Tabelle millesimali sbagliate: dovuti gli arretrati per il passato?
Non capita raramente che le tabelle millesimali vengano modificate durante la vita dell’edificio e questo può avvenire alternativamente o perché alcune unità vengano interessate da lavori (come, per esempio, la copertura o la sopraelevazione di aree del fabbricato) oppure perché ci si accorga che, in sede di originario calcolo dei millesimi, era stato commesso qualche errore.
Ebbene, nel primo caso non vi è dubbio che le modifiche possono avere valore solo dal momento in cui si sono effettivamente verificate e che, quindi, la nuova tabella millesimale non possa valere anche per il passato. Diverso il discorso nella seconda ipotesi dove legittima potrebbe essere la pretesa, da parte di alcuni condomini, di ottenere, da chi si è avvantaggiato dell’errore della tabella, la restituzione delle maggiori somme da essi versate all’ amministratore. Come si risolve, allora questo conflitto?
Sul tema della revisione delle tabelle millesimali si è pronunciata, in passato, la Cassazione [1] secondo cui se qualcuno ha tratto vantaggio dall’ utilizzo, a riparto spese, delle tabelle obsolete, errate perciò inattendibili, deve versare quanto non ha precedente dato rispetto al dovuto. Insomma, è necessario fare una compensazione tra chi ha dato di più e chi, invece, ha dato di meno a causa dell’errato calcolo delle tabelle.
È ovvio che se il condomino in questione non è disposto a collaborare bonariamente, versando il dovuto, gli altri condomini controinteressati dovranno intraprendere un’azione giudiziaria per ottenere il pagamento delle quote arretrate: si tratta di una causa che, in gergo tecnico, viene chiamata “azione di indebito arricchimento” [2] da intraprendere ovviamente nei confronti del condomino che ha usufruito di tale vantaggio.
La causa però deve essere esercitata entro un termine massimo di 10 anni (cosiddetta prescrizione [3]). Questo però non significa che si potranno ottenere solo gli arretrati dell’ultimo decennio e non, anche, quelli a partire dall’edificazione del palazzo o, quanto meno, dalla commissione dell’errore. Infatti, secondo il codice civile [4] la prescrizione incomincia a decorrere a partire dal giorno in cui il diritto può esser fatto valere che, nel caso di specie, coincide con il momento in cui chi subisce il danno viene adeguatamente informato dell’ingiustizia subita [5]. Per esempio, se il condomino viene informato da un perito dell’errore nella compilazione della tabella millesimale dopo 20 anni dall’edificazione del palazzo, ha la possibilità di esercitare l’azione di indebito arricchimento entro 10 anni da tale momento.
Diverso è il discorso della modifica delle tabelle millesimali che non può avere efficacia retroattiva e, anzi, può produrre effetti solo dal momento della loro approvazione. Inoltre, per quel che riguarda le spese da sostenere per il ricalcolo dei millesimi, la riforma del condominio [6] ha stabilito che i valori proporzionali delle singole unità immobiliari espresse nella tabella millesimale possono essere rettificati o modificati, anche nell’interesse di un solo condomino, con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio nei seguenti casi:
1) quando risulta che sono conseguenza di un errore;
2) quando, per le mutate condizioni di una parte dell’edificio, in conseguenza di sopraelevazione, di incremento di superfici o di incremento o diminuzione delle unità immobiliari, è alterato per più di 1/5 il valore proporzionale dell’unità immobiliare anche di un solo condomino. In tal caso il relativo costo è sostenuto da chi ha dato luogo alla variazione.
Sicché, dalla norma citata emerge che, qualora l’incremento di superficie abbia alterato per più di 1/5 il valore proporzionale dell’unità immobiliare, il relativo costo è sostenuto da chi ha dato luogo alla variazione; altrimenti, qualora la variazione non sia rilevante, la modifica delle nuove tabelle sarà sostenuta da tutti i condòmini.
Infine, la modifica delle tabelle millesimali non incide sulla rendita catastale, in quanto quest’ultima rappresenta la redditività dal punto di vista fiscale che l’agenzia delle Entrate attribuisce a ogni singolo bene immobile. Essa, in altre parole, rappresenta la base fiscale su cui vengono calcolate le imposte. L’agenzia delle Entrate, infatti, suddivide il territorio in zone omogenee, quindi ripartisce gli immobili di ciascuna zona in categorie e classi catastali. A ogni unità immobiliare viene associata la consistenza catastale sulla base della dimensione, espressa in vani, metri cubi o metri quadrati.
[1] Cass. sent. n. 5960/2011.[2] Art. 2041 cod. civ.
[3] Art. 2946 cod. civ.
[4] Art. 2935 cod. civ.
[5] Cass. sent. n. 2645/2003
[6] La legge 220/2012, in vigore dal 18 giugno 2013, ha integrato l’art. 69 disp. att. cod. civ.
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