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Uso delle parti comuni e autodisciplina condominiale

Uso delle parti comuni e autodisciplina condominiale

In tema di condominio negli edifici, deve ritenersi legittima la delibera con la quale l’assemblea dei condomini, con le prescritte maggioranze, imponga ai condomini il divieto di uso specifico di parti comuni, come, ad esempio, quello costituito dalla sola apertura di nuovi accessi nel muro comune.

Le deliberazioni assembleari condominiali, con le necessarie maggioranze di legge, o lo stesso regolamento condominiale possono limitare l’uso delle parti comuni, con la conseguenza che, in caso di diversa disciplina condominiale, non trova applicazione l’art. 1102 cod. civ., norma che svolge una funzione sussidiaria, nel senso che opera nella sola eventualità in cui non sia intervenuta una differente regolamentazione in sede condominiale.

Infatti, il predetto art. 1102 cod. civ., nel prescrivere che ciascun partecipante può servirsi della cosa comune purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne lo stesso uso secondo il loro diritto, non pone una norma inderogabile, ragione per cui i suoi limiti possono essere resi più rigorosi dal regolamento condominiale o dalle apposite delibere assembleari adottate con i "quorum" prescritti dalla legge (cfr., citate, Cass. civ. n. 3169/1978, 2727/1975, 1600/1975, 2369/1971).

L’unico limite della legittima "autodisciplina condominiale" è rappresentato dalla previsione del divietosostanziale di utilizzazione generalizzata delle parti comuni. Nel caso in cui, invece, l’assemblea condominiale, con le prescritte maggioranze, adotti una delibera che vieti soltanto un uso specifico, la stessa deliberazione deve ritenersi legittima.

Questi i principi enunciati dalla Suprema Corte in una recente decisione depositata il 4 dicembre scorso (Cass. civ. n. 27233, Presidente Triola Relatore Carrato, P.M. Patrone). Nel caso in esame, in applicazione dei suddetti principi, la Corte regolatrice, accogliendo il primo motivo di ricorso, ha cassato con rinvio la sentenza impugnata con la quale la corte di appello, confermando la statuizione del giudice di primo grado, aveva ritenuto legittima la dichiarata nullità di una deliberazione dell’assemblea condominiale contenente il generalizzato divieto preventivo per la collettività dei condomini di aprire qualsiasi varco nel muro perimetrale comune.

La decisione suscita interesse anche per la affermazione di altri due principi. Da un lato, infatti, la sentenza ribadisce che, ai fini della sussistenza di un supercondominio, è necessario che singoli edifici siano costituiti in altrettanti condominii ed abbiano in comune talune cose, impianti e servizi legati, attraverso la relazione di accessorio e principale, con gli edifici medesimi e perciò appartenenti "pro quota", ai proprietari delle singole unità immobiliari comprese nei diversi fabbricati (cfr., sul punto, Cass. civ. nn. 19939/2012, 2011/17332, 2008/2305); dall’altro, la decisione riafferma che, in mancanza di diversa convenzione adottata all’unanimità, espressione della autonomia contrattuale, la ripartizione delle spese condominiali generali deve necessariamente avvenire secondo i criteri di proporzionalità, fissati nell’art. 1123, comma 1, cod. civ., e, pertanto, non è consentito all’assemblea condominiale, deliberando a maggioranza, di ripartire con criterio "capitario" le spese necessarie per la prestazione di servizi nell’interesse comune. In altri termini, precisa il giudice di legittimità in conformità ad un costante orientamento, le delibere delle assemblee di condominio aventi ad oggetto la ripartizione delle spese comuni, con le quali si deroga "una tantum" ai criteri legali di ripartizione delle spese medesime, ove adottate senza il consenso unanime dei condomini, debbono ritenersi affette da nullità (cfr., Cass. civ. nn. 6714/2011, 17101/2006, 2301/2001).
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