La dibattuta e articolata legge sulle nuove forme di stato civile (L. 20 maggio 2016 n. 76) si compone di un solo articolo con 69 commi, di cui i primi 35 riguardano le “unioni civili” (persone dello stesso sesso), mentre il resto regola le “convivenze di fatto” (due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile).
Il comma 21 della legge dispone l’applicabilità di numerose norme del codice civile sulle successioni, fra cui l’art. 540 che riserva come quota legittima a favore del coniuge superstite (a parte la metà del patrimonio) “i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare” (alla locuzione “coniuge” deve intendersi sostituita “parte dell’unione civile”: comma 20).
Per comune acquisizione, questo dell’abitatore è un diritto reale di godimento (art. 1022 cod. civ.), che viene equiparato all’usufrutto con applicazione delle relative norme in quanto compatibili (art. 1026 cod. civ.). Com’è noto, sono diritti reali quelli che attribuiscono al titolare un potere immediato e assoluto sulla cosa senza che sia necessaria la cooperazione di altri soggetti; possono essere “pieni” (proprietà) o “parziali” (usufrutto uso ed abitazione, per limitarci a quelli che interessano il condominio).
Conviventi di fatto
Anche per loro viene stabilito, ma con una previsione espressa del comma 42, che il superstite non proprietario abbia diritto di continuare ad abitare nella casa di comune residenza per un certo numero di anni. Non sembra dubbio, per la indiscutibile stretta corrispondenza con la situazione prima esaminata, che siamo in presenza anche qui dello stesso diritto di abitazione sopra visto, quindi di un diritto reale (parziario) riconducibile nell’ambito dell’art. 1022 cod. civ.
Inoltre, a differenza di quanto accade per le “unioni civili”, è prevista nelle “convivenze di fatto” (comma 42 che fa salvo l’art. 337-sexies cod. civ.) anche l’attribuzione del godimento della casa ad uno dei conviventi dopo lo scioglimento del legame (che i commi 57 e 59 riconducono alla nullità o risoluzione del contratto di convivenza). Mentre per l’abitatore (cioè la parte superstite nell’unione o nella convivenza) si configura un diritto reale, l’assegnazione della casa al “convivente” dopo la fine del legame crea un diritto personale di godimento in capo al c.d. “assegnatario”, secondo la tesi prevalente già in passato (v. per tutti Cass. 19/9/2005 n. 18476, proprio in tema di spese condominiali) e a nostro avviso ora confermata dal citato nuovo art. 337-sexies cod. civ. che parla, non di diritto di abitazione, ma di “godimento” della casa familiare. È un diritto di credito avente ad oggetto il godimento di un bene (come ad es. nella locazione o nel comodato) che discende da un rapporto obbligatorio e necessita della collaborazione (fare o non fare) di un altro soggetto. La revoca del beneficio si verifica se il “convivente di fatto”, abitatore o assegnatario, cessi di abitare stabilmente nella casa di comune residenza oppure se sopravvenga matrimonio, unione civile, nuova convivenza di fatto (comma 43 della legge n. 76 cit.). Il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili e opponibili a terzi ai sensi dell’art. 2643 c.c.
Le posizioni dell’abitatore e dell’assegnatario
La differenza tra i due tipi di diritto di godimento, reale per l’abitatore e personale per l’assegnatario (quest’ultimo previsto solo per il convivente di fatto) non è di poco conto, perché la normativa condominiale distingue, con una diversa rilevanza delle posizioni giuridiche che vi sono connesse, i diritti reali di godimento dai diritti personali di godimento. All’abitatore è attribuito (al pari dell’usufruttuario e dell’usuario) un ventaglio molto cospicuo di diritti ed obblighi (di poco inferiore solo a quello del condòmino), di cui ricordiamo i principali: adempimento diretto verso il condominio dell’obbligo contributivo (e solidarietà con il nudo proprietario), partecipazione all’assemblea (con tutto quanto vi è collegato: nomina e revoca dell’amministratore, deleghe, impugnazione delle delibere, e così via), diritto di votare sulle materie di competenza (escludendo per le stesse il nudo proprietario), quindi anche per l’approvazione del rendiconto; diritto completo di accesso agli atti; ecc.
Invece, l’assegnatario non partecipa all’assemblea, non ha alcun rapporto diretto con il condominio per il problema delle spese (quindi niente obbligo di pagare allo stesso gli oneri contributivi); come tutti gli altri è tenuto ad osservare il regolamento ed ha diritto di usare le parti comuni; il suo diritto di accesso agli atti del condominio non è totale (ad es. può consultare, dopo l’iscrizione, il registro di anagrafe condominiale e quello di nomina e revoca dell’amministratore, come pure e i documenti giustificativi di spesa ai sensi dell’art. 1130-bis cod. civ.).
Le incombenze dell’amministratore
Preliminare a tutto quanto sopra è la corretta tenuta, da parte dell’amministratore, del registro di anagrafe condominiale (uno dei quattro introdotti dalla riforma). L’art. 1129 n. 6) cod. civ. stabilisce che il registro deve contenere “le generalità dei singoli proprietari e dei titolari di diritti reali e di diritti personali di godimento…”; e deve essere aggiornato ad ogni variazione dei dati. Pertanto, al verificarsi dell’evento previsto dalla legge 76/2016 dovranno essere iscritti nel registro l’abitatore e l’assegnatario; e parimenti l’amministratore dovrà provvedere alla loro cancellazione a seguito di eventuale revoca del beneficio ed in genere ad ogni altro cambiamento (ad es. se uno dei due soggetti divenga comproprietario). Non è da escludere che le problematiche generali relative all’anagrafe condominiale possano, nell’ispecie, risultare talora accentuate dalla complessità e novità della legge 76/2016.
www.leggioggi.it/2016/06/01/unioni-civili-e-convivenze-di-fatto-quali-ricadute-sul-condominio/