In bilico l’amministratore che non riscuote gli oneri
L’amministratore che non riscuote gli oneri condominiali dai condomini morosi non commette di per sé un atto di cattiva gestione se prova di avere notificato gli atti di precetto, anche se non ha intrapreso la procedura esecutiva.
Infatti, l’amministratore non incorre nella responsabilità da cattiva gestione se giustifica il non avere intrapreso la procedura esecutiva in virtù dell’incerta solvibilità dei condomini.
Lo ha chiarito la Cassazione che, con l’ordinanza 20100 del 2 settembre scorso, ha respinto il ricorso dei condomini che avevano accusato l’amministratore di cattiva gestione perché non aveva riscosso gli oneri condominiali posti a carico di altri condomini morosi.
In fase di merito, l’amministratore aveva dimostrato come fossero stati effettivamente notificati gli atti di precetto.
E la Corte d’appello aveva stabilito che la decisione di avviare o no una successiva fase di esecuzione forzata rientrerebbe nei poteri discrezionali dell’amministratore: il non avere intrapreso la procedura esecutiva – ha rilevato la Corte d’appello – è scelta che può giustificarsi sulla base della non sicura solvibilità dei condomini e, quindi, non integra in sé un fatto di cattiva gestione.
In pratica, quella che potrebbe apparire come cattiva gestione dell’amministratore, concretizzatasi nella mancata riscossione degli oneri condominiali dai proprietari morosi, è contraddetta dalla provata notificazione, a questi ultimi, degli atti di precetto.
Tra le incombenze dell’amministratore (articolo 1130, n. 3, del Codice civile) c’è, per l’appunto, il dovere di riscuotere i contributi necessari per sovvenzionare le spese di gestione. Inoltre, secondo il nuovo articolo 1129, comma 9, del Codice civile, introdotto, insieme a numerosi altri interventi sulla disciplina codicistica, dal 18 giugno scorso dalla riforma del condominio (legge 220/2012), l’amministratore ha l’obbligo di agire per la riscossione forzosa delle somme dovute dagli obbligati (salvo che sia stato espressamente dispensato dall’assemblea) entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio nel quale il credito esigibile è compreso, anche in base all’articolo 63, comma 1, delle disposizioni attuative del Codice civile.
Ancora, l’amministratore può essere revocato giudizialmente se, dopo avere promosso azione giudiziaria per la riscossione delle somme dovute dal condomino, abbia omesso di curare diligentemente l’azione e la conseguente azione esecutiva coattiva (articolo 1129, comma 12, n. 6, del Codice civile).
Resta da capire, anche alla luce dell’ordinanza citata, se l’amministratore che ometta di eseguire tali azioni perché consapevole dell’insolvibilità dei condomini, rischi, comunque, di essere revocato giudizialmente pur non essendo accusabile di cattiva gestione.
In linea di principio, qualora l’amministratore non si attivi, sarebbe responsabile nei confronti degli altri condomini per inadempimento e sarebbe passibile di revoca, anche perché la sua inattività potrebbe portare alla prescrizione breve quinquennale del credito prevista dall’articolo 2948, n. 4, del Codice civile (Cassazione, sentenza 12596/2002), tanto che i condomini sarebbero autorizzati ad agire per il recupero del credito ed, eventualmente, per ottenere il risarcimento del danno dall’amministratore.
Le nuove norme del Codice civile prevedono, inoltre, degli adempimenti correlati a quello di riscossione che, se non assolti, renderebbero l’amministratore passibile di revoca giudiziaria.
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