L’energia alternativa costerà ancora troppo
Produrre energia green in casa propria costa ancora troppo. E a luglio, quando si chiuderà il V Conto Energia e le detrazioni fiscali scenderanno al 36%, sarà ancora più oneroso per i piccoli proprietari immobiliari. L’adozione di una fonte rinnovabile consente sicuramente di alleggerire la bolletta, ma la convenienza viene erosa da elevati costi iniziali ed è estremamente variabile, in base alle caratteristiche climatiche e strutturali dell’edificio.
Per analizzare se e quanto converrà produrre energia green da fonti alternative, Casa24 Plus ha chiesto all’Energy & Strategy Group del Politecnico di Milano di elaborare una simulazione sull’impatto di alcuni impianti (fotovoltaico, solare termico, caldaia a biomasse, pompa di calore geotermica) in edifici residenziali, in particolare in una villetta monofamiliare e in un condominio medio con 15 appartamenti. Dai risultati appare evidente come il destino del fotovoltaico sia strettamente legato al sistema incentivante: i tempi di ritorno per un tetto fotovoltaico si allungano oltre i 15 anni con la sola detrazione del 36% delle spese iniziali, oltre allo scambio sul posto (vedi grafico a fianco).
Per esempio, su una villetta in Calabria (più in generale al Sud) un impianto di 3 kilowattora di potenza costa 6.900 euro e genera un risparmio annuo in bolletta di 630 euro: i proprietari inizierebbero a guadagnarne solo dopo 19 anni, considerando anche i l’attualizzazione dei flussi di cassa annui futuri (ad un tasso del 4% circa) e spese annue (di assicurazione, gestione e manutenzione) pari a circa 100-150 euro. Al Nord lo stesso investimento, con meno giornate di sole, taglia i costi di 490 euro l’anno, ma spalma i tempi di rientro fino a 30 anni. «In genere al Sud – afferma Marco Alberti dell’Energy & Strategy Group – le condizioni climatiche portano a preferire interventi che coprano il fabbisogno elettrico, più richiesto per il condizionamento dei locali, e il fotovoltaico risulta vantaggioso, vista la maggiore presenza di sole. Al Nord, invece, risultano più efficaci interventi per il fabbisogno termico, essendo il riscaldamento la principale voce di costo».
L’intera simulazione è stata elaborata proiettando il sistema incentivante a inizio luglio (quando sarà possibile detrarre solo il 36% delle spese iniziali e accedere al Conto termico) e ai prezzi correnti dei moduli, che probabilmente a luglio si abbasseranno per andare incontro alle nuove esigenze di mercato. «Il pay back time si allungherà – aggiunge Alberti – perché la quota detraibile che tornerà in 10 anni sarà nettamente inferiore». La sola attualizzazione dei flussi monetari, secondo le simulazioni del Politecnico, sposta in avanti di circa 8 anni il rientro dell’investimento.
Sarà invece più "conveniente" il solare termico al Sud, dove bastano meno metri quadrati di impianto, rispetto al Nord, per coprire i consumi di acqua calda sanitaria di un condominio: dimensionati sul 70% del fabbisogno, i pannelli faranno risparmiare fino a 3.440 euro l’anno, ripagando l’investimento in 10 anni. In questo caso si potrà richiedere l’incentivo del Conto termico, appena entrato in vigore, che per impianti superiori ai 35 kw consente di recuperare in 5 anni una cifra considerevole.
Lo stesso incentivo varrà per una caldaia a biomasse (ad esempio pellet) o una pompa di calore geotermica (che preleva il calore da una sonda verticale sottoterra) abbinata a terminali di riscaldamento a pannelli radianti. Ma in questo caso i costi lievitano e i tempi di ritorno si allungano nuovamente. Installare una caldaia a pellet (16 kw termici di potenza) in una villetta costa 9.600 euro e diventa conveniente in un orizzonte di 15-20 anni, senza contare gli oneri di approvvigionamento della materia prima. Anche se poco diffuse a livello centralizzato, queste caldaie risultano particolarmente incisive in condominio, specie al Nord: un impianto di 150 kw di potenza termica costa fino a 60mila euro, ma una volta in funzione la bolletta si riduce di 5.390 euro l’anno e l’investimento rientra in soli sei anni. Le pompe di calore geotermiche scontano ancora gli elevato costi di perforazione e la disponibilità degli spazi dove trivellare: richiedendo investimenti iniziali che toccano i 15mila euro per una villetta monofamiliare e 95mila per un condominio.
Nonostante i costi eccessivi e i vantaggi non immediatamente percepibili, l’urgenza di intervenire in Italia sul patrimonio edilizio esistente attribuisce all’auto-produzione di energia green un ruolo importante: «Bisogna procedere in parallelo – aggiunge Alberti – intervenendo prima di tutto sulla struttura dei numerosi edifici-colabrodo (ad esempio con isolamento a cappotto, ventilazione, cambio degli infissi, ndr) e poi adottando le rinnovabili, ma non a tappeto. In alcuni contesti può diventare conveniente, in altri meno. Il giusto intervento è un mix di diverse scelte, l’approccio dev’essere sistemico e la convenienza di un impianto rinnovabile dipende da numerosi parametri di contesto, climatico e di fabbisogno dell’edificio».
Nel 2012 la spesa per le rinnovabili è stata di poco superiore ai 9,6 miliardi di euro e il 63% è stato investito nel fotovoltaico. Il 70% delle utenze termiche residenziali è ancora alimentato da caldaie tradizionali, il 20% da caldaie a condensazione e solamente un 10% da varie fonti rinnovabili (biomasse, geotermia o pompe di calore ad aria, meno costose). Secondo la Strategia energetica nazionale presentata l’8 marzo scorso dai ministri dello Sviluppo Economico e dell’Ambiente, nel 2020 il 19-20% dei consumi totali lordi saranno coperti da fonti rinnovabili, con un contributo pari al 35-38% su quelli elettrici e del 20% su quelli termici.
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