del decreto ingiuntivo, aveva fatto riferimento ai crediti risultanti dal bilancio preventivo.
Secondo i ricorrenti in opposizione avrebbe invece dovuto farsi applicazione del bilancio consuntivo che, all’epoca del deposito del ricorso del condominio, non era stato ancora approvato.
Sorprendentemente, il Giudice di Pace di Roma, con sentenza n. 51696/2003, aveva accolto il ricorso in opposizione, dichiarando la nullità del decreto ingiuntivo proprio perché fondato sul bilancio condominiale preventivo invece che su quello consuntivo.
La motivazione redatta a sostegno della sentenza recitava testualmente che “dalla documentazione depositata dalle parti si evince che il decreto ingiuntivo è stato richiesto a eccezione di euro 116,91 con riferimento all’esercizio del 2001, il cui consuntivo al momento della richiesta del decreto, come è provato per tabulas, non era ancora stato approvato”. Vista la singolarità della decisione, il condominio, per quanto creditore di una somma davvero esigua, aveva deciso di portare la questione al vaglio della Suprema Corte. La decisione. Grazie alla pervicacia dei difensori del condominio la Suprema Corte ha così potuto chiarire una questione che, per quanto possa apparire scontata, non trova una conferma decisiva nella lettera dell’art. 63 Disp. att. c.c., il quale riveste comunque una certa importanza nell’economia processuale, visto l’elevato numero di decreti ingiuntivi che ogni anno vengono emessi nei confronti dei condomini morosi. Avallare una decisione quale quella adottata dal Giudice di Pace di Roma avrebbe significato una vera e propria rivoluzione nell’ambito del diritto condominiale, con ovvia gioia dei condomini morosi e degli avvocati che, per il gioco delle parti, si trovano a coltivare questo tipo di opposizioni, ma con danni enormi per la corretta gestione dei condomini italiani, tanto da mettere in serie allarme gli amministratori, i quali non avrebbero più potuto contare sull’incasso immediato delle somme indicate nel bilancio preventivo, dovendo necessariamente attendere la deliberazione a consuntivo da parte dell’assemblea. “Tale principio, se applicato”, si legge nella sentenza n. 24299/2008 della Suprema Corte, “renderebbe impossibile la riscossione degli oneri – e, quindi, inciderebbe sulla possibilità stessa di gestione del condominio – per tutto il tempo intercorrente tra la scadenza dell’esercizio e l’approvazione del consuntivo”. Invero, l’art. 63 Disp. Att. c.c. si limita a fare riferimento alla necessità di fondare la riscossione in via monitoria dei contributi condominiali sullo “stato di ripartizione approvato dall’assemblea”, senza specificare se sia sufficiente l’approvazione assembleare del bilancio preventivo o se, al contrario, si necessario attendere la deliberazione del bilancio consuntivo. Che la questione non sia di poco conto ne è prova un altro recente precedente della Suprema Corte (che si è pronunciata raramente su una materia del genere, anche per la particolarità del sistema di impugnazione delle sentenze del Giudice di Pace, questione alla quale si accennerà a breve). Infatti la medesima seconda sezione della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3435 dell’8 marzo 2001, ha avuto modo di sottolineare che i requisiti per l’emissione del decreto ingiuntivo per il recupero degli oneri condominiali di cui all’art. 63 Disp. Att. c.c. non devono essere confusi con quanto previsto in via generale dagli artt. 633 c.p.c.. Fatta questa doverosa premessa, i supremi giudici hanno avuto modo di chiarire che il ricorso da parte dell’amministratore di condominio al procedimento monitorio ai sensi dell’art. 63 Disp. Att. c.c. nei confronti del condomino moroso postula la ricorrenza dell’approvazione del bilancio, preventivo o consuntivo, da parte dell’assemblea. Un altro precedente di legittimità richiamato nella medesima sentenza n. 3435/2001, ovvero la sentenza n. 1789 del 12 febbraio 1993, aveva invece chiarito che “per la riscossione dei contributi condominiali l’amministratore può chiedere il decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo, ai sensi dell’art. 63 disp. attuaz. c.c., nei confronti del condomino moroso, in base al preventivo delle spese approvato dall’assemblea, soltanto fino a che l’esercizio cui tali spese si riferiscono non sia terminato, dovendo altrimenti agire in base al consuntivo della gestione annuale”. Ebbene, con la sentenza in commento la Suprema Corte, parlando espressamente di “principio basilare e ineliminabile per la corretta gestione del condominio”, e stigmatizzando così la decisione del Giudice di Pace di Roma, ha chiarito definitivamente che la tutela monitoria degli oneri condominiali è azionabile anche in presenza del solo bilancio preventivo, purché regolarmente adottato dall’assemblea, spiegando che la riferita interpretazione dell’art. 63 Disp. Att. c.c. appare la più corretta per salvaguardare la regolare gestione del condominio. Si sottolinea, altresì, come una volta approvato il bilancio consuntivo l’amministratore debba però agire esclusivamente sulla base di quest’ultimo e non più in forza del bilancio preventivo. Infine, meritano di essere sottolineate le motivazioni con le quali la Suprema Corte, vista l’abnormità del decisum del Giudice di Pace di Roma, ha giustificato la legittimità del proprio intervento correttivo. Nella specie si trattava, infatti, di una decisione secondo equità, ex art. 113 c.p.c.. Com’è noto, la norma in questione consente al Giudice di Pace, relativamente alle liti di valore inferiore a € 1.100,00, di discostarsi motivatamente dalle norme di diritto, cercando di individuare una soluzione di buon senso della controversia. Questo tipo di decisioni, proprio perché prescindono dalla pedissequa applicazione delle norme di diritto, possono essere impugnate soltanto per la violazione di norme costituzionali o di norme comunitarie di rango superiore a quelle ordinarie, nonché delle norme processuali, ai sensi dell’art. 311 c.p.c.. Ebbene, la Suprema Corte si è comunque ritenuta competente a conoscere della questione sul presupposto che quella denunciata dal condominio ricorrente fosse una questione attinente a un principio informatore della disciplina della gestione condominiale, con conseguente obbligo di applicazione generalizzata, secondo quanto previsto dalla sentenza n. 206 del 6 luglio 2004 della Corte Costituzionale (la quale, chiamata a giudicare della legittimità dell’art. 113, comma 2, c.p.c., ha avuto modo di osservare che il giudizio di equità del Giudice di Pace deve appunto svolgersi nel rispetto dei principi informatori della materia in cui ricade la specifica controversia, rendendo quindi possibile il ricorso in Cassazione avverso le sentenze che se ne discostino, ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.).
Gianfranco Di Rago
Avvocato in Milano
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