Utilizzo del pos in condominio. Spunti di riflessione
Avv. Dolce Rosario scrive…
In riferimento al commento al decreto legge 30 dicembre 2013, n. 150, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2014, n. 15, (c.d. milleproroghe), pubblicato ieri, sono giunte in redazione, diverse perplessità da parte gli addetti ai lavori.
Cercheremo ora di dare delle risposte ai quesiti inoltrati.
1. La norma può trovare applicazione in ambito condominiale?
Molti lettori hanno fatto notare che la norma è confinata esclusivamente ai rapporti professionali e/o commerciali (il condominio non è un professionista); hanno evidenziato la mancata applicabilità rispetto alla natura delle quote condominiali (composte di vari causali di pagamento, oltre che di quella relativa al compenso dell’amministratore); hanno riferito che vi sarebbero dei limiti tecnologici all’applicazione concreta (soprattutto, tra coloro che gestiscono un numero considerevole di condomini).
Resta inteso che, rispetto ad un assetto normativo innovativo come quello in commento, ci limitiamo – anche in tale sede – a fornirne un’interpretazione della legge esprimendo un nostro opinabile parere, pur informato al principio segnato dall’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale, in forza del quale: “Nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e delle intenzione del legislatore. Se una controversia non può essere decisa con unna precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe;se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi generali dell’ordinamento giuridco dello Stato”.
Ciò premesso, appare opportuno richiamare il Decreto del Ministro dello sviluppo economico del 24 gennaio 2014, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 27 gennaio 2014, il quale fornisce le “definizioni e ambito di applicazione dei pagamenti mediante carte di debito”.
Il provvedimento del Dicastero, prendendo atto del "…rilevante numero dei soggetti destinatari delle disposizione", ha proceduto, difatti, ad "individuare, secondo criteri di gradualità e sostenibilità, le categorie di operatori nei confronti delle quali trova applicazione il presente decreto".
L’articolo 1 della norma, in particolare, offre la definizione di:
"1) consumatore o utente: quale persona fisica che ai sensi dell’articolo 3 del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206 agisce per scopi estranei all’attività’ imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta;
2) esercente: quale beneficiario, impresa o professionista, di un pagamento abilitato all’ accettazione di carte di pagamento anche attraverso canali telematici.
Orbene, considerato che l’esplicitata intenzione del “legislatore” risulta compatibile anche con il riformato assetto della compagine ( tracciabilità dei flussi finanziari, art. 1129, nr 7 cod. civ.) appare opportuno comprendere se il Condominio e/o i condomini possono ritenersi, da una parte, come "consumatori" e se, dall’altra, il Condominio stesso e/o l’amministratore del condominio possano, invece, essere ritenuti quali “esercenti”.
2. Il Condomino può definirsi ex se consumatore?
La giurisprudenza risponde positivamente al quesito. Si è di fatti argomentato che: “il rapporto contrattuale relativo ad una prestazione di servizi, non vincola l’amministratore in quanto tale, ma i singoli condomini e l’amministratore opera come mandatario con rappresentanza dei singoli condomini. Ne consegue che, poiché i condomini vanno senz’altro considerati consumatori, essendo persone fisiche che agiscono, come nella specie, per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta, anche al contratto concluso dall’amministratore del condominio con il professionista, in presenza degli altri elementi previsti dalla legge, si applicano gli artt. 1469 bis e segg. cc…" (C. Cass. Ord. Sez. 3, n. 10086 del 24/07/2001; Trib. Arezzo 17 febbraio 2012 n. 125).
3. L’amministratore del condominio può essere considerato “esercente”, nel senso della definizione letterale sopra richiamata?
Anche qui, mutuando alcune pronunce della giurisprudenza di legittimità e adattandole al caso, pare potersi dare una risposta positiva. L’amministratore del condominio degli edifici professionista configura un ufficio di diritto privato assimilabile al mandato con rappresentanza (Cass. civ. 00/10815).
Ciò vuol dire che egli ha nei confronti dei partecipanti al condominio, una rappresentanza volontaria, talché i suoi poteri sono quelli di un comune mandato tenuto principalmente a garantire ai condòmini l’erogazione dei servizi comuni e tutti gli adempimenti normativi e fiscali del caso (cfr, artt. 1123, 1129 e 1130 cod. civ.; si pensi, altresì, alle incombenze contabili e fiscali da assolvere per la redazione e l’invio del modello 770, ovvero per la pratica della detrazione IRPEF).
Ciò basterebbe, a parere di chi scrive, per giustificarne l’applicabilità in astratto.
Ma posto che tale argomentazione da sola appare non sufficiente, è bene andare oltre e verificare il “dato” in commento anche sotto il profilo ontologico.
E partitamente, l’amministratore del condominio è il destinatario di tanti pagamenti pro quota da parte dei condòmini funzionali, unitamente, all’adempimento di una prestazione sinallagmatica che il Condominio deve rendere nei confronti di un terzo.
In effetti, i condòmini non sono legittimati a pagare (adempiere) il proprio debito condominiale a mani dello stesso fornitore del Condominio. E nell’ipotesi in cui ciò accada non possono, ad ogni modo, ritenersi liberati dal proprio obbligo contributivo.
Tale argomento è stato affermato da una recente pronuncia dalla Suprema Corte (Ordinanza nr 3636/2014), pubblicata lo scorso mese di febbraio, secondo la quale l’amministratore del condominio assumendo la qualità di necessario rappresentante della collettività dei condomini sia nella fase di assunzione degli obblighi verso i predetti fornitori per la conservazione delle cose comuni (e l’erogazione dei servizi) sia, all’interno della collettività condominiale, si pone come unico referente dei pagamenti ad essi relativi (Cass. Civ. 3636/2014).
Ergo, che se condòmini sono tenuti a pagare al Condominio a mani dell’amministratore le proprie quote, allora, non si vede per quale ragione gli si possa – in determinati casi e ove il condominio sia chiaramente provvisto di terminale – precludergli la facoltà di provvedere (anche) con moneta elettronica.
4. Si può applicare le norma sotto un profilo oggettivo alla fattispecie del condominio degli edifici?
Anche sotto tale aspetto non si rinvengono argomenti obiettivamente contrari ad escludere l’applicazione nell’ambito del diritto condominiale della precitata.
La previsione normativa soddisfa, tra l’altro, la finalità di agevolare i pagamenti in favore del creditore, offrendo al debitore una soluzione alternativa a quella del pagamento in contanti.
Mette conto rammentare che la gestione dei rapporti contrattuali deve avvenire sempre rispettando i canoni della buona fede e della correttezza di cui all’art. 1135 cod. civ..
Il principio di correttezza e buona fede – il quale secondo la Relazione ministeriale al codice civile – “richiama nella sfera del creditore la considerazione dell’interesse del debitore e nella sfera del debitore il giusto riguardo all’interesse del creditore”, operando, quindi, come un criterio di reciprocità una volta collocato nel quadro dei valori introdotto dalla Carta costituzionale, deve essere inteso come una specificazione degli “inderogabili doveri di solidarietà sociale” imposti dall’art.2 della Costituzione.
La rilevanza della norma in commento (pagamento degli oneri condominiali tramite carta di debito, come alternativa di altre forme di pagamento) allora deve porsi come una misura in grado di agevolare , a ciascuno delle parti del rapporto obbligatorio, il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o da quanto espressamente stabilito da singole norme di legge (per il principio affermato, cfr, Cass. Civ. 5 novembre 1999, nr 12310).
Pertanto, se io condòmino sono consapevole del fatto che il condominio non è provvisto di POS, non posso pretendere di pagare con il bancomat le quote da me dovute; potendo, diversamente, scegliere la forma tracciabile del bonifico bancario o dell’assegno circolare.
Di contro, nessuna sanzione è prevista dalla legge nel caso di rifiuto dell’esercente ad accettare un pagamento tramite carta di debito.
5. L’amministratore è in grado di dotare il condominio da sé di un terminale POS?
Si ritiene di dare al quesito una risposta negativa: considerato che la dotazione di un terminale POS nel Condominio importando dei costi ulteriori per la gestione corrente, se non la stipula di un nuovo e/o ulteriore contratto, deve essere rimessa, preventivamente, ad una decisione assembleare ex art. 1135 cod. civ..
La stessa determinazione assembleare avrà poi il compito di stabilire le modalità d’uso dello strumento di pagamento e l’addebito dei costi ad esso conseguenti.
In conclusione. L’accettazione da parte dell’esercente del pagamento con moneta elettronica costituisce un obbligo perché risulta testualmente dalla norma.
Tuttavia è opportuno evidenziarsi che si tratta di una norma priva di sanzione, pertanto, l’obbligo dello stesso non è coercibile.
Inoltre, il corrispondente diritto del "consumatore" a pagare con moneta elettronica va interpretato alla luce del principio generale della buona fede nella fase esecutiva di una prestazione.
Consegue che, ove il Condominio non sia provvisto di terminale POS e il condòmino moroso pretenda di pagare con moneta elettronica, tale condotta importerà un "abuso del diritto" e, in quanto tale, non potrà dirsi in grado di importare la mora del Condominio-creditore (art. 1206 c.c.).
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