“Why Not”, guerra tra procure
Napolitano chiede notizie
Il Capo dello Stato: «Vicenda senza precedenti, con gravi implicazioni» . L’Anm: «Siamo sgomenti»
Cari amici,
la vicenda Way Not sta assumendo i contorni di una lotta politica tra alcuni magistrati che hanno intrapreso l’ inchiesta, ed altri magistrati che intendono interrompere l’ inchiesta.
Mi sento abbastanza preoccupato dei termini che sta assumendo questa questione, perchè i poteri contrapposti sono esattamente uguali.
Due procure si contendono atti giudiziari, e si scambiano accuse che diventano vere inchieste legali.
In mezzo c’ è la verità che nessuno conosce!
Tra tutte le dichiarazioni di personaggi cosiddetti “politici”, mi irrita la posizione di Mastella, il quale nella sua posizione di indagato emette un esposto come Guardasigilli lamentando “l’acquisizione di suoi tabulati telefonici da parte dell’allora pm di Catanzaro Luigi De Magistris senza aver chiesto l’autorizzazione della Camera dei deputati”
.
Ma possibile che nessun giornale descriva per esteso le accuse di De Magistris?.
Si discute in modo acceso del problema giudiziario, ma pochissimi spiegano in termini semplici di che accuse si tratta.
E noi cittadini brancoliamo nel buio, annaspando a leggere dichiarazioni politiche più o meno interessate.
…non mi sembra giusto.
Corriere della sera
ROMA – Una vera e propria guerra di procure a colpi di avvisi di garanzia. Dopo il sequestro della documentazione delle indagini “Why Not” e “Poseidone” eseguito martedì scorso dai magistrati di Salerno a Catanzaro, la procura generale del capoluogo calabrese contrattacca, blocca gli atti e iscrive sette magistrati campani sul registro degli indagati. Un velenoso scontro giudiziario che nasce dalla vicenda del presunto “complotto” ai danni dell’ex pm Luigi De Magistris: l’atto di accusa nei confronti dei magistrati calabresi, che avrebbero ostacolato e annientato le ultime inchieste di De Magistris (poi trasferito a Napoli dal Csm) nelle quali erano indagati tra gli altri l’ex-Guardasigilli Mastella e l’ex premier Prodi, è contenuto in un decreto di 1700 pagine emesso dalla procura salernitana. Ma la procura di Catanzaro, «offesa» dall’azione di Salerno, non ci sta e reagisce a quello che – come lo definisce il procuratore generale Enzo Iannelli – «è un atto eversivo e inaudito».
NAPOLITANO – Una vicenda dirompente sulla quale interviene anche il Colle. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che è anche presidente del Csm, prima chiede alla Procura di Salerno di inviare «ogni notizia e – ove possibile – ogni atto utile a meglio conoscere una vicenda senza precedenti con gravi implicazioni istituzionali». Nella lettera del Colle si parla di inquietanti interrogativi» e viene inoltre paventato il rischio di «paralisi della funzione processuale» (leggi il testo completo). In serata, il Quirinale rivolge la stessa richiesta anche alla procura calabrese, esprimendo «preoccupazione sul piano delle conseguenze istituzionali» per quello che si configura come «un aperto, aspro contrasto tra uffici giudiziari».
ANM – Il presidente dell’Anm, Luca Palamara, e il segretario Giuseppe Cascini si dicono «sgomenti e preoccupati per quanto sta accadendo. Ciò che è in gioco è la credibilità della funzione giudiziaria». «Ci sarà tempo per una compiuta valutazione del merito delle singole vicende sulla base della conoscenza degli atti e delle loro motivazioni» aggiungono Palamara e Cascini. «Ma in questo delicato momento non possiamo che chiedere a tutti il massimo senso delle istituzioni e il rigoroso rispetto delle regole, unico fondamento dello svolgimento della funzione giudiziaria».
LA GUERRA DEGLI ATTI – La vicenda, però, continua a ingarbugliarsi. La Procura di Catanzaro ha infatti bloccato gli atti relativi alle inchieste di De Magistris già sequestrati da Salerno. Il provvedimento (un vero e proprio contro-sequestro) è stato notificato ai carabinieri campani che erano negli uffici della Procura generale di Catanzaro. Inoltre sette magistrati della Procura salernitana, fra cui il procuratore capo Apicella, sono adesso indagati dalla Procura di Catanzaro. Le ipotesi di reato sono abuso d’ufficio ed interruzione di pubblico servizio (poiché le inchieste sono tuttora in corso e la sottrazione degli atti comporterebbe un inevitabile blocco dell’attività di indagine).
MANCINO: «PRONTO A LASCIARE» – In giornata c’è stata anche la riunione plenaria del Csm con l’intervento del vicepresidente Nicola Mancino, che si è difeso dalle indiscrezioni diffuse via stampa. «Il giorno in cui una campagna di stampa dovesse incidere sulla mia autonomia non ho difficoltà a togliere l’incomodo» ha detto riferendosi alle notizie pubblicate dal Giornale secondo cui sarebbe coinvolto nell’inchiesta della Procura di Salerno sul “complotto” contro de Magistris, il cui trasferimento è stato deciso proprio dal Csm. «Non vorrei avere su di me neppure l’ombra di un sospetto – ha detto Mancino -, il giorno che dovesse accadere non avrei esitazione a lasciare». «Non ho mai telefonato a Saladino – ha chiarito Mancino parlando dell’ex presidente della Compagnia delle Opere e principale indagato nell’inchiesta «Why Not» -, la chiamata partita da uno dei miei numeri di telefono è stata fatta da un’altra persona, da un rappresentante di Comunione e liberazione, Angelo Arminio, che nel 2001 era nella schiera dei miei collaboratori».
LE INDISCREZIONI – Nell’articolo pubblicato dal Giornale si fa riferimento al decreto di perquisizione nei confronti dei magistrati di Catanzaro emesso dalla Procura di Salerno, in cui – alla pagina 442 – si dà conto di una telefonata giunta a Saladino da un numero fisso intestato a Mancino. Inoltre il Giornale cita un interrogatorio del dicembre 2007 in cui de Magistris parla del vicepresidente del Csm. In una deposizione del novembre 2007 davanti ai giudici salernitani e riportata dall’Ansa, de Magistris afferma anche che «Why Not» gli è stata tolta quando «stavo praticamente per chiudere il procedimento» e «soprattutto stavo facendo degli atti anche molto importanti (…) che riguardavano esponenti di spicco della politica calabrese (Minniti, Tommasi, Adamo e D’Andria)». Si tratta di Marco Minniti, massimo esponente del Pd calabrese ed ex viceministro dell’Interno; Nicola Adamo ex vicepresidente della giunta regionale e attuale capogruppo del Pd alla Regione, Diego Tommasi (Verdi) ex assessore regionale all’ambiente, e Renato D’Andria (Psdi).
SOLIDARIETÀ – In piena bufera, il plenum del Csm ha espresso completa solidarietà a Mancino. «Eravamo ampiamente consapevoli che l’operazione in atto mira a colpire tutti noi – ha detto il togato di Magistratura Democratica, Livio Pepino -. Bisogna avere grande rigore e trasparenza con una risposta dura che ci porta a non farci intimidire». Gianfranco Anedda (laico di An) ha criticato De Magistris: «Mi pare che anche in queste ore anteponga l’orgoglio personale all’interesse della magistratura che da tutto ciò esce delegittimata». Mancino, da parte sua, ha voluto ringraziare tutti i componenti del Consiglio per le loro parole sottolineando che «non ci dobbiamo chiudere a riccio, ho sempre rispettato l’esercizio della giurisdizione, ci possono anche essere eccessi, ma ci sono tre gradi di giudizio, il sistema permette che la verità possa emergere».
DI PIETRO E ROTONDI – Solidarietà a Mancino anche da Di Pietro, Veltroni e Rotondi. «Non si getti fango su di lui: finché i magistrati non dicono che c’è un’inchiesta, si eviti di fare di tutta l’erba un fascio – ha detto il leader dell’Idv Antonio Di Pietro». L’ex pm esprime però «riserve circa il modo e il tono usato» dal Colle nei confronti dei magistrati di Salerno. «Con tale decisione – spiega Di Pietro – si rischia la criminalizzazione preventiva e preconcetta dell’attività di indagine che sta svolgendo la procura di Salerno». Il segretario del Pd, Veltroni, esprime «piena solidarietà e stima al vicepresidente del Csm, Nicola Mancino, che ha svolto e svolge il suo alto e difficile incarico con equilibrio e senso delle istituzioni, in questo momento in cui è oggetto di una fuga di notizie incontrollata e priva di qualsiasi riscontro». Per questo, aggiunge Veltroni, «appare importante e positiva l’iniziativa assunta dal presidente Napolitano». Per il ministro per l’Attuazione del programma, Gianfranco Rotondi, «chi conosce Nicola Mancino sa che nessuna ombra può esserci sulla sua autonomia e, soprattutto, sulla sua onestà personale».
PECORELLA – Secondo Gaetano Pecorella (deputato Pdl) «sta accadendo quello che non poteva che accadere, e cioè che una volta entrata la politica nella magistratura questa finisce per intaccare e tagliare le radici della stessa magistratura – ha detto a Radio Radicale -. Con questo sistema per cui le informazioni di garanzia, le notizie sui giornali, le telefonate più o meno interessanti vengono pubblicate, si finisce per lasciare in mano a questo o quel magistrato delle forme di epurazione. In questo modo si colpisce l’intero Csm perché Mancino lo rappresenta». Pecorella parla di «una guerra tra bande dentro la magistratura che hanno in mano persino la organizzazione interna».
MASTELLA – In serata arriva infine la notizia che il plenum del Csm all’unanimità ha deciso di «girare» ai titolari dell’azione disciplinare l’esposto che l’ex Guardasigilli Clemente Mastella aveva presentato lamentando l’acquisizione di suoi tabulati telefonici da parte dell’allora pm di Catanzaro Luigi De Magistris senza aver chiesto l’autorizzazione della Camera dei deputati। Palazzo dei marescialli ha preso atto di non aver più competenza per pronunciarsi, considerato che De Magistris è già stato trasferito d’ufficio da Catanzaro e che comunque si tratterebbe di un comportamento eventualmente valutabile in sede disciplinare. Saranno ora il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, e il neo procuratore generale della Cassazione Vitaliano Esposito a valutare se sia il caso di avviare l’azione disciplinare nei confronti del magistrato.
Ansa
La guerra tra procure ha costretto il Quirinale a scendere direttamente in campo: una vicenda senza precedenti, avverte il Colle, che comporta “gravi implicazioni istituzionali”. Come denuncia anche il vicepresidente della Camera Maurizio Lupi “l’immagine del sistema giudiziario esce compromessa” dalla battaglia in corso tra magistrati. Una storia complessa che muove dal caso De Magistris e dalle inchieste Why not e Poseidone e che ha finito per lambire anche il vicepresidente del Csm Nicola Mancino, pronto a lasciare il proprio incarico se dovessero affiorare ombre sul suo comportamento. Era naturale che il capo dello Stato, nella sua veste di presidente dell’organo di autogoverno della magistratura, non potesse rimanere passivo: eppure la richiesta di acquisizione di informazioni alla procura di Salerno è stata criticata da Antonio Di Pietro come una forma di “criminalizzazione preventiva” dei magistrati campani (De Magistris aveva lamentato di non aver mai avuto in questi mesi nessun segnale di comprensione dal presidente della Repubblica); tanto da indurre in serata il Quirinale a chiedere notizie anche alla procura di Catanzaro. Al di là della solidarietà espressa dalle forze politiche a Mancino, è evidente che il clamoroso cortocircuito giudiziario appesantisce il clima politico in un momento in cui non se ne avvertiva nessun bisogno. Silvio Berlusconi ha detto che “sono cose che non dovrebbero accadere” e Gaetano Pecorella parla di una perdita di fiducia nella giustizia innescata dall’ingresso della politica nella magistratura. Ma in realtà l’impressione é che si sia scoperchiato un vaso di Pandora al fondo del quale c’é il problema dello stato della giustizia italiana: la riforma è ancora in alto mare, però stavolta il Quirinale ha compiuto un passo impegnativo che ben difficilmente si potrà concludere con i processi disciplinari, anche per la rilevanza delle inchieste in questione che coinvolgono esponenti politici di primo piano.