Amministratore in giudizio, meglio con il sì dell’assemblea
La Cassazione si esprime nuovamente sulla legittimazione dell’amministratore a stare in giudizio senza autorizzazione dell’assemblea. La sentenza 23/1/2014 n. 1451 (seconda sezione civile) giunge a poca distanza temporale da sezioni unite 6 agosto 2010 n. 18331, che con amplia e dettagliata trattazione aveva posto fine ai contrasti giurisprudenziali preesistenti statuendo il seguente principio di diritto: «L’amministratore di condominio, in base al disposto dell’art. 1131 c.c., può anche costituirsi in giudizio e impugnare la sentenza sfavorevole senza previa autorizzazione a tanto dall’assemblea, ma dovrà, in tal caso, ottenere la necessaria ratifica del suo operato da parte del’assemblea per evitare pronuncia di inammissibilità dell’atto di costituzione ovvero di impugnazione».
In quell’occasione, nel decidere in senso favorevole ad uno dei due orientamenti che sino ad allora si contendevano il campo, le sezioni unite si erano basate su alcuni principi fondamentali in materia di diritto condominiale; primo fra tutti l’attribuzione all’assemblea (e solo ad essa, essendo l’amministratore un mero esecutore privo di poteri decisionali sulla res comune) del potere gestorio (in generale) e quindi (in particolare) della decisione se resistere in giudizio o impugnare la sentenza sfavorevole.
La cassazione, inoltre, aveva ribadito che «la legittimazione passiva generale attribuita all’amministratore dall’art. 1131 c.c. rappresenta solo ed esclusivamente il mezzo procedimentale per il bilanciamento tra l’esigenza di agevolare i terzi e la necessità di tempestiva urgente difesa (onde evitare decadenze e preclusioni) dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio, che deve ritenersi immanente al complessivo assetto normativo condominiale».
In altre parole, la cassazione con la predetta decisione resa a sezioni unite aveva concluso il proprio ragionamento precisando che l’amministratore possa in effetti proporre (ad esempio) appello ad una sentenza sfavorevole al condominio senza preventiva autorizzazione dell’assemblea, ma anche ribadendo che in mancanza di successiva ratifica da parte della stessa assemblea, l’iniziativa dell’amministratore sarebbe divenuta processualmente inammissibile.
A distanza di pochi anni, come detto, la seconda sezione della cassazione ha ripreso mano alla decisione del 2010, ma pur affermando esplicitamente di volerne far proprio l’insegnamento, ha di fatto introdotto un principio totalmente differente da quello affermato dalle sezioni unite.
Con la decisione 1451/2014, infatti, la cassazione dapprima ha sancito che: «in base al disposto degli articoli 1130 e 1131 c.c. l’amministratore di condominio è legittimato ad agire in giudizio per l’esecuzione di una deliberazione assembleare o per resistere in giudizio all’impugnazione della delibera stessa da parte del condomino senza necessità di una specifica autorizzazione assembleare trattandosi di una controversia che rientra nelle sue normali attribuzioni, con la conseguenza che in tali casi egli neppure deve premunirsi di alcuna autorizzazione dell’assemblea per proporre impugnazioni nel caso di soccombenza del condominio», per poi tuttavia precisare di non ritenere tale dictum in contrasto con sezioni unite 2010/18331 in quanto «con la regola esplicata della necessità di autorizzazione assembleare, sia pure in sede di successiva ratifica, ci si voleva riferire espressamente esclusivamente a quei giudizi che esorbitano dai poteri dell’amministratore ai sensi degli articoli 1130 e 1131 c.c.».
A ben vedere, in sostanza, le due decisioni in esame sono chiaramente differenti: la prima (sezioni unite) affermando che qualunque iniziativa giudiziale (senza preclusioni di sorta in base all’oggetto trattato) posta in essere dall’amministratore per essere valida deve necessariamente ricevere l’avallo o preventivo (a mezzo delibera) o successivo (a mezzo ratifica) dell’assemblea di condominio, e la seconda sostenendo invece che l’ approvazione della assemblea sia solo necessaria (cosa che le sezioni unite non hanno detto) con riferimento ai casi di «quei giudizi che esorbitino dai poteri dell’amministratore ai sensi degli articoli 1130 e 1131 c.c.».
La seconda sezione, per meglio dire, si è in effetti uniformata al principio espresso dalle sezioni unite, ma circoscrivendo la validità di tale principio in confini ai quali la decisione del 2010 non aveva fatto alcun riferimento. Si ha l’impressione, in sostanza, che la disputa dottrinaria e giurisprudenziale alla quale si era posto fine nel 2010, sia ora destinata a riemergere. A oggi, pertanto, per evitare di correre rischi di sorta, pare opportuno consigliare all’amministratore di chiedere all’assemblea, in qualunque circostanza, di essere autorizzato a compiere le necessarie iniziative processuali».
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