Cari amici,
Sono state pubblicate le motivazione della sentenza che ha condannato i dirigenti di Google per violazione della privacy, a seguito della diffusione in rete di un filmato che riprendeva un minore disabile vessato dai compagni in una scuola di Torino.
Questa questione, a mio giudizio, è molto interessante, perchè è la prima volta che si ipotizza una responsabilità per chi fornisce un servizio tecnico.
In pratica è come condannare per omicidio l’ azienda che produce l’ arma da fuoco utilizzata dall’ assassino.
Ambedue le ipotesi sono realistiche, nella misura in cui decidiamo un comportamento che “deve” essere seguito.
Ma chi decide cosa deve essere pubblicato in internet?
Chi ha il potere di vietare?
Se passa il principio che Google potrebbe essere portata in giudizio per ogni pubblicazione che potesse essere considerata “non opportuna”, che cosa rimarrebbe della libertà di espressione?
Google, a mio giudizio, non può essere responsabile di come viene utilizzato il servizio che offre.
Sarebbe come condannare la Telecom perchè due malviventi si chiamano per organizzare una rapina.
….speriamo nel ricorso di Google.
Corriere della sera
MILANO – Non può esistere «la “sconfinata” prateria di Internet dove tutto è permesso e niente può essere vietato». A spiegarlo è il giudice di Milano, Oscar Magi, nelle motivazioni della sentenza con cuiil 24 febbraio scorso ha condannato tre dirigenti di Google, per violazione della privacy, in relazione ad un filmato che riprendeva un minore disabile vessato dai compagni in una scuola di Torino. Il filmato venne caricato nel maggio del 2006 e fu uno dei più cliccati della rete. Nelle 111 pagine di motivazioni, il giudice spiega ora che «esistono leggi che codificano comportamenti e che creano degli obblighi; obblighi che, ove non rispettati, conducono al riconoscimento di una penale responsabilità». Dunque, per il giudice monocratico della quarta sezione penale, «non esiste» la «sconfinata prateria di Internet (…) pena la scomunica mondiale del popolo del web».
«INEFFICACE L’INFORMATIVA SULLA PRIVACY»– Nelle motivazioni della sentenza di condanna dei tre dirigenti Google, il giudice Magi specifica inoltre che l’informativa sulla privacy «visualizzabile per l’utente dalla pagina iniziale del servizio Google Video» era «talmente nascosta nelle condizioni generali di contratto da risultare assolutamente inefficace per i fini previsti dalla legge». Non solo. Magi scrive anche che il reato di violazione della privacy non è stato commesso solo in Italia ma anche negli Stati Uniti.
Un frame del video incriminato |
«In particolare – si legge nelle motivazioni della sentenza – deve ritenersi che il reato in questione sia stato commesso sicuramente anche all’estero. Non vi è dubbio che perlomeno parte del trattamento dei dati immessi a Torino sia avvenuto fuori dall’Italia in particolare negli Usa, luogo dove hanno indubitabilmente sede i server (cioè le macchine che trattano e immagazzinano i dati) di proprietà di Google Inc».IL CASO – Il 24 febbraio scorso tre dirigenti di Google vennero condannati a sei mesi, con la sospensione condizionale della pena, per violazione della privacy, mentre vennero assolti dal reato contestato di diffamazione. Un quarto dirigente, accusato solo di diffamazione, venne assolto. Al centro del processo, c’era un video che mostrava un ragazzino disabile insultato e picchiato da alcuni compagni di scuola di un istituto tecnico di Torino. Il filmato venne realizzato dagli studenti nel maggio 2006 e da loro caricato su Google Video l’8 settembre, dove rimase cliccatissimo per circa due mesi. L’inchiesta a carico dei dirigenti di Google è stata coordinata dai pm di Milano Alfredo Robledo e Francesco Cajani. La condanna dei tre dirigenti era stata criticata duramente dall’ambasciata Usa a Roma, la quale aveva sostenuto che «il principio fondamentale della libertà di internet è vitale per le democrazie».