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Alloggio del portiere condominiale

Alloggio del portiere condominiale: comodato c.d. precario e recesso unilaterale del comodatario

Avv. Gian Luca Ballabio scrive…

12/03/2014
Il caso oggetto della pronuncia della Corte Suprema di Cassazione (Cass. civ., sez. VI-3, sent. 26 febbraio 2014, n. 4658) è relativo ad un condominio che aveva convenuto in giudizio (avanti al tribunale di primo grado) il portiere del proprio stabile per sentir accertare che il contratto di comodato, concluso con lo stesso e inerente all’appartamento già usato dal custode come alloggio del portiere, si era risolto. Infatti, riteneva che fosse intervenuta la manifestazione di volontà del condominio ai sensi dell’art. 1810 cod. civ., trattandosi di comodato senza previsione di durata.
Poiché le richieste condominiali erano accolte anche in sede di appello, il portiere condominiale ha impugnato la sentenza proponendo ricorso per cassazione; ricorso che il condominio ha ritenuto inammissibile e infondato.

Disciplina del comodato c.d. precario. La disposizione dell’art. 1810 stabilisce che “se non è stato convenuto un termine né questo risulta dall’uso a cui la cosa doveva essere destinata, il comodatario è tenuto a restituirla non appena il comodante la richiede”.

Da tale norma si è enucleato il comodato di durata c.d. precario nel quale la scadenza del comodato viene fatta discendere dalla manifestazione di volontà del comodante in tal senso.

L’interpretazione di tale disposizione ha portato la giurisprudenza a ritenere che “il termine finale del comodato può risultare anche per implicito dalla destinazione del bene, precisando però che in tanto ciò può accadere, in quanto tale destinazione ha in sé una scadenza predeterminata, mancando la quale, l’uso del bene viene a qualificarsi come a tempo indeterminato ed il comodato come precario e, dunque, revocabile ad nutum dal proprietario” (Cass. civ., sez. un., sent. 9 febbraio 2011, n. 3168).

Orientamento da ritenersi ormai consolidato: “secondo il consolidato orientamento di questa Corte, il termine finale del comodato in tanto può, a norma dell’art. 1810 c.c., risultare dall’uso cui la cosa doveva essere destinata, in quanto tale uso abbia in sè connaturata una durata predeterminata nel tempo, mentre in mancanza di particolari prescrizioni di durata, in mancanza cioè di elementi certi ed oggettivi che consentano ab origine di prestabilire la durata, analogamente a quanto è avvenuto nella vicenda in esame, l’uso corrispondente alla generica destinazione dell’immobile si configura come indeterminato e continuativo, inidoneo a sorreggere un termine finale, con la conseguenza che, in tali ipotesi, la concessione deve intendersi a tempo parimenti indeterminato e cioè a titolo precario, onde la revocabilità "ad nutum" da parte del comodante, a norma dell’art. 1810 c.c. (sul punto v. Sez.Un. 3168/2011, Cass.n.5907/2011, Cass. n. 9775/ 2007)” (Cass. civ., sez. III, sent. 25 giugno 2013, n. 15877).

La pronuncia in esame. Nella recente sentenza della Corte Suprema di Cassazione il ricorrente (il portiere) ha criticato l’interpretazione del “contratto di comodato, come effettuata dalla Corte di merito, per non aver considerato che la volontà delle parti — desumibile dalla destinazione ad abitazione della M. (ricorrente) (art. 2 del contratto), dalla delibera assembleare di assumere un nuovo portiere, da altra delibera di consentirne l’uso alla M. (ricorrente) per il periodo della malattia e per sei mesi successivi, per poi stipulare un contratto con affitto simbolico — era nel senso di un termine al comodato risultante dalla destinazione ad abitazione della M. (ricorrente) per alloggiarvi per tutta la vita motivando, inoltre, insufficientemente nell’interpretare letteralmente l’art. 2 senza tener conto della volontà delle parti emergente dalla delibera che aveva proceduto il contratto”.

La Corte, però, lambendo il merito ha, da un lato, premesso che la Corte di Appello “ha escluso, sulla base dell’interpretazione del contratto di comodato stipulato tra le parti, che il termine del comodato risultasse dalla destinazione alle esigenze abitative della M. e, quindi, fosse commisurato al termine della vita della stessa, con conseguente mancata previsione del termine e operatività del recesso”; dall’altro lato, ritenuto che “secondo la giurisprudenza consolidata di legittimità (ex multis, Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178), l’interpretazione del contratto e degli atti di autonomia privata costituisce un’attività riservata al giudice di merito, ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizi di motivazione, qualora la stessa risulti contraria a logica o incongrua, cioè tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione”.

La decisione. Pertanto, la Corte ha rigettato il ricorso in quanto “la ricorrente, invece, censura tale interpretazione senza indicare esplicitamente quali sono i criteri legali di ermeneutica contrattuale violati: mentre nella rubrica dei motivi deduce violazione dell’art. 1810 cod. civ. e insufficienza di motivazione, nella parte esplicativa sembra rimandare alla violazione dell’art. 1362 cod. civ. Peraltro, la ricorrente non adempie compiutamente al dettato dell’art. 366, n. 6 cod. proc. civ. — riproducendo l’articolo 2 del contratto nella sua interezza — rispetto alla parte in cui argomenta in ordine all’intero suo contenuto, che dalla Corte di merito sarebbe stato considerato solo rispetto al primo periodo, secondo il quale la >; né tantomeno riproduce l’intero contratto”.

Conclusione. La pronuncia in esame ha permesso, quindi, di chiarire due aspetti: uno sostanziale ed uno processuale.

Il primo relativo alla temporaneità del comodato c.d. precario ed alla possibilità del recesso ad nutum. In caso contrario il portiere condominiale avrebbe avuto la disponibilità di un alloggio anche dopo la sua sostituzione con il risultato paradossale che nell’immobile destinato al custode non avrebbe potuto alloggiare quest’ultimo, ma una soggetto terzo.

L’aspetto processuale, invece, è stata l’occasione per ribadire che il ricorso per cassazione deve essere predisposto accuratamente evitando la formulazione eccessivamente generica delle eccezioni e non può essere utilizzato per introdurre un terzo giudizio “di merito”.
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