Se il condominio diventa una grande famiglia
Prende piede il progetto “Vicini più vicini” ideato da Cecilia Sechi ex assessore comunale ai Servizi sociali
Andrea Massidda scrive…
SASSARI. Sino a pochi mesi fa si salutavano appena. E se per “disgrazia” finivano insieme sull’ascensore ognuno di loro fissava un punto a caso della cabina senza proferire parola. Gelo totale, insomma, come spesso capita a chi è vittima del logorio della vita moderna. Eppure ora i trenta condomini del palazzo di via Cima 6 sono improvvisamente diventati una grande famiglia, nella quale alla prima occasione utile si organizzano grandi arrostite, ci si scambiano gentilezze e favori, si va a fare ginnastica insieme e – miracolo – si sorride guardandosi negli occhi. Tutto grazie a una curiosa iniziativa che si chiama “Condominio solidale” e punta dichiaratamente a rendere i «vicini più vicini». Finanziato dalla “Fondazione con il Sud” e in piccola parte dal Comune, il progetto qui in città è portato avanti nella fase operativa dalla Uisp e in quella comunicativa da Data Symposium. Stamattina alle 11, i condomini di via Cima suggelleranno la loro amicizia addirittura mettendo una targa all’ingresso del palazzo. E alla cerimonia con il rinfresco parteciperà anche il sindaco Nicola Sanna.
Ma che cosa significa esattamente creare un condominio solidale? E come si concretizza in una città questo modello di vicinato che ricorda tanto quello che una volta nei piccoli centri della Sardegna era una consuetudine? A spiegarlo, ieri pomeriggio nel corso di una conferenza nella Sala Angioy del palazzo della Provincia è stata Cecilia Sechi, ex assessore comunale ai Servizi sociali, grande esperta di queste tematiche e promotrice di questa idea, alla quale hanno aderito anche altri tre condomini in via Rockefeller, in via Dalmazia e nella borgata di Caniga .
«In sintesi – spiega – si tratta di un progetto capace di migliorare la qualità della vita di ognuno di noi e al quale hanno deciso di partecipare persone che vogliono e credono che si possa cambiare il rapporto con i vicini, oggi troppo individualistico, per renderlo più aperto, disponibile, partecipato, con gesti di reciprocità». Così le signore del palazzo la mattina vanno a correre per tenersi in forma, i loro mariti si dedicano a ristrutturare l’androne, chi è libero controlla i bimbi della dirimpettaia che è andata a lavorare e così via. «È un progetto contagioso – aggiunge Maria Pina Casula, della Uisp- e ci sta facendo scoprire che non è sempre vero che siamo tutti blindati dentro le nostre case».
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