Se la Grecia non esce dall’ euro, non ha alternative
La Grecia non può restare nell’ euro, ad anche rinunciare all’ austerità.
….semplicemente non è possibile.
Quando leggo che non ci sono piani greci per uscire dall’ Euro mi innervosisco, perchè è come andare in guerra senza armi contro un nemico armato.
Non si ha alcuna possibilità di vincere!
….Paolo Cardena scrive,
Al netto del significato "romantico" di un premier che chiama il suo popolo ad esprimersi a proposito del futuro del paese, non capisco proprio il significato razionale del referendum in Grecia. Non sto dicendo che sia un errore lasciare che gli elettori possano esprimersi su questioni di fondamentale importanza, come quella che riguarda il quesito referendario posto dal governo di Atene. Ma esistono quantomeno molte contraddizioni sull’operato del governo e, quindi, di conseguenza, anche sulla soluzione referendaria proposta, che soluzione non è. Questo è tanto più vero che se si considera che Syriza ha vinto le elezioni proprio grazie alla promessa di attenuare l’austerità. Va da sé che, sotto questo punto di vista, Tsipras gode già di un mandato popolare conferitogli dagli elettori lo scorso gennaio.
Quindi, perché un referendum? Cosa si vuole dimostrare? Cosa si vuole affermare? Forse il primato della democrazia sulla finanza? Puramente illusorio, allo stato attuale e in questo contesto.
E poi, se così fosse, verrebbe da chiedersi: con i soldi di chi? Il deteriorarsi delle aspettative nella trattativa tra la Grecia e i suoi creditori è frutto dell’asimmetria esistente tra il programma politico con il quale Syriza ha vinto le elezioni in Grecia e le logiche che governano l’Eurozona. Logiche che in alcun modo possono coesistere con le promesse che Tsipras ha fatto in campagna elettorale.
A seguito della vittoria di Tsipras è iniziata un’estenuante trattativa che dura ormai da 5 lunghi mesi e che, secondo la mia modesta opinione, appare a dir poco priva di logica e strategia.
Nel frattempo la situazione economica in Grecia si è deteriorata ulteriormente: i gettiti tributari si sono manifestati ben inferiori a quelli programmati dal governo, i soldi in cassa in sono finiti o quasi, i risparmiatori hanno ritirato decine di miliardi di euro dalle fragili banche (fino a questo momento tenute in vita dalla BCE) e si è disposta la chiusura degli sportelli per una settimana (ma la riapertura potrebbe essere ulteriormente differita) con l’introduzione di misure di controllo dei capitali, ed è aumentato notevolmente anche il disagio del popolo greco.
La storia recente dice che, ad un certo punto, avendo promesso la fine dell’austerità (ma anche la permanenza nell’euro), Tsipras chiama a raccolta il suo popolo e dice: "Cari concittadini greci, è vero che, durante la campagna elettorale, era stata promessa la fine dell’austerità e, al tempo stesso, la permanenza della Grecia nell’euro, ma avevamo fatto i conti senza l’oste.
Quindi, non posso fare altro che alzare le mani e fare decidere a voi stessi cosa dovrà esserne del vostro futuro, ringraziandovi di avermi votato alle scorse elezioni". Quindi indice il referendum per il prossimo 5 luglio, invitando gli elettori greci ad esprimersi se vogliono accettare il piano proposto dai creditori (quindi ancora austerità) oppure rigettarlo.
Ora, tenuto conto che la grandissima parte degli elettori potrebbero non avere la giusta cognizione di causa su cosa potrebbe comportare un espressione di voto piuttosto che un’altra (cosa che, come ben sapete, accade anche in Italia), fare un referendum di questa importanza, in 5 giorni, è un po’ come voler dire: caro bambino, preferisci il gelato o lo sciroppo medico. E’ ovvio che il bambino risponda Il gelato. Quindi, abbandonando la metafora, è probabile che vincano i "NO" e che vengano rigettate le proposte della Troika.
Ma se ciò non dovesse accadere, ossia nel caso in cui dovessero vincere i "SI", cosa accadrebbe? In questo caso si aprirebbe uno scenario per nulla rassicurante, perché, come affermato dallo stesso Tsipras, il governo potrebbe dimettersi e quindi si potrebbe andare a nuove elezioni con tutte le incognite del caso, qualora la votazione dovesse restituire una maggioranza che non è detto sia sulla stessa posizione determinata dai risultati del referendum del prossimo 5 luglio. Insomma, caos su caos.
Nel frattempo, con chi dovrebbero trattare le autorità europee se il governo dovesse dimettersi? La questione è aggravata anche dal fatto che il prossimo 20 luglio Atene dovrà rimborsare alla BCE circa 3,5 miliardi di euro. E mancare il rimborso alla BCE non ha lo stesso significato del mancato rimborso verso il Fondo Monetario Internazionale di appena due giorni fa, visto il potere di vita o di morte che la BCE esercita sulle banche greche. Insomma, nel caso dovessero vincere i "SI", nella migliore delle ipotesi, si avrebbero comunque non pochi problemi. Che sono tuttavia imparagonabili rispetto a quelli che si avrebbero se il fronte del "NO" avesse la meglio.
Se Tsipras afferma che votare NO al referendum non significa votare contro l’euro, dovrebbe spiegare con quali strategie intende rimanere all’interno dell’Eurozona. Ovvero dovrebbe spiegare in che modo intende onorare il debito scaduto due giorni fa e le rate che verranno a scadere nelle prossime settimane, che sono ben più impegnative rispetto a ciò che non è stato rimborsato al Fondo Monetario Internazionale appena due giorni fa. Dovrebbe anche spiegare in che modo vorrebbe salvare il sistema bancario che è praticamente al collasso, e soprattutto dovrebbe dire al popolo greco con i soldi di chi, vista la non remota possibilità che questo avvenga per tramite i risparmiatori greci (bail-in).
Tsipras pensa che, se dovessero vincere i NO, il governo greco guadagnerebbe forza contrattuale da spendere con la Troika che, a quel punto, secondo questa logica, assumerebbe un atteggiamento più tollerante e sarebbe meno ostile verso nuove concessioni.
Ma attenzione: il punto è proprio questo ed è assai pericoloso, non meno dell’uscita di Atene di zona euro.
In questi anni di crisi si è visto che, in molti paesi, il processo democratico è stato fortemente alterato, solo per usare un eufemismo. E la vita politica di ciascun paese, se vogliamo, ha subito delle manifeste prevaricazioni ad opera di istituzioni europee che, in nome della salvezza dell’euro da se stesso, ha imposto a buona parte del continente manovre di austerità, solo da alcuni mesi parzialmente compensate dall’interventismo della Bce.
In altre parole, l’austerità è stata imposta per ridurre gli squilibri strutturali tra i vari paesi ed ha consentito alla BCE di assumere un atteggiamento più interventista rispetto a quello avuto fino all’arrivo di Mario Draghi alla presidenza della banca centrale.
Ora, ritornando al caos greco, se dovessero vincere i NO, dal mio punto di vista, sarebbe assai illusorio pensare che la Troika possa prendere atto della volontà del popolo greco (contrario all’austerità) e riformare il sistema di governo che ha adottato fino a questo momento. Perché, altrimenti, ciò significherebbe aprire uno squarcio profondo proprio nella credibilità delle istituzioni eruopee (ammesso che ne abbiano), confinandole in una posizione di debolezza nei confronti di quelle espressioni di volontà popolare troppo spesso e con troppa facilità etichettate come "populiste".
Oggi, secondo questa logica, alla luce di una possibile vittoria dei "NO", le istituzioni europee dovrebbero assumere un atteggiamento più clemente e quindi fare delle concessioni alla Grecia. Ma ciò non esclude il fatto che domani potrebbe essere la volta del Portogallo, della Spagna o dell’Italia. Ecco quindi che si verificherebbe un precedente che, in proiezione futura, potrebbe essere fortemente destabilizzante.
L’alternativa è quella dell’uscita di Atene dalla moneta unica.
L’uscita della Grecia dall’euro creerebbe un precedente che abbatterebbe il dogma dell’irreversibilità dell’euro. L’integrazione europea, di fatto, diverrebbe reversibile. Ciò significa che agli altri membri della zona potrebbero essere tentati di abbandonare la moneta unica: non necessariamente nell’immediato ma, eventualmente, in occasione di qualche prossima crisi.
Gli investitori non europei, alla luce della reversibilità della moneta unica, assumerebbero un atteggiamento molto più cauto e quindi sarebbero meno disposti ad investire in un determinato paese che potrebbe abbandonare la moneta unica determinando la svalutazione dell’investimento.
C’è poi il rischio di contagio, con la possibilità di vedere aumentare il premio di rischio per i paesi considerati a rischio.
Naturalmente, la BCE, oggi, dispone di un discreto arsenale per contrastare il rischio contagio, ma credo che lo shock sarebbe comunque inevitabile e non è affatto detto che la banca centrale riesca ad evitarlo.
Ma, in ogni caso, il danno più grande che determinerebbe l’eventuale uscita della Grecia dall’euro è quello derivante dall’arrestarsi della speranza di una maggiore integrazione della zona euro finalizzata a rendere ottimale quest’area valutaria in modo da poter compensare al proprio interno gli effetti prodotti da shock economici. Integrazione che più volte, anche di recente, lo stesso Mario Draghi ha ribadito essere di fondamentale importanza per rendere l’euro effettivamente irreversibile.
Al netto delle responsabilità che, secondo la mia modesta opinione, stanno da entrambe le parti, la vicenda greca si sta concludendo nel peggior modo possibile.
Tutta la sua gestione, da 5 anni a questa parte e, ancor prima, con l’entrata nell’euro del paese ellenico, è stata un susseguirsi di errori clamorosi commessi soprattutto dalla nomenclatura politica europea. Come che sia, sotto questo punto di vista, tenuto conto che la Grecia esprime appena il 2% del Pil dell’intera Eurozona, la bilancia delle responsabilità pende principalmente da parte tedesca per la manifesta incapacità di gestire un focolaio di crisi che nel frattempo si è trasformato in un vero e proprio incendio di grandi proporzioni.
E questo, per coloro che invocano che occorrerebbe più Europa, che occorrerebbe un’Europa unita e che ritengono che la Germania debba e possa assumere un ruolo di leadership nella convergenza degli Stati europei verso quell’integrazione che, come dicevamo, lo stesso Draghi ritiene essere di fondamentale importanza per la sopravvivenza della moneta unica , dovrebbe indurre alla conclusione che questa unione monetaria è oggettivamente non riformabile per manifeste incapacità e carenti volontà politiche.
http://www.vincitorievinti.com/2015/07/ … l?spref=fb