Ripartizione delle spese in base all’ accordo delle parti
La norma contenuta nell’art. 1123 del codice civile ha carattere dispositivo.
Ciò vuol dire che essa trova applicazione laddove le parti non abbiamo diversamente stabilito. In questo modo si dà l’opportunità ai partecipanti al condominio di decidere in piena autonomia i criteri di ripartizione delle spese più equi nella loro situazione. Solo l’eventuale mancanza di accordi inter partes, quindi, consente l’applicazione delle disposizioni codicistiche. La prima cosa che è necessario verificare, nell’approccio ad un problema di ripartizione delle spese condominiali, è la presenza di un regolamento condominiale o di una delibera assembleare che dispongano sull’argomento.
Non è sufficiente, però, un regolamento di natura assembleare (votato quindi nei termini previsti dall’art. 1138 c.c.) o una delibera adottata con la sola maggioranza. Per derogare al criterio legale di ripartizione delle spese sarà necessario il consenso di tutti i partecipanti al condominio. Consenso che dovrà risultare dal regolamento condominiale (contrattuale), da una delibera assembleare votata da tutti i condomini, così come da un accordo sottoscritto da tutti anche al di fuori dell’assemblea. Si tratta, in sostanza, di un vero e proprio contratto che le parti sottoscrivono per regolare un rapporto giuridico.
E’ dubbio se l’accordo debba essere, necessariamente, scritto. La giurisprudenza ritiene che si possa accettare un criterio di ripartizione delle spese, diverso da quello legale, anche per facta concludentia, "vale a dire attraverso un’univoca manifestazione tacita di volontà, da cui possa desumersi un determinato intento, conferendogli un preciso valore contrattuale" (cosi Trib. di Bari n. 1470 del 10 giugno 2008).
La libertà delle parti in materia è così ampia che in sede di accordo i condomini potranno convenire di ripartire le spese nel modo che riterranno più opportuno senza alcun ostacolo se non quello della stessa liceità dell’accordo.
Trattandosi, come abbiamo detto prima, di un contratto sarà quella la disciplina cui fare riferimento. Così, ad esempio, sarà possibile indicare un tempo di durata della deroga ai criteri di legge, si potranno decidere le singole voci di spesa cui applicare l’accordo o ancora esentare alcuni condomini (totalmente o parzialmente) dalle spese condominiali, ecc.
Questa libertà incontra un limite qualora la convenzione sia contenuta in un regolamento condominiale contrattuale predisposto dal costruttore. La tendenza giurisprudenziale, più recente, è quella che tende a considerare vessatorie, ad esempio, quelle disposizioni che limitano (o escludono) le spese in capo al costruttore per le unità immobiliari di sua proprietà.
Una volta posto raggiunto l’accordo ed in assenza dei succitati vincoli temporali, esso avrà piena validità tra le parti fino ad un nuova, successiva ed eventuale convenzione sulla ripartizione delle spese. Infine, che cosa succede se uno dei condomini vende il proprio appartamento? L’accordo sulla ripartizione delle spese varrà anche per l’acquirente? La risposta è negativa.
La spiegazione si trova nel terzo comma dell’art. 1372 c.c., il quale dice che il contratto non produce effetto rispetto per i terzi se non nei casi previsti dalla legge. Ciò significa che o l’acquirente accetta l’accordo, sostituendosi al suo dante causa, oppure l’accordo non varrà nei suoi confronti; anche in questo caso l’accettazione potrà avvenire per facta concludentia.