Il terrazzo (lastrico) condominiale si presume di tutti
Il lastrico solare di un edificio in condominio (quella parte che funge da copertura dell’immobile e che, comunemente, viene detta “terrazzo”) si presume sempre di proprietà comune a tutti i condomini. Salvo prova contraria. Tale prova deve necessariamente consistere in un titolo di proprietà che dimostri che l’esistenza di un diritto esclusivo in capo ad uno dei condomini.
Lo ha chiarito la Cassazione con una recente sentenza [1].
Dunque, è del tutto irrilevante la circostanza che al lastrico solare si possa accedere esclusivamente dalla proprietà privata di un unico soggetto. A maggior ragione se l’accesso avviene attraverso un appartamento appartenente ad un altro corpo di fabbrica. L’unico modo, dunque, per uscire dalla presunzione di comproprietà è esibire un certificato di proprietà.
In mancanza della dimostrazione di appartenenza del terrazzo al singolo condominio, nessuna rilevanza può essere data alla planimetria catastale allegata all’atto di proprietà dell’appartamento. Infatti, secondo la Suprema Corte [2], le planimetrie non hanno alcun valore quando gli immobili individuati non sono oggetto di compravendita ovvero quando essi non sono riportati nel contratto non essendo possibile fare riferimento a elementi estranei ad esso.
Se le parti intendono individuare i beni oggetto di una compravendita facendo riferimento ad una planimetria, è necessario che essa sia allegata all’atto, che sia sottoscritta dai contraenti e che sia espressamente indicata nel contratto come facente parte integrante del contenuto dello stesso.
La sentenza
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 24 marzo – 4 agosto 2015, n. 16367
Presidente Oddo – Relatore Falaschi
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 5 febbraio 1998 il Condominio di via F.T. n. 96 – Roma evocava, dinanzi al Tribunale di Roma, M.F. (condomina di via T. n. 102) per sentire accertare l’indebita annessione alla proprietà esclusiva della convenuta di una contigua porzione di lastrico solare condominiale della superficie di mq. 35,50, con conseguente emissione dell’ordine di immediato rilascio e con ripristino dell’originario stato dei luoghi illegittimamente alterato.
Instaurato il contraddittorio, nella resistenza della convenuta, intervenuta M.P.M., che spiegava domanda nei confronti della F., il giudice adito, dichiarato inammissibile l’intervento, respingeva la domanda attorea.
In virtù di rituale appello interposto dal medesimo Condominio, la Corte di appello di Roma, nella resistenza della appellata, accoglieva il gravame e in riforma della decisione di prime cure, condannava l’appellata alla restituzione della porzione di lastrico solare di proprietà del Condominio di via T. n. 96.
A sostegno della decisione adottata la corte territoriale – ritenuta sussistere autorizzazione dell’Amministratore a stare in giudizio, come da delibera assembleare del 23.9.1997 – evidenziava che il lastrico solare, per la sua funzione di assicurare la copertura dell’edificio, doveva considerarsi per presunzione di legge, ex art. 1117 c.c., ricompreso nel novero dei beni di proprietà condominiale, salvo prova contraria (derivante dagli atti di acquisto), che nella specie non era stata fornita, non risultando neanche dal regolamento condominiale una diversa proprietà dell’area. Aggiungeva che al riguardo nessuna rilevanza poteva essere riconosciuta al regolamento dei Condominio di via T. n. 102, cui apparteneva l’appartamento di proprietà della convenuta, trattandosi di un Condominio diverso; dei resto lo stesso atto di compravendita della convenuta segnava distintamente la separazione del bene di questa rispetto alla porzione di terrazzo appartenente all’edificio scala C dei civico 96 di via T.. Né alcuna incidenza poteva essere attribuita alla circostanza che al lastrico si accedesse esclusivamente dalla proprietà della F..
Avverso la indicata sentenza della Corte di appello di Roma ha proposto ricorso per cassazione la F., articolato su tre motivi, al quale ha resistito con controricorso il condominio. La ricorrente in prossimità della pubblica udienza ha depositato memoria illustrativa.
Motivi della decisione
Preliminarmente, e giusta il principio della c.d. “perpetuatio” dell’ufficio defensionale, di cui è espressione l’art. 85 c.p.c., va rilevato che nessuna efficacia può dispiegare nel processo di cassazione (peraltro caratterizzato da uno svolgimento per impulso d’ufficio) la sopravvenuta rinuncia alla procura, che uno dei difensori della parte ricorrente, l’Avv.to Vincenzo Taormina, ha comunicato il 30 gennaio 2012 (cfr. Cass. n.16121 dei 2009; Cass. n. 4944 del 1997 e Cass. SS.UU. n. 11303 del 1995).
Ciò posto, con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1117 c.c. in materia di parti comuni dell’edificio per avere la corte di merito fatto applicazione della presunzione di legge non conferente al caso di specie stante la esistenza di un atto pubblico di vendita che attesterebbe l’avvenuto trasferimento della proprietà del lastrico solare de quo. A conclusione del mezzo viene formulato il seguente quesito di diritto: “Dica la Suprema Corte se può essere applicata la presunzione di cui all’art. 1117 c.c. circa l’appartenenza del lastrico solare alle parti comuni dell’edificio in presenza di titolo contrario costituito da atto pubblico di compravendita e corredato da planimetrie catastali che qualificano il bene alienato come un unicum di proprietà esclusiva di un solo soggetto
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia insufficiente e contraddittoria motivazione con riferimento alla valutazione delle risultanze probatorie conseguente alla violazione dei diritto di proprietà della F. come accertato dall’atto pubblico di compravendita, per non essere il ragionamento seguito dal giudice di appello coerente con le risultanze istruttorie, non avendo tenuto conto, peraltro, che non esiste altro accesso al lastrico de quo se non dalla sua proprietà, nonché altre circostanze di fatto e documenti decisivi al fine della attribuzione della proprietà. I due motivi — da trattare congiuntamente per la loro evidente connessione argomentativa – non meritano accoglimento.
Costituisce un dato pacifico in causa che il lastrico solare per cui è controversia si trova ubicato in un blocco edilizio separato rispetto all’edificio in cui è sito l’appartamento della ricorrente e detta circostanza è stata adeguatamente valorizzata dalla corte distrettuale.
La figura del Condominio si caratterizza, secondo quanto risulta dall’art. 1117 c.c., per la presenza, in uno stesso edificio, di piani o porzioni di piani di proprietà individuale. La definizione normativa va riferita, pertanto, all’edificio che presenta tali caratteri, a cui va circoscritto il fenomeno della proprietà condominiale. Data questa premessa, risulta evidente che l’estensione della proprietà condominiale ad edifici separati ed autonomi rispetto all’edificio in cui ha sede il Condominio può essere giustificata soltanto in ragione di un titolo idoneo a far ricomprendere il relativo manufatto nella proprietà del Condominio medesimo.
Con ciò si vuoi dire che in tanto può ritenersi che del Condominio faccia parte anche il manufatto da esso separato e distinto, in quanto vi sia un titolo di proprietà che qualifichi espressamente tale bene come appartenente ad altro Condominio. La relazione tra l’uno e l’altro va pertanto cercata e dimostrata nel titolo di proprietà, vale a dire negli atti in cui, attraverso la vendita dei singoli appartamenti, il Condominio medesimo risulta costituito (in tal senso, Cass. n. 8012 del 2012).
Per contro, nessuna particolare rilevanza, a tal fine, può essere ascritta alla planimetria catastale di cui risulterebbe corredato l’atto di compravendita della ricorrente, atteso che essa avrebbe potuto essere giustificata soltanto in forza della dimostrazione dell’appartenenza di detta area al Condominio nel cui ambito è ricompreso l’appartamento di proprietà della F., proprietà esclusa dal giudice distrettuale anche in base alla interpretazione del rogito di compravendita intervenuto nel 1995 tra la M. e [a F., nel quale non vi è alcun riferimento alla porzione de qua (v. pag. 6 della sentenza impugnata).
Per completezza argomentativa va aggiunto che la presunzione di proprietà condominiale del lastrico solare di copertura avrebbe potuto essere vinta solo con la dimostrazione di un titolo di acquisto originario successivo alla venuta ad esistenza del lastrico medesimo ovvero di un titolo proveniente da colui che aveva costituito il Condominio resistente, contenente la prima alienazione di una porzione di esso a soggetti diversi dai proprietari delle singole unità immobiliari o, infine, proveniente in epoca successiva da tutti i condomini (in tal senso v. Cass. n. 1568 del 1999).
Per le ragioni suesposte il giudice dei gravame non ha riconosciuto – legittimamente – alcuna rilevanza alla circostanza che al lastrico de quo si acceda dalla sola proprietà della ricorrente, non meglio specificati gli ulteriori elementi fattuali e documentali che non sarebbero stati esaminati al fine dell’attribuzione della proprietà.
Il terzo ed ultimo motivo – con il quale la ricorrente denuncia la violazione delle norme nella ripartizione delle spese processuali — è inammissibile, per la mancata formulazione del quesito di diritto.
L’onere della formulazione del “quesito di diritto” a conclusione di ciascun motivo del ricorso per cassazione con il quale si denuncino i vizi di violazione di legge di cui all’art. 360, comma 1, nn.
1-4) c.p.c., nonché l’analogo onere di formulazione dei “momento di sintesi” a conclusione dei motivo di ricorso con il quale si denunciano vizi motivazionali della sentenza impugnata ex art. 360co 1 n. 5) c.p.c. (“chiara indicazione dei fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione”), sono prescritti a pena di inammissibilità dall’art. 366 bis c.p.c., norma che è stata introdotta dall’art. 6 del D.Igs 2.2.2006 n. 40 e che trova applicazione ai ricorsi proposti avverso sentenze e provvedimenti pubblicati a decorrere dal 2.3.2006 data di entrata in vigore dello stesso decreto e fino al 4.7.2009, data dalla quale opera la successiva abrogazione, disposta dall’art. 47co1 lett. d) Legge 18.6.2009 n. 69). La sentenza impugnata è stata depositata in data 3.9.2008 e dunque nella vigenza della predetta normativa.
In conclusione, il ricorso va rigettato, con la condanna della ricorrente alle spese, liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese dei giudizio di Cassazione, che liquida in complessivi €. 3.700,00, di cui €. 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie e agli accessori come per legge.
[1] Cass. sent. n. 16367/15 del 4.08.2015.[2] Cass., sent. n. 15929/2015; n. 21352/2014; n. 5028/2007; n. 1165/2000; n. 2900/1989.
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