Infiltrazioni in appartamento: se il vicino di casa non apre la porta
Capita, e purtroppo spesso, nell’ambito dei condomìni, di registrare una mancanza di spirito collaborativo tra i condòmini, quando invece chi è più vicino dovrebbe essere sempre da sostegno e supporto. A inasprire i rapporti, poi, ci pensano le consuete infiltrazioni di acqua: in questi casi, l’accertamento delle responsabilità, il supporto di un tecnico di fiducia, il rifacimento delle pareti rovinate e la quantificazione del risarcimento portano i proprietari degli immobili a litigi che spesso trovano, come unica soluzione, il ricorso in tribunale.
Prima di questo momento, tuttavia, è bene procurarsi le prove delle proprie ragioni: e questo perché – sostiene la giurisprudenza – la consulenza tecnica d’ufficio (cosiddetta CTU) che il danneggiato chiede al giudice, non può avere una funzione esplorativa, ossia volta a dimostrare l’esistenza e la quantificazione del danno. Insomma, “aiutati che il CTU ti aiuta”, si potrebbe dire, parafrasando il comune detto popolare.
È bene innanzitutto ricercare l’origine del guasto. Perché, per affermare la responsabilità del vicino, è anche necessario che l’infiltrazione provenga dalla diramazione delle tubature che appartengono al proprietario dell’appartamento e non, invece, al condominio.
A riguardo, si può dire sinteticamente che le tubature verticali sono quelle di proprietà del condominio, mentre quelle orizzontali sono di proprietà esclusiva dei condomini (in quanto pertinenza dell’appartamento), così come a quest’ultimi spetta la proprietà delle relative braghe (ossia l’elemento di raccordo tra la tubatura orizzontale e la tubatura verticale).
L’individuazione del punto da cui proviene l’infiltrazione non è un’attività facile:
– sia perché richiede la collaborazione del vicino interessato,
– sia perché è necessario l’intervento di un tecnico specializzato (di norma l’idraulico) che sia di fiducia di entrambe le parti (diversamente si potrà provvedere con due diversi operai);
– sia perché spesso è necessario rompere la pavimentazione, con l’incertezza peraltro che la rottura non sempre identifica il punto esatto della tubatura interessata dal guasto; sicché potrebbe essere necessario sollevare una o più mattonelle prima di trovare la causa dell’infiltrazione.
Se si considera, poi, che i lavori vanno fatti nell’appartamento del condomino non danneggiato dall’umidità, è immaginabile la riluttanza con cui quest’ultimo affronti le spese conseguenti agli operai in casa.
Capita allora che, nelle schermaglie su chi sia il responsabile, il vicino si chiuda nelle proprie convinzioni e decida di non collaborare, non aprendo la porta al danneggiato e al suo idraulico. Come ci si comporta in casi del genere?
Il primo punto da tenere in considerazione è che nessuno può imporre al proprietario di un appartamento di aprire la propria a terzi. Salvo, ovviamente, un ordine del giudice. Ordine che, tuttavia, potrebbe richiedere del tempo (c’è invero la possibilità di un ricorso in via d’urgenza – per come a breve si dirà – che accorcia i tempi rispetto alle normali cause).
Neanche l’amministratore di condominio ha competenza in materia una volta appurato che la perdita non dipende da tubature condominiali. Infatti, egli non può decidere nelle questioni controverse tra condomini.
L’unico caso in cui l’amministratore deve intervenire è quando le perdite provengano dal lastrico solare (leggi “Infiltrazioni d’acqua, l’unico caso in cui l’amministratore deve intervenire“). Quindi non serve a nulla interessare l’amministratore e chiedere a questi di farsi aprire la porta, salvo che il responsabile riconosca nell’amministratore stesso un soggetto imparziale di cui fidarsi.
Non poche volte si tende a chiamare i vigili del fuoco, ma, salvo i casi in cui la perdita d’acqua possa procurare un danno all’incolumità degli altri condomini e alla stabilità dell’edificio, anche questo corpo “speciale” potrebbe dichiararsi incompetente.
Sorgono allora, per il danneggiato, due necessità:
– da un lato, la via – a questo punto obbligata – del giudice per ottenere l’ordine di accesso con un tecnico nominato dal tribunale. Si può procedere con un ricorso in via d’urgenza (in genere richiede dai due ai cinque mesi, a seconda del tribunale).
In tale sede si agisce per chiedere al giudice di ordinare al titolare dell’immobile di “aprire casa” e, dopo la perizia del tecnico, eventualmente condannarlo a ripristinare la rottura. Il risarcimento del danno, però, richiede il giudizio ordinario (di certo più lungo);
– dall’altro lato, prima di ciò, è necessario poter dimostrare l’intransigenza del vicino e il suo atteggiamento ostruzionistico. A tal fine è sufficiente una prova testimoniale e, in tal caso, quella dell’amministratore di condominio potrebbe essere più che sufficiente: egli dovrebbe, cioè, dichiarare, davanti al giudice, che il vicino non ha mai aperto la porta nonostante i numerosi tentativi e gli inviti anche telefonici.
La prova va comunque rafforzata dall’invio di una raccomandata a.r. con cui si chiede formalmente, al vicino di casa, un giorno in cui è disponibile per consentire l’accesso nel proprio immobile all’idraulico. Al posto della raccomandata, si può anche optare per un telegramma. È da escludere l’email o il bigliettino lasciato sotto la porta, che non hanno valore di prova documentale in un eventuale giudizio.
http://www.laleggepertutti.it/96193_inf … e-la-porta