Riforma del condominio e multiproprietà
La riforma del condominio ha esteso esplicitamente l’applicabilità degli artt. 1117 e ss. anche alle multiproprietà. Era davvero necessario questo riferimento?
Il condominio, per definizione, è quell’edificio nel quale coesistono delle porzioni di piano di proprietà esclusiva, le così dette unità immobiliari, con parti comuni, nella proprietà, ai titolari delle prime.
La condominialità esprime un rapporto di accessorietà tra parti comuni e di proprietà esclusiva.
Le scale sono comuni perché, oltre ad essere indicate come tali dall’art. 1117 c.c., servono ad accedere alle unità immobiliari; stesso discorso per gli impianti e per altri spazi comuni.
La funzionalità-accessorietà dei beni, anche di quelli non elencati dall’art. 1117 c.c., dunque, è criterio fondamentale ai fini della valutazione della condominialità dei beni medesimi.
Queste valutazioni sono state espresse anche dalla Corte di Cassazione, secondo la quale affinché possa operare, ai sensi dell’art. 1117 c.c., il cosiddetto diritto di condominio, è necessario che sussista una relazione di accessorietà fra i beni, gli impianti o i servizi comuni e l’edificio in comunione, nonché un collegamento funzionale fra i primi e le unità immobiliari di proprietà esclusiva.
Pertanto, qualora, per le sue caratteristiche funzionali e strutturali, il bene serva al godimento delle parti singole dell’edificio comune, si presume – indipendentemente dal fatto che la cosa sia, o possa essere, utilizzata da tutti i condomini o soltanto da alcuni di essi – la contitolarità necessaria di tutti i condomini su di esso (Cass. 21 dicembre 2007 n. 27145).
Novità introdotte dalla riforma
Con la legge di riforma del condominio, il legislatore ha modificato l’art. 1117 c.c. specificando che i beni elencati (l’elencazione come nel passato non sarà tassativa ma meramente esemplificativa) nella norma devono considerarsi, salvo diversa indicazione, parti comuni alle unità immobiliari.
Non si fa più riferimento, quindi, ai piani o porzioni di piano.
Vale la pena ricordare che ai sensi dell’art. 40 del d.p.r. n. 1142/49 si accerta come distinta unità immobiliare urbana ogni fabbricato, o porzione di fabbricato od insieme di fabbricati che appartenga allo stesso proprietario e che, nello stato in cui si trova, rappresenta, secondo l’uso locale, un cespite indipendente.
Questa differenza, secondo alcuni autori, è la conferma del fatto che le norme dettate in materia di condominio, a partire dal 18 giugno, potranno essere sicuramente applicate anche ai così detti condomini orizzontali, alle villette a schiera, ecc.
Ad avviso di chi scrive, non si tratta di una vera e propria novità quanto piuttosto di una semplice migliore specificazione delle parti di proprietà esclusiva.
Già da prima di questa modifica, infatti, era opinione diffusa che le norme del condominio fossero applicabili anche oltre il caso classico dell’edificio che si sviluppa in verticale.
La convinzione di ciò era propria anche della Cassazione, secondo la quale la varietà delle tipologie costruttive è tale, da non consentire di affermare aprioristicamente […] la configurabilità come condominio in senso proprio solamente negli edifici che si estendono in senso verticale: anche corpi di fabbrica adiacenti orizzontalmente (come in particolare proprio le case a schiera) possono ben essere dotati di strutture portanti e di impianti essenziali comuni, come quelli che sono elencati nell’art. 1117 cod. civ. (Cass. 18 aprile 2005 n. 8066).
Il nuovo art. 1117 c.c. parla di unità immobiliari ancorando sempre l’applicabilità della disciplina del condominio alla presenza di un edificio (e non di più edifici magari costituiti dalle singole unità immobiliari).
Multiproprietà e riforma
Nessuna particolare novità, verrebbe da dire; eppure a dire il vero l’art. 1117 c.c. contiene una novità, laddove afferma che si parla di condominio anche se le unità immobiliari sono soggette a diritto a godimento periodico.
Il riferimento è alla così detta multiproprietà.
La multiproprietà non è definita dal codice civile, nè dalle leggi speciali; l’art. 69 del codice del consumo, si limita a specificare che la nozione di contratto di multiproprietà, recitando:
Un contratto di durata superiore a un anno tramite il quale un consumatore acquisisce a titolo oneroso il diritto di godimento su uno o più alloggi per il pernottamento per più di un periodo di occupazione.
Secondo la dottrina, le principali caratteristiche della multiproprietà possono essere così brevemente riepilogate: i) pluralità di diritti di godimento; ii) diversità soggettiva dei titolari di tali diritti; iii) identità del bene su cui tali diritti vengono esercitati in quanto si tratta della stessa porzione immobiliare (o imbarcazione o roulotte); iv) delimitazione temporale dell’esercizio di tale diritto, consentito nel solo periodo annuale di assegnazione (Gianluca Cascella, La nuova multiproprietà. Forme, disciplina e tutela del consumatore, Cedam 2012).
Nel corso del tempo si sono sviluppate diverse tipologie di multiproprietà.
Per citare quelle più note basta qui ricordare:
a) la multiproprietà immobiliare (acquisto da parte delle persone di quote di proprietà delle unità immobiliari);
b) la multiproprietà azionaria (acquisto da parte delle persone di quote della società proprietaria del complesso edilizio).
Critiche all’utilità della riforma
L’inserimento nell’art. 1117 c.c. del riferimento alla multiproprietà (e nello specifico ad una particolare tipologia di questo istituto) ad avviso di chi scrive, è inutile.
Vediamo perché.
Ad avviso di chi scrive, il codice civile si riferisce alla multiproprietà nella quale le persone sono, pro quota, titolari del diritto di proprietà sulle unità immobiliari.
Questo genere di multiproprietà, la così detta immobiliare, o se si vuole classica, non ha nulla di differente da una comunione.
Il legislatore fa espresso riferimento alle unità immobiliari e al godimento periodico riferendosi però ai proprietari delle unità immobiliari.
Era proprio necessaria questa specificazione, dato che la multiproprietà immobiliare, dal punto di vista giuridico, è la forma più facilmente inquadrabile di questo istituto?
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