Cari amici,
Ci sono segnali di nervosismo nei mercati finanziari, che si manifestano nei flussi vorticosi dei capitali globali.
E’ come se si giocasse a scarica barile, rimpallandosi le risorse finanziare da un capo all’ altro del mondo.
Nessun paese vuole troppi soldi in prestito, perchè ciò incrementa il valore della propria moneta, aumenta i prezzi all’ esportazione, riduce la convenienza dei prodotti interni.
Ma queste risorse esistono, e il loro valore è sostenuto dall’ attività delle banche centrali e dei governi.
Il punto della questione è che il valore monetario ormai è divenuto autoreferenziale, e non trova riscontro effettivo.
La politica determina il valore delle cose, ma quando l’ unità di misura del valore perde il suo significato oggettivo, come potremo misurarlo?
Oggi siamo in questa situazione!
Capitali imponenti sono custoditi presso le banche dei paesi esportatori, che continuano ad esportare, importare nuova valuta, sostenere con questa valuta i debiti interni dei paesi esportatori, e tenere artificialmente basso il valore della propria moneta nazionale.
Questo processo non potrà durare in eterno, e costituisce un equilibrio precario destinato ad incrinarsi.
Mi auguro che i governatori delle banche centrali si avvedano del pericolo, e provvedano ad una ricorversione morbida, prima che i mercati finanziari si aggiustino improvvisamente da soli.
Il sole 24 ore
I capitali globali sono in movimento. Da quando il quasi azzeramento dei tassi d’interesse nei paesi sviluppati spinge i capitali ad andare in giro per il mondo alla ricerca di maggiori ritorni, molte banche centrali dei mercati emergenti stanno intervenendo pesantemente, comprando i capitali arrivati dall’estero e riesportandoli in modo da impedire alle loro valute di apprezzarsi. Altri paesi stanno imponendo controlli sui flussi di capitale in un modo o nell’altro. In queste settimane, il Giappone è diventato il primo grande paese industrializzato a intervenire direttamente sul mercato valutario.
Perché nessuno vuole che i capitali fluiscano verso il proprio mercato? Quali interventi pubblici sono legittimi e quali no? E dove ci porterà tutto questo intervenzionismo se non lo si tiene a bada?
La porzione di capitale che non viene riesportata rappresenta l’afflusso netto di capitale. Questo finanzia la spesa domestica in beni esteri. Quindi, una ragione per cui ai paesi non piace ricevere capitali è che questi implicano più “fuoriuscite” di domanda interna. Di fatto, dal momento che l’afflusso di capitali spesso causa un apprezzamento del tasso di cambio, l’aumento della spesa in beni esteri è spinta anche dalla minore competitività dei beni prodotti all’interno del proprio mercato.
Un’altra ragione per cui gli afflussi di capitale non piacciono ai paesi è che una parte di questi può essere rappresentata da capitali speculativi, pronti a venire quando i tassi d’interesse degli altri paesi diminuiscono e i prezzi degli assets locali crescono per poi andarsene rapidamente al primo sentore di pericolo o non appena si ripresentino opportunità nei loro mercati d’origine. Flussi voltatili di capitale inducono volatilità nelle economie implicate, facendo sì che i cicli di crescita e rallentamento siano più marcati di quanto non sarebbero altrimenti.
Ma, come si suol dire nei paesi anglosassoni, per applaudire ci vogliono due mani. Se i paesi facessero esercizio di disciplina e limitassero le spese delle loro famiglie, imprese o governi, non ci sarebbe bisogno di capitali esteri, che potrebbero quindi essere riesportati facilmente, senza effetti significativi sull’economia in questione. I problemi sorgono quando i Paesi non possono – o non vogliono – spendere in maniera ragionevole.
I paesi possono spendere eccessivamente per svariate ragioni. Lo stereotipo delle economie dell’America Latina fino a ieri era quello di mettersi nei guai a causa della prodigalità di governi populisti, mentre quello delle economie dell’est asiatico era quello di mettersi in difficoltà a causa di eccessivi investimenti in progetti a lungo termine. Negli Stati Uniti, alla vigilia della crisi in corso, la facilità di ottenere prestiti, soprattutto per gli investimenti immobiliari, ha spinto le famiglie a spendere troppo, mentre in Grecia è stato il Governo ad accumulare debiti irresponsabilmente.
Sfortunatamente, tuttavia, finché paesi come la Cina, la Germania, il Giappone e gli esportatori di petrolio continuano a inondare l’economia mondiale di beni in eccesso, non tutti i paesi possono limitare le proprie spese ed avere i conti in ordine. Dato che la Terra non può esportare beni verso Marte, alcuni paesi devono assorbire questi beni ed accettare i flussi di capitale che finanzino questo consumo.
A medio termine, gli spendaccioni dovrebbero ridurre i loro consumi e gli esportatori dovrebbero aumentare i loro. Nell’immediato, però, il mondo sta assistendo ad un gigantesco scaricabarile in cui nessun paese è disposto ad assorbire i beni dei paesi esportatori e i loro surplus di capitale. È questo che rende le politiche economiche nazionaliste attuali così distruttive: sebbene alla fine qualcuno dovrà pur assorbire i surplus e i capitali, tutti cercano di evitarlo.
Quali interventi pubblici sono legittimi allora? Ogni politica di intromissione nel mercato valutario, o imposizione di tariffe sulle importazioni o controllo dei flussi capitale, tende ad imporre un maggior peso sulle spalle degli altri paesi. L’ingerenza cinese nel mercato valutario probabilmente danneggia molti altri esportatori, tra le economie emergenti, che non intervengono in maniera così pesante e di conseguenza risultano meno competitivi.
Ma anche i paesi industrializzati si intromettono nei marcati in modo sostanziale. Per esempio, mentre gli interventi di politica monetaria statunitense (sì, anche la politica monetaria può considerarsi un intervento pubblico) ha fatto poco per stimolare la domanda interna, ha ottenuto l’effetto di spronare i capitali interni ad andare alla ricerca di maggiori ritorni in giro per il mondo. Il dollaro americano si sarebbe indebolito significativamente – aiutando le esportazioni – se le banche centrali straniere non avessero rispedito al mittente gran parte di quei capitali accumulando titoli di Stato americani.
Tutto ciò provoca distorsioni che ritardano l’aggiustamento – i tassi di cambio sono troppo bassi nelle economie emergenti, ritardando la loro emancipazione dalla dipendenza dalle esportazioni, mentre la facilità con cui il Governo americano viene finanziato fornisce pochi incentivi ai politici statunitensi per ridurre la spesa nel medio termine.
Piuttosto che intervenire per ottenere un temporaneo incremento nella porzione di una domanda globale che langue, avrebbe senso che i governi provvedessero a rendere le loro economie più bilanciate ed efficienti nel medio termine. Questo gli permetterebbe di contribuire in modo sostenibile ad un incremento della domanda globale.
La Cina, per esempio, dovrebbe dirottare quote più importanti di reddito dalle imprese verso le famiglie, in modo da incrementare i propri consumi interni. Gli Stati Uniti devono migliorare l’istruzione e le competenze di parti significative della loro forza lavoro, in maniera tale da incrementare le loro esportazioni nei settori di beni e servizi di alta qualità e ad alto contenuto tecnologico in cui sono specializzati. Un maggior reddito incrementerebbe i risparmi americani, riducendo la dipendenza delle famiglie dal debito, anche mantenendo elevati livelli di consumo.
Sfortunatamente, tutto ciò richiede tempo, e cittadini impazienti stanno pressando i loro politici per ottenere crescita e lavoro. Diversi paesi in tutto il mondo stanno abbracciando politiche miopi per rispondere ai bisogni immediati del loro elettorato. Ci sono eccezioni. L’India, per esempio, ha evitato di intervenire sulla valuta finora, addirittura aprendosi ad un indebitamento a lungo termine in rupie per finanziare i progetti infrastrutturali di cui c’è grande bisogno.
La volontà indiana di spendere laddove tutti gli altri cercano di risparmiare e vendere comporta rischi che devono essere gestiti con attenzione. Ma l’esempio dell’India fornisce anche un’idea di ciò che il mondo potrebbe ottenere collettivamente. In fondo, se tutti cerchiamo di vivere alle spalle dei nostri vicini, tutti alla fine saremo più poveri.