Reato staccare la luce ai condomini morosi
Esercizio arbitrario delle proprie ragioni: è questo il capo di imputazione per chi, anziché fare causa al moroso che non paga le spese di condominio gli stacca la luce.
A dirlo è una sentenza di ieri della Cassazione [1].
E non importa che a compire l’azione non sia il proprietario dell’immobile, ma un suo delegato come ad esempio l’amministratore di un residence o lo stesso amministratore di condominio, in quanto, secondo costante giurisprudenza, “il soggetto attivo del delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni può essere anche colui che eserciti un diritto pur non avendone la titolarità, ma agendo per conto dell’effettivo titolare” (titolare che potrebbe essere il condominio, ossia l’insieme dei proprietari).
L’imputato si era occupato da sempre della riscossione, per conto della società proprietaria dello stabile, della quote condominiali (tra le quali quelle dell’energia elettrica).
Quando questi però, per costringere l’inquilino moroso a pagare gli arretrati, gli ha staccato la corrente elettrica è incorso nella condanna penale.
La questione del distacco delle utenze nei confronti di chi non paga le spese condominiali è oggetto di contrasti giurisprudenziali, nonostante la recente riforma consenta all’amministratore di condominio di sospendere il condomino moroso dal godimento dei servizi condominiali “suscettibili di utilizzazione separata” come ad esempio l’accesso ai campi da tennis o, secondo alcuni, acqua e riscaldamento.
Numerose sono state le sentenze e ordinanze che hanno affrontato (con soluzioni diverse) il distacco del condòmino moroso dai servizi di prima necessità.
Per evitare problemi e conseguenze anche personali, l’amministratore che voglia procedere al distacco nei confronti del condòmino moroso farà meglio a rivolgersi al Giudice con provvedimento di urgenza che chieda autorizzarsi l’esecuzione del distacco.
LA SENTENZA
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 5 – 30 novembre 2015, n. 47276
Presidente Rotundo – Relatore Calvanese
Ritenuto in fatto
1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Torino confermava la sentenza del Tribunale di Cuneo del 28 settembre 2012 che aveva dichiarato C.A. responsabile del delitto di cui all’art. 392 cod. pen., condannandolo alla pena di 250 Euro di multa e al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile, con l’assegnazione di una provvisionale di 5.000 Euro.
In particolare, i giudici di merito avevano accertato che l’imputato, nella sua qualità di gestore di un residence, aveva disattivato in data prossima al primo agosto 2009 la derivazione della corrente elettrica verso l’unità abitativa di un condomino che non aveva provveduto al pagamento di utenze condominiali.
Secondo i giudici del gravame, l’imputato, quantunque non fosse il rappresentante della società che amministrava il condominio, doveva considerarsi il gestore di quest’ultimo, essendo emerso che agiva sempre per conto della suddetta società, provvedendo direttamente a pagare le spese condominiali e le utenze elettriche.
2. Avverso la suddetta sentenza, ricorre per cassazione l’imputato, articolando due motivi di impugnazione.
Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 392 cod. pen. e degli artt. 125, comma 3 e 546, lett. e) cod. proc. pen. in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen. I giudici dell’appello non avrebbero preso in considerazione la circostanza documentata in sede di appello, rilevante anche ai fini della valutazione del dolo, che l’amministratrice della società che gestiva il residence aveva comunicato alla parte offesa di aver dato incarico ad un tecnico addetto della manutenzione di staccare l’energia elettrica del suo alloggio. Pertanto, l’imputato avrebbe agito come mero esecutore di direttive adottate dalla società in questione.
Con il secondo motivo, il ricorrente si duole della violazione dell’art. 600, comma 2, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen., evidenziando che il giudice del gravame non si sarebbe pronunciato sui motivi di appello relativi alla sospensione dell’esecuzione della pronuncia sulla provvisionale e sulla riforma della somma riconosciuta dal primo giudice a tale titolo.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Il primo motivo è palesemente infondato, in quanto la prova che si assume essere stata pretermessa dai giudici di merito non ha la forza di disarticolare l’intero ragionamento probatorio della sentenza impugnata.
Va infatti ribadito che il vizio di travisamento della prova, desumibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo (purché specificamente indicati dal ricorrente), è ravvisabile solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale /probatorio (tra le tante, Sez. 6, Sentenza n. 5146 del 16/01/2014, Del Gaudio e altri, Rv. 258774).
Nel caso in esame, la circostanza che l’imputato abbia eseguito decisioni o direttive del titolare del diritto non esclude affatto di per sé la punibilità dell’agente, in quanto per costante giurisprudenza il soggetto attivo del delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni può essere anche colui che eserciti un diritto pur non avendone la titolarità, ma agendo per conto dell’effettivo titolare (tra tante, Sez. 6, n. 8434 del 30/04/1985, Chiacchiera, Rv. 170533; Sez. 6, n. 14335 del 16/03/2001, Del Pivo Rv. 218729).
Né tale circostanza poteva escludere nel caso di specie il dolo dell’agente.
Giova rammentare che il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, previsto dall’art. 392 c.p., richiede, oltre il dolo generico, costituito dalla coscienza e volontà di farsi ragione da sé pur potendo ricorrere al giudice, anche quello specifico, rappresentato dall’intento di esercitare un preteso diritto nel ragionevole convincimento della sua legittimità.
La sentenza impugnata ha affermato che dalle deposizioni testimoniali era emerso che l’imputato si era occupato da sempre della riscossione, per conto della società, delle quote condominiali (tra le quali quelle dell’energia elettrica).
Pertanto, l’imputato, nel momento in cui effettuò illecito distacco dell’utenza era ben consapevole di agire per esercitare un diritto con la coscienza che l’oggetto della pretesa competesse alla società.
3. Inammissibile è anche l’ultimo motivo.
Quanto alla richiesta di sospensione della esecutività della condanna al pagamento di una provvisionale in favore della parte civile, avanzata con l’appello, va ribadito che non sussiste difetto di motivazione nella sentenza del giudice di appello che abbia omesso l’esame di motivi di impugnazione i quali, siccome privi di specificità, dovevano essere dichiarati inammissibili.
Nel caso in esame, al fine di ottenere la sospensione, era onere dell’interessato fornire la prova dell’assoluta necessità della somma liquidata in favore della parte civile al soddisfacimento di bisogni essenziali non altrimenti fronteggiabili (tra tante, Sez. 2, n. 4188 del 14/10/2010 – dep. 04/02/2011, Manganello, Rv. 249401). Il ricorrente è venuto meno a tale onere probatorio, essendosi limitato ad invocare in termini del tutto generici la sospensione dell’esecuzione della provvisionale, senza allegare alcun elemento dimostrativo della sussistenza, in concreto, di un danno grave e irreparabile derivante da tale esecuzione.
Non merita miglior sorte anche la doglianza relativa alla omessa motivazione sulla richiesta di riduzione della somma liquidata a titolo di provvisionale.
Va ribadito il principio interpretativo più volte enunciato nella giurisprudenza di legittimità per cui, il provvedimento con il quale il giudice di merito, nel pronunciare condanna generica al risarcimento del danno, assegna alla parte civile una somma da imputarsi nella liquidazione definitiva non è impugnabile per cassazione, in quanto per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinato ad essere travolto dall’effettiva liquidazione dell’integrale risarcimento (tra tante, Sez. 6, n. 50746 del 14/10/2014, P.C. e G., Rv. 261536).
4. Alla declaratoria di inammissibilità segue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della Cassa delle ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma ritenuta equa di Euro 1.000 a titolo di sanzione pecuniaria.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e a quello della somma di Euro 1.000 in favore della Cassa delle ammende.
[1] Cass. sent. n. 47276/2015.
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