Sei un «ladro». E tu un «pazzo». Ingiurie libere nel corso di una riunione condominiale
Avv. Mauro Blonda scrive…
La non punibilità per i reati che offendono l’onore ed il decoro. I reati previsti dagli articoli 594 e 595 del cod. pen. (rispettivamente ingiuria e diffamazione), ossia le ipotesi delittuose che ledono il diritto all’onore ed al decoro, hanno in comune una particolare caratteristica: non sono punibili nel caso in cui la condotta sia il frutto di una provocazione: è l’art. 599 dello stesso codice, infatti, a prevedere che “Non è punibile chi ha commesso alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 594 e 595 nello stato d’ira determinato da un fatto ingiusto altrui, e subito dopo di esso”.
Già in altra occasione ci siamo occupati di questo argomento , evidenziando quanto facile sia, nella dialettica spesso aspra della vita condominiale, ritrovarsi in situazioni di confronto che poco hanno del civile ed in cui invece lo scambio di opinioni ed il contrapporsi delle idee e volontà avviene sovente con toni ed espressioni più o meno offensive.
Le caratteristiche dell’altrui offesa: effettività e non giustificatezza. Tuttavia non ogni frase o comportamento ingiurioso giustificano una risposta di pari livello, consentendo la non punibilità per chi risponda all’offesa con altra offesa (applicando da sé una sorta di “legge del taglione”): affinché l’altrui offesa valga come scriminante, infatti, è necessario che la reazione sia pressoché immediata e compiuta in conseguenza di un’azione offensiva.
Ma si badi bene: questa non deve essere per forza una condotta antigiuridica (cioè contraria a norme di legge), ben potendo consistere anche nella violazione di norme morali, di costume o che regolano la civile convivenza o comunque in condotte vessatorie (fra tutte Cass. Pen., Sez. I, sent. n. 5342 del 26/05/1993). Tale può pertanto essere anche un comportamento anche solo “inopportuno e sprezzante, scorretto e inopportuno, che sia espressione di iattanza”, ovvero un “atteggiamento sconveniente, arrogante, impertinente” (Trib. Foggia, Sez. Penale, sent. del 02/04/2013).
Quante volte, ad esempio, ci si ritrova a fronteggiare vicini di casa indolenti e maleducati, i cui comportamenti rasentano la soglia della vessatorietà e petulanza, fini a se stessi e con l’unico intento di molestare: tali atteggiamenti, anche ove non penalmente rilevanti (ancorché non siano punibili, cioè, perché non contrari a norme imperative di legge), possono però assumere valore di scriminante rispetto alle eventuali risposte, anche ingiuriose, che dovessero provocare. Provocare, appunto: l’atteggiamento provocatorio, gratuito e dai connotati magari offensivi, è quello che giustifica ed esonera da responsabilità l’eventuale reazione ingiuriosa.
La proporzionalità tra provocazione e reazione. Questione dibattuta è invece se debba sussistere una certa proporzionalità tra l’ingiuria e l’atto che l’abbia provocata: la stessa Giurisprudenza è altalenante, avendo ritenuto in alcune pronunce che “ai fini della integrazione della causa di non punibilità della provocazione, non è richiesta la proporzione fra la reazione ed il fatto ingiusto altrui” (Cass. Pen., Sez. V, sent. n. 43173 del 04/10/2012), ed in altre invece che “L’esimente di cui all’ art. 599, comma 1, c.p. non può trovare applicazione qualora vi sia un’evidente sperequazione fra l’accusa e l’ingiuria subita” (Cass. Pen., sez. V, sent. n. 5070 del 07/11/2012).
Ad ogni buon conto la stessa Suprema Corte evidenzia come il punto nodale non sia tanto la proporzionalità tra offesa e reazione ma l’esistenza di un valido ed apprezzabile rapporto di causa-effetto: “Nei delitti di ingiuria e diffamazione ai fini della configurabilità dell’esimente di cui all’ art. 599 cod. pen., ancorché non rilevi la proporzione fra la reazione ed il fatto ingiusto altrui, occorre, tuttavia, che sussista un nesso di causalità determinante tra il fatto provocante ed il fatto provocato, non essendo all’uopo sufficiente un legame di mera occasionalità” (Cass. Pen., Sez. V, sent. n. 39508 del 11/05/2012).
La provenienza dell’offesa. Affinché possa invocarsi la scusante dell’altrui provocazione, quale causa giustificatrice di un comportamento ingiurioso (e come tale quindi in sé astrattamente punibile), non è infine necessario la coincidenza tra la persona che si assume abbia provocato e quella cui sono dirette le offese: occorre tuttavia che tra l’offeso per ritorsione ed il provocante vi sia un rapporto tale per cui si possa legittimamente ritenere che le offese fossero in sostanza e concreto rivolte direttamente a lui, quale “autore morale” della altrui provocazioni.
È questo un principio più volte affermato dalla Cassazione, la quale ritiene che “l’esimente di cui all’art. 599 c.p. comma 2 si rende applicabile anche quando la reazione dell’agente sia diretta nei confronti di persona diversa dal provocatore, ogni volta in cui quest’ultimo sia legato all’offeso da rapporti tali da rendere plausibile la reazione nei suoi confronti” (Cass. Pen., Sez. V, sent. n. 12308 del 28/11/2012). Il caso nello specifico trattato dalla Suprema Corte era quello di due vicini di casa tra i quali erano volate parole grosse perché sul terrazzo di uno dei due (prospiciente quello dell’altro) era tenuto in precarie condizioni igieniche un grosso cane: ka Cassazione ha chiarito come fossero giustificabili le offese rivolte per tale ragione da un inquilino all’altro benché il cane non fosse di proprietà di quest’ultimo ma del fratello convivente. Lo stretto rapporto di parentela tra i due aveva quindi giustificato la ritorsione ingiuriosa nonostante fosse stata rivolta non all’indirizzo dell’effettivo proprietario del cane (la cui incuria aveva provocato la reazione del dirimpettaio) bensì nei confronti del fratello.
La provocazione è causa di giustificazione, in sostanza, nei casi in cui il provocante e l’offeso siano legati da un rapporto che renda quasi “responsabile” l’offeso per le azioni del provocatore: donde, quindi, la scusabilità dell’offesa nei diretti confronti dell’incolpevole “responsabile” piuttosto che nei confronti dell’effettivo provocatore.
L’offesa giustifica l’offesa. L’esser stati vittima di un atteggiamento offensivo (verbale o anche solo comportamentale) giustifica quindi in linea di massima l’eventuale pronuncia di espressioni che pur punibili in quanto ingiuriose nondimeno divengono scusabili, e quindi penalmente non sanzionabili, per la ritenuta sussistenza di una causa giustificativa.
Dare quindi del “ladro” nel corso di una riunione condominiale a colui il quale ci abbia chiamato “pazzo”, pur integrando gli estremi del reato di cui all’art. 594 cod. pen., consentirà tuttavia l’assoluzione del reo ove tale offesa sia stata pronunciata nell’immediatezza ed in risposta alla precedente offesa subita, la quale ne costituisce antefatto provocatorio: la prima ingiuria, cioè, costituisce ai sensi dell’art. 599 cod. pen. scriminante, scusante della successiva che diviene quindi per questo non punibile (Cass. Pen., Sez. V, sent. n. 6338 del 10/02/2014).
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