Previti pena finita è libero
ma vietato tornare in politica
A Natale l’atto. In carcere rimase solo 4 giorni. E’ stato in affidamento ai servizi sociali, per tre anni e sette mesi nella comunità di Don Picchi sull’Appia Antica a Roma
Cari amici,
A volte mi chiedo su chi fondare la mia fiducia nelle istituzioni, e non trovo risposta.
Mi sembra una constatazione preoccupante!
Ultimamente sto leggendo l’ ultimo libro pubblicato da Marco Della Luna, avvocato e psicologo.
Mi fa bene leggere i suoi libri, perchè sono disincantati, percorsi da un vigoroso desiderio di onestà e di etica.
Il libro si chiama “Basta con questa Italia!
La notizia di oggi, che riguarda Previti fornisce, casomai ce ne fosse bisogno, altre argomentazioni a questo libro di denuncia pubblica di un sistema ormai corrotto e indifendibile.
Mi sembra di vivere sotto un enorme pressa che mi schiaccia e mi costringe a non poter volare alto, a badare soltanto al mio piccolo interesse personale, a guardare i miei vicini come nemici.
Vorrei scappare, ma non so dove andare.
L’ unica scelta responsabile, per me, è restare a lavorare ogni giorno e cercare di costruire un Italia diversa e migliore.
Spero di trovare aiuto e sostegno in questa fatica.
La Repubblica
MILANO – Quattro giorni in una cella di Rebibbia nel maggio del 2006. Tre anni e sette mesi in affidamento ai servizi sociali in una comunità di Roma, quella di don Picchi. Questo il conto pagato e scontato da Cesare Previti con la giustizia italiana. Dal 24 dicembre scorso, la procura generale di Milano ha ufficializzato il suo “fine pena”. L’ex ministro della Difesa del primo governo Berlusconi, il legale storico del gruppo Fininvest, dalla vigilia di Natale è così un uomo libero.
Salata la pena definitiva che la Cassazione gli ha comminato. Sei anni e mezzo di carcere per la corruzione nella vicenda Imi-Sir, un altro anno e mezzo in continuazione per la questione Mondadori. È stato lui, hanno stabilito le sentenze, il regista della corruzione di almeno due grossi affaire giudiziari. Quello che ha condannato l’Imi a risarcire la Sir dello scomparso Nino Rovelli per quasi mille miliardi di vecchie lire, e la scalata Mondadori, affidata al gruppo Fininvest proprio grazie alle mazzette che Previti ha allungato al giudice civile di Roma, Vittorio Metta, che aveva motivato la sentenza civile a favore della società di Silvio Berlusconi.
Le porte di Rebibbia, per uno dei fondatori di Forza Italia, si sono aperte la mattina del 5 maggio di tre anni fa. All’indomani della condanna definitiva a sei anni per la questione Imi-Sir, Previti si presenta spontaneamente in carcere. Ci rimane quattro giorni, il tempo necessario al Tribunale di Sorveglianza della capitale di applicare la legge Cirielli. Ai condannati ultrasettantenni è possibile scontare una condanna anche fuori dal carcere. Da quel momento, Previti si trova agli arresti domiciliari nella sua casa di piazza Farnese a Roma. Alcune settimane e passa all’affidamento in prova ai servizi sociali, occupandosi di disagio, nella comunità di Don Picchi, sull’Appia Antica. Durante il giorno, abbandona la sua casa di buon ora, si occupa di alcolisti e tossicodipendenti, alla sera rientra nella sua casa. Nei week end, invece, è libero. Sono testimoniate presenze costanti al circolo Cannottieri, sul Lungotevere, dove secondo Stefania Ariosto, testimone principale dell’inchiesta sulle toghe sporche della capitale, l’ex ministro avrebbe pagato uno dei giudici coinvolti in questa vicenda.
Ufficialmente, per Previti, in questi anni i rapporti con il mondo politico non sono altro che un lontano ricordo. Oltre a “comparsate” nella tribuna vip dell’Olimpico, a pochi metri dal presidente biancoceleste Claudio Lotito, non ci sono foto o testimonianze che raccontano di nuovi incontri con l’amico Berlusconi. Lo scorso 22 maggio, in occasione dei 40 anni della fondazione di don Picchi, il presidente della Camera, Gianfranco Fini, ha abbracciato l’ex compagno di coalizione e si è intrattenuto a colloquio con lui.
Da Natale, Cesare Previti, è tornato alla vita di sempre. Gli resta un’unica privazione: a 75 anni, non potrà più candidarsi ad alcuna carica pubblica. Tra le pene accessorie fissate dai giudici, infatti, anche quella dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici.