Secondo la Consulta, inoltre, la disciplina dell’Ue si rivela neutrale in ordine alla scelta del modello di mediazione da adottare
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 272 depositata ieri, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, del DLgs. 28/2010, relativo alla configurazione dell’esperimento della mediazione come condizione di procedibilità della domanda giudiziale per la risoluzione delle controversie civili e commerciali nelle materie nella norma stessa elencate (a partire da condominio, diritti reali, divisione, fino ad arrivare, fra le altre, a contratti assicurativi, bancari e finanziari).
La Consulta, la cui decisione è stata anticipata con il comunicato stampa dello scorso 24 ottobre 2012, si è pronunciata a seguito di varie ordinanze di rimessione – in particolare, quella del TAR Lazio 12 aprile 2011 –, che hanno quasi tutte censurato il carattere obbligatorio attribuito a detta procedura dal DLgs. 28/2010 per eccesso o difetto di delega, con riferimento agli artt. 76 e 77 Cost. (si vedano “Sulla mediazione tocca alla Consulta” del 13 aprile 2011 e “La mediazione obbligatoria è incostituzionale” del 25 ottobre 2012).
Il DLgs. 28/2010, si ricorda, è stato emanato in attuazione della delega conferita al Governo dall’art. 60 della L. 18 giugno 2009 n. 69, in conformità alla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 21 maggio 2008 n. 2008/52/CE, relativa a determinati aspetti della mediazione transazionale in materia civile e commerciale.
Ebbene, per la Consulta tali censure sono fondate.
Nelle motivazioni della Corte Costituzionale, vi è innanzitutto il fatto che l’opzione a favore del modello di mediazione obbligatoria operata dalla norma censurata non trova fondamento nella disciplina dell’Unione Europea sul punto. Vengono, nello specifico, richiamate la sopracitata Direttiva 2008/52/CE e, fra l’altro, la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 18 marzo 2010 (nelle cause riunite C-317/08, C-318/08, C-319/08, C-320/08). Detta disciplina, così come precisato dai giudici della Consulta, “si rivela neutrale in ordine alla scelta del modello di mediazione da adottare, la quale resta demandata ai singoli Stati membri”. Quindi, nessuna opzione, esplicita o implicita, a favore del carattere obbligatorio della mediazione, salvo per il favor dimostrato in quanto strumento idoneo a fornire una risoluzione extragiudiziale in termini di maggiore “convenienza” e “rapidità” delle controversie.
Solo l’art. 5, comma 2, della Direttiva 2008/52/CE si limita a stabilire che rimane impregiudicata la legislazione nazionale che rende il ricorso alla mediazione obbligatorio o soggetto a incentivi o sanzioni, purché venga garantito il diritto di adire i giudici competenti per la definizione giudiziaria delle controversie.
Obbligatorietà non richiamata nella disciplina Ue
I giudici della Consulta, poi, sottolineano che neanche tra i principi e criteri direttivi di cui all’art. 60, comma 3, vi è la previsione del carattere obbligatorio della mediazione.
Infatti, “con il censurato art. 5, comma 1, si è posto in essere un istituto (la mediazione obbligatoria in relazione alle controversie nella norma stessa elencate) che non soltanto è privo di riferimenti ai principi e criteri della delega ma, almeno in due punti, contrasta con la concezione della mediazione come imposta dalla normativa delegata”.
Più precisamente, la mediazione costituisce un istituto a carattere generale, rivolto ad un numero consistente di controversie, in relazione alle quali, però, il carattere dell’obbligatorietà per la mediazione non trova alcun ancoraggio nella legge delega.
Nessun rapporto di derivazione, poi, è configurabile fra tale istituto e altre procedure obbligatorie di conciliazione, in quanto queste ultime vengono a riguardare procedimenti specifici e singoli settori.
La Consulta conclude, infine, sostenendo che il carattere obbligatorio della mediazione non si rileva neanche nella sua ratio, cioè l’individuazione di misure alternative per la definizione delle controversie civili e commerciali al fine di ridurre il contenzioso gravante sui giudici professionali.
Invero, il DLgs. 28/2010 non prevede esclusivamente il modello della “mediaconciliazione”, bensì anche altri moduli procedimentali, quali quello di tipo facoltativo o disposto su invito del giudice, “del pari ritenuti idonei a perseguire effetti deflattivi e quindi volti a semplificare e migliorare l’accesso alla giustizia”.
Premesso quanto sopra, quindi, la Consulta dichiara l’incostituzionalità dell’intero comma 1 dell’art. 5 del DLgs. 28/2010, per violazione degli artt. 76 e 77 Cost., e, in via consequenziale, di molte disposizioni del DLgs. 28/2010 che richiamano l’obbligatorietà stessa della mediazione.
Tra le altre, si segnala l’art. 4, comma 3, secondo periodo, del DLgs. 28/2010, relativo all’accesso alla mediazione, ai sensi del quale “l’avvocato informa altresì l’assistito dei casi in cui l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale”.
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