È competente il giudice di pace per le controversie condominiali sull’uso della cosa comune mentre spettano alla competenza del tribunale le liti relative ai limiti di esercizio del diritto del condomino sulla sua proprietà e quindi alle limitazioni all’esercizio di tale diritto di proprietà esclusiva imposte per esempio dal regolamento di condominio. Lo ha chiarito la Cassazione con una ordinanza pubblicata ieri [1].
La vicenda
Due inquilini avevano occupato lo spazio antistante la galleria condominiale con sedie e tavolini. Il tribunale aveva rilevato che ciò di cui si discuteva era la modalità di utilizzo della cosa comune. Pertanto, secondo la Cassazione, la questione sul potere o meno di collocare tavolini e sedie su una parte comune spetta alla competenza del giudice di pace.
Le controversie relative alle modalità d’uso dei servizi di condominio rientrano nella competenza del giudice di pace, sia che si tratti di riduzioni quantitative del diritto di godimento dei singoli condomini sulle parti comuni, sia che si verta in tema di limiti qualitativi di esercizio delle facoltà comprese nel diritto di comunione, in proporzione alle rispettive quote.
Al contrario, vanno ricomprese nella competenza del Tribunale le liti relative ai limiti di esercizio del diritto del condomino sulla sua proprietà e, quindi, alle limitazioni all’esercizio del diritto di proprietà esclusiva imposte da un atto di obbligo, come, ad esempio, potrebbe essere una clausola regolamentare limitativa.
LA SENTENZA
Corte di Cassazione, sez. VI Civile -2, ordinanza 8 – 27 ottobre 2015, n. 21910
Presidente Petitti – Relatore Giusti
Fatto e diritto
Ritenuto che con ricorso ex art. 702-bis cod. proc. civ., depositato in data 23 dicembre 2013, Ce.Fe. , L.L. , P.B.A. , Bo.Mo. , c.c. , N.L. , la s.a.s. Alex di Mondino Ivana e G.O. hanno convenuto in giudizio, dinanzi al Tribunale di Ivrea, Co.Re.Pa. , G.A.F. e la s.n.c. Luca’s Bar di Pitruzzella D. & Lo Bello G., chiedendone la condanna alla rimozione di quanto depositato nella parte condominiale comune antistante le unità immobiliari di proprietà di Co. e di G.A. , con divieto di analogo utilizzo per il futuro, nonché al pagamento in favore dei ricorrenti di una somma non inferiore ad Euro 300 per il ritardo nell’esecuzione dell’emanando provvedimento, ai sensi dell’art. 614-bis cod. proc. civ.;
che i convenuti Co. e G.A. si sono costituiti resistendo ed eccependo, in via preliminare, l’incompetenza per materia del Tribunale in favore del Giudice di pace;
che si è altresì costituita in giudizio la s.n.c. Luca’s Bar;
che con comparsa depositata in data 6 ottobre 2014, si è costituito in giudizio il terzo interveniente C.L. , quale successore a titolo particolare di B.M. per atto di compravendita in data 9 luglio 2014, che ha dichiarato di fare proprie le difese svolte e le conclusioni rassegnate dalla dante causa;
che il Tribunale di Ivrea, con ordinanza in data 26 novembre 2014, ha dichiarato la propria incompetenza per essere competente il Giudice di pace, ai sensi dell’art. 7, terzo comma, numero 2), cod. proc. civ.;
che ha premesso il Tribunale che l’art. 18 del regolamento condominiale, nel suo testo originario, non pone un divieto assoluto e incondizionato all’occupazione degli spazi di proprietà comune e con delibera dell’assemblea condominiale in data 26 giugno 2012 è stato modificato lo stesso art. 18, ed è stata prevista una diversa regolamentazione dell’uso della cosa comune, in specie stabilendosi la possibilità che gli spazi comuni antistanti le unità immobiliari di proprietà esclusiva dei condomini possano essere concessi in locazione;
che il Tribunale ha quindi rilevato che ciò di cui si controverte è la modalità di utilizzo della cosa comune: da un lato i ricorrenti sostengono, sulla scorta di una delibera assembleare che assumono valida, che l’occupazione dello spazio comune costituente la “galleria” sia consentito purché dietro corresponsione di un canone locatizio, dall’altro i convenuti, che si dolgono anche dell’invalidità della menzionata delibera condominiale già oggetto di impugnazione ex art. 1137 cod. civ., deducono che detto spazio possa essere liberamente utilizzato da ciascun condomino purché nel rispetto dei limiti posti dall’art. 1102 cod. civ.;
che – ha proseguito il Tribunale – non è in discussione il diritto dei condomini Co. e G.A. all’utilizzo dello spazio comune antistante le rispettive unità immobiliari, ma la regolamentazione dell’esercizio di tale diritto d’uso;
che avverso questa ordinanza C.L. e gli altri litisconsorti indicati in epigrafe hanno proposto ricorso, con atto notificato il 28 novembre 2014, sulla base di un motivo, con cui si sostiene che la competenza sarebbe del Tribunale, giacché nella specie non è stato chiesto di accertare in qual misura e con quali modalità i convenuti possano occupare gli spazi comuni ma se, tout court, abbiano diritto di farlo;
che hanno resistito, con memoria, il Co. e la G.A. ;
che la Luca’s Bar è rimasta intimata; che il pubblico ministero ha depositato, in data 25 giugno 2015, le proprie conclusioni scritte, ai sensi dell’art. 380-ter cod. proc. civ., concludendo per il non accoglimento del proposto regolamento di competenza;
che il pubblico ministero rileva quanto segue nella sua requisitoria:
“Non pare a questo Ufficio che il regolamento di competenza proposto, pure a non volerne considerare i profili di inammissibilità collegati alla mancata prospettazione di specifiche violazioni di legge, possa trovare accoglimento, tenuto conto del suo oggetto.
La giurisprudenza della Corte di legittimità insegna come le controversie relative alle modalità d’uso dei servizi di condominio rientrino nella competenza dei giudici di pace, si tratti di riduzioni quantitative del diritto di godimento dei singoli condomini sulle parti comuni o di limiti qualitativi di esercizio delle facoltà comprese nel diritto di comunione, in proporzione delle rispettive quote.
Viceversa, vanno ricomprese nella competenza del tribunale le liti relative ai limiti di esercizio del diritto del condomino sulla sua proprietà e quindi alle limitazioni all’esercizio di tale diritto di proprietà esclusiva che siano imposte da un atto di obbligo, quale anche una clausola regolamentare limitativa (Cass. 23297/14; 2483 e 869/12).
Come osservato, la lite instaurata attiene a diritti comuni, ossia al godimento dei singoli condomini sulle parti comuni, e non alla proprietà esclusiva del singolo condomino, rilievo assorbente di ogni ulteriore considerazione circa l’inesistenza di provvedimenti limitativi del diritto di proprietà esclusivo, pure espressa dal giudice monocratico, a seguito dell’esame della disposizione di cui all’invocato art. 18 del regolamento e del nuovo deliberato adottato in merito ad un più ampio utilizzo di parte della superficie comune”.
Letta la memoria di parte ricorrente, in replica alle conclusioni del pubblico ministero.
Considerato che il Collegio condivide la proposta di definizione contenuta nella requisitoria del pubblico ministero ex art. 380-ter cod. proc. civ.;
che, infatti, la materia del contendere dedotta in giudizio da parte attrice concerne, secondo la condivisibile ricostruzione operata dal Tribunale, le modalità di uso della cosa comune, ossia l’area condominiale oggetto di causa, in ordine alla quale si discute tra le parti se possa essere – o non – utilizzata per la collocazione di tavolini e sedie;
che, pertanto, va dichiarata la competenza del Giudice di pace di Ivrea;
che le spese del regolamento, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza;
che poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e dichiara la competenza del Giudice di pace di Ivrea. Condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese processuali sostenute dai resistenti, che liquida in complessivi Euro 900, di cui Euro 800 per compensi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
[1] Cass. ord. n. 21910 del 27.10.2015.
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