Quadro normativo dell’ amministratore di condominio
La legge 4/2013 ha disciplinato le professioni non regolamentate in Ordini e Collegi, tra le quali vi è, a buon diritto, quella di amministratore di condominio.
Con la suddetta disciplina, il professionista, che svolge la sua attività in forma continuativa, vede riconosciuta la propria attività in ambito socio-economico, pur se non appartenente ad un Ordine o a un Collegio, in quanto possono essere validamente iscritti a una Associazione che risponda ai parametri obbligatori, ex lege previsti, quali, soprattutto, l’adozione e l’obbligo di rispetto di regole deontologiche e la predisposizione di corsi di formazione permanente per i propri iscritti.
Questa legge, dunque, impone alle figure professionali interessate la massima trasparenza nei confronti della clientela.
Il possesso dei requisiti, disposti sia dall’art. 71 bis disp. att. cod. civ., sia dalla legge 4/2013, deve essere indicato per iscritto in ogni documento o rapporto intrattenuto con i clienti; in caso contrario, l’amministratore di condominio è sanzionabile ai sensi del codice del consumo, in quanto responsabile di una pratica commerciale scorretta, ex d. lgs. 206/2005.
Considerato che l’art. 1 della legge n. 4/2013 prevede requisiti soggettivi e oggettivi inferiori a quelli richiesti dall’art. 71 delle Disposizioni di attuazione del Codice civile, la prima problematica che si è posta concerne la domanda se si tratti di due leggi ordinarie, per le quali vale il principio della successione nel tempo per la loro applicabilità, ovvero se una, e quale, sia una legge speciale.
La questione ha particolare rilevanza in quanto si potrebbe ipotizzare che la legge 4/2013 abbia abrogato tacitamente l’art. 71 , annullando di fatto alcuni requisiti da questo disposti, considerato che non li ha più richiamati.
La distinzione tra leggi ordinarie e leggi speciali non è costituzionalmente, né legislativamente stabilita.
La dottrina ha individuato quale legge speciale quella che dispone nello specifico la natura di una fattispecie già prevista in un quadro normativo più generale.
In questo caso ritengo che la legge n. 220/2012, che ha introdotto, tra le disposizioni codicistiche, il più volte richiamato art. 71 disp. att. cod. civ., pur essendo anteriore alla legge 4/2013, si possa considerare speciale in quanto, questa seconda, regolamenta la disciplina alla quale debba attenersi ogni professionista che non sia iscritto in ordini o collegi ex art. 2229 cod. civ., mentre la prima inerisce ai soli amministratori di condominio, prevedendo più dettagliatamente i loro requisiti professionali ed etici, nonché le loro precipue funzioni.
A tal fine è irrilevante che il novellato art. 1129, XV comma, cod. civ. sancisca l’applicabilità, per il rapporto tra condominio e amministratore, della normativa sul mandato, disciplina questa ordinaria essendo contenuta nel, così detto, codice civile e ciò anche alla luce della sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite 8 aprile 2008, n. 9148, con la conseguenza che l’amministratore può ritenersi un mandatario con rappresentanza dei singoli condomini.
La legge 4/2013 dispone che può essere denominata professione quella attività economica, anche organizzata, volta alla prestazione di servizi e di opere a favore di terzi, esercitata abitualmente e prevalentemente mediante lavoro intellettuale, non organizzata in ordini o collegi.
L’esercizio della professione de qua è libero e fondato sull’autonomia, sulle competenze e sull’indipendenza di giudizio intellettuale e tecnica del professionista.
Con la legge n. 4/2013 è stato rimosso anche il pericolo, seppur remoto, che, per alcune attività prestate dall’amministratore, costui potesse essere denunciato per esercizio abusivo di una professione, ovviamente ordinistica, ai sensi dell’art. 348 cod. pen (Cass. pen., Sezioni Unite, 15 dicembre 2011, n. 11545); si pensi, per esempio, alla gestione diretta di un portiere del condominio senza che l’amministratore possegga la qualifica di consulente del lavoro o alla predisposizione di documenti fiscali senza che sia un dottore commercialista.
Per il combinato disposto degli artt. 1, comma terzo, e otto, comma secondo, L. 4/2013, l’amministratore deve riportare sulla carta intestata e sulle targhe, in luoghi del condominio esposti a terzi, sia la dicitura “professione svolta ex lege 4/2013” sia il numero di iscrizione all’Associazione.
E, infatti, la legge n. 4/2013 è finalizzata, non solo a riconoscere le professioni, così dette, non ordinistiche, ma altresì a tutelare i cittadini consumatori, conferendo alle Associazioni di categoria, l’iscrizione alle quali non è, però, obbligatoria, maggiori poteri di controllo e di elevazione culturale dei propri associati, anche mediante un certificato di qualità conforme alla norma UNI EN ISO 9001 (Cass. pen., Sez. IV, 11 marzo 2010, n. 16761).
Considerata la rilevanza sociale che riveste l’attività dell’amministratore, che può gestire patrimoni anche di considerevole entità, il legislatore, a mio parere, ha previsto, appunto, i rigorosi requisiti sopra citati, affinché possa essere esercitata, e che comportano diverse conseguenze, anche a tutela e contro gli stessi condomini.
Si deve ritenere, innanzi tutto, che l’art. 71 bis disp. att. cod. civ., pur non essendo stato dichiarato inderogabile dal successivo art. 72, non modificato dalla legge n. 220/2012, ut supra osservata, debba, tuttavia, ritenersi tale, in quanto strettamente e funzionalmente connesso con l’art. 1129 cod. civ., che è dichiarato inderogabile dall’art. 1138 cod. civ..
Se, poi, si reputi la norma in esame, finalizzata alla realizzazione di scopi sociali, si deve ritenere che la delibera assembleare, che nomini un amministratore non in possesso dei requisiti de quibus, sia nulla potendo rientrare nelle previsioni normative dell’art. 1418 c.c., considerato che se si può sostenere che si tratta di una delibera, atto negoziale collettivo, che viola le disposizioni di legge imperative in materia; ne consegue che questa tamquam non esset e, pertanto, i condomini, privi di un amministratore, rispondono personalmente per qualsiasi evento negativo che coinvolga il condominio; si può, infatti, ipotizzare una culpa in eligendo nella nomina dell’amministratore, primo dei requisiti de quibus, a carico dell’assemblea, e, quindi dell’intero condominio, se la relativa delibera non sia stata impugnata; per esempio, per risarcire personalmente i danni patiti da un terzo un’impossibilità a pretenderne il risarcimento dall’istituto assicuratore, considerato che la polizza R C Globale fabbricati è stata sottoscritta da un rappresentante del condominio carente dei poteri sostanziali per stipulare il relativo contratto.
Quanto sopra dedotto è confermato dalla disposizione testuale della norma che prevede, nell’ipotesi l’amministratore perda anche un solo requisito, di quelli ex lege stabiliti nelle lettere a) e b) del I comma di questo articolo, vale a dire perda i requisiti inerenti all’assenza di condanna per reati colposi, anche se non ancora passate in giudicato e divenute definitive, o di misure di sicurezza definitive, la facoltà anche per un solo condomino di convocare un’assemblea per la nomina del nuovo amministratore, analogamente a quanto si verifica nel caso il condominio ne sia sprovvisto, per esempio perché di recenti costruzione e costituzione.
La normativa, quindi, stabilisce che l’amministratore, sempre che il condominio sia composto da oltre otto condomini, decade di diritto dal suo incarico, quale fosse una risoluzione del contratto del mandato, per impossibilità sopravvenuta ai sensi dell’art. 1463 cod. civ..
http://www.quotidianocondominio.ilsole2 … id=AC3NZZa