Riscossione quote condominiali e ruolo dell’amministratore
Il condomino è obbligato a contribuire alle spese per i beni comuni e per i servizi svolti nell’interesse di tutti, anche se rinuncia a goderne.
Se non vengono versate le quote di spesa, non si possono pagare i fornitori ed il condominio rischia la paralisi. Scatta allora l’obbligo dell’amministratore di adoperarsi senza indugio per recuperare il credito, anche attraverso le vie giudiziarie. Il singolo condomino deve quindi provvedere al pagamento di quanto dovuto nella misura e nei tempi deliberati dall’assemblea.
Se non lo fa, è tenuto a versare, oltre alla somma capitale dovuta, anche gli interessi nella misura legale oppure in quella maggiore richiesta dal fornitori.
Nel persistere della morosità, la legge concede piena libertà all’amministratore di domandare al giudice del luogo ove è situato l’edificio condominiale l’emissione di un decreto ingiuntivo di pagamento immediatamente esecutivo (art. 63 disp.att. cod.civ.), ovvero un ordine di pagamento che deve essere osservato anche nel caso in cui il condomino debitore decida di proporvi opposizione.
Il tutto deve essere fatto dall’amministratore entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio a cui il credito si riferisce (art. 1129, comma 9, cod.civ.), termine massimo concessogli per dare inizio alla procedura di recupero del credito, ma nulla gli vieta di agire contro il moroso anche subito dopo la chiusura della gestione, previa approvazione da parte dell’assemblea del rendiconto della gestione e del preventivo di spesa per quella successiva.
Invece, l’inutile decorso del semestre non fa certamente venire meno il debito contratto dal moroso, ma solo espone l’amministratore al rischio di revoca dall’incarico e alla richiesta di risarcimento dei danni da parte del condominio o dei singoli condomini che restano pregiudicati dal di lui inadempimento.
La previsione di detto termine evita dunque morosità rilevanti che magari si cumulano per più gestioni proprio a causa della negligenza dell’amministratore: il debito del moroso verso il condominio può raggiungere al massimo una semestralità, dopo di che deve scattare il procedimento giudiziario per essere recuperato.
All’amministratore, in sintesi, non è più consentito di “chiudere un occhio” nei confronti di alcuni condomini, anche verso quelli la cui situazione patrimoniale appare magari anche solo momentaneamente compromessa.
La regola generale è pertanto quella che l’amministratore, senza necessità di preventiva autorizzazione da parte dell’assemblea, deve agire per la riscossione forzosa delle somme dovute dai condomini.
A temperare la rigidità della nuova procedura prevista dalla riforma è però prevista la possibilità per l’assemblea di intervenire, espressamente esonerando l’amministratore dal dare corso ad iniziative dirette al recupero coatto del credito condominiale: può trattarsi quindi di una dispensa da valere per il singolo caso specifico oppure in generale per tutti i condomini, come nel caso in cui si decida di procedere giudizialmente solo verso i morosi al di sopra di un certo importo e si opti invece per mezzi meno severi (plurimi solleciti) nei confronti di quelli con debiti minori.
Nulla viene precisato sulle maggioranze necessarie per deliberare in tal senso, ma è giustificato ritenere che l’assemblea chiamata a deliberare sul rendiconto possa, con la medesima maggioranza del terzo dei millesimi e dei partecipanti al condominio, decidere di esonerare l’amministratore dal ricorrere all’autorità giudiziaria nel termine semestrale previsto dalla legge: ancor più se il conto corrente del condominio non permette neppure di anticipare gli esborsi per procedere al recupero coatto.
Se anche la notifica del decreto ingiuntivo non basta a convincere il moroso ad adempiere ai propri obblighi si deve dare corso alla vera e propria fase esecutiva al fine di meglio tutelare gli interessi dei condomini invece puntuali nei pagamenti: si arriverà quindi a pignorare i beni di proprietà del debitore e a chiederne poi la vendita per soddisfarsi con quanto ricavato. Sotto tale profilo, a seconda dell’entità del debito, conviene aggredire i beni mobili (televisore, tavoli, divani e quant’altro arredi l’unità immobiliare) oppure l’appartamento di proprietà del condomino moroso.
La prima ipotesi va percorsa quando il debito è di minima entità, tenuto presente che spesso il bene mobile viene giudizialmente venduto ad un prezzo di gran lunga inferiore al suo effettivo valore.
Nel caso invece di morosità elevata è senza dubbio preferibile il pignoramento immobiliare in quanto maggiore è la possibilità di realizzo dalla vendita del bene esecutato, sempre però che questo già non sia gravato da ipoteche in favore magari degli stessi istituti di credito che hanno a suo tempo erogato il mutuo per consentire al debitore di acquistarlo: questi sono infatti titolari di un credito privilegiato e hanno il diritto di essere soddisfatti prima del condominio, con il probabile rischio dunque per quest’ultimo di recuperare poco o nulla.
Avv. Augusto Cirla-Assocond Conafi
A cura di Anna Carbone
http://news.attico.it/2013/09/11/riscos … istratore/