Prosegue il pressing del governo per l’approvazione della riforma del condominio dopo la concessione della sede deliberante in commissione Giustizia del Senato. Mercoledì scorso in aula è intervenuto il sottosegretario alla Giustizia, Salvatore Mazzamuto, per ribadire che il testo approvato dalla Camera “rappresenta il massimo punto di mediazione realizzato” tra due diverse concezioni in materia. Una posizione condivisa dalla senatrice Elisabetta Alberti Casellati (Pdl), che propende per l’approvazione del Ddl senza modifiche rispetto al testo giunto da Montecitorio. Eppure questa strada non trova consensi unanimi in Commissione, come risulta dal resoconto. Il senatore Felice Casson (Pd), per esempio, ha invitato i relatori a ‘sondare’ la disponibilità dei colleghi della Camera ad accogliere eventuali ulteriori modifiche introdotte a Palazzo Madama. La Commissione dopo aver avviato l’esame del provvedimento in sede deliberante, ha fissato per martedì 6 novembre, alle 12, il termine per gli emendamenti.
La disciplina del patrimonio condominiale
Dopo le novità sulla figura dell’amministratore (Riforma del condominio, verso il debutto del super amministratore) facciamo il punto sulla nuova disciplina delle parti comuni con un approfondimento dell’avvocato Luigi Salciarini.
di Luigi Salciarini*
* avvocato, esperto di diritto condominiale, autore di monografie, articoli e saggi sulla materia.
Affrontando l’analisi del testo del progetto di legge – nella versione (Atto Senato n. 71-B) che, proveniente dalla Camera, è transitata da pochi giorni al Senato – secondo l’ordine che il medesimo ha adottato, e che è poi lo stesso che il Codice civile riporta, sarà affrontato, qui di seguito, un primo esame delle novità di più immediata evidenza, non mancando di collegarle con le certezze ormai acquisite dalla giurisprudenza condominiale. Il tentativo è quello di evidenziare la portata e le possibili conseguenze applicative delle prime, senza dimenticare che nessuna analisi teorica può mai arrivare alla profondità ed all’analiticità che l’attuazione concreta delle regole giuridiche è in grado di fornire. Sarà pertanto, e in ogni caso, l’applicazione pratica delle “nuove” norme (se riusciranno ad essere approvate in questo attuale “terzo passaggio” al Senato) che davvero ci consentirà di apprezzarne le caratteristiche e le eventuali qualità, nella consapevolezza che la relativa conoscenza, negli anni che verranno, sarà indispensabile per riuscire a comprendere appieno quale sarà davvero la veste del “nuovo” condominio.
Parti comuni dell’edifico – L’articolo 1117 del codice civile
Nel sistema condominiale, l’art. 1117 c.c. è quello che pone le regole per l’individuazione del “patrimonio” comune. La sua presenza all’interno della relativa disciplina è fondamentale in ragione del fatto che il condominio non si identifica, sic et simpliciter, con l’edificio, ma è costituito, più limitatamente, da una parte di esso. Di conseguenza, le norme applicabili alla fattispecie, rivolgendosi solo a questa (“minore”) parte del fabbricato, presuppongono, e devono presupporre, l’esatta identificazione del relativo contenuto, in modo che possa essere certo ciò che è incluso e ciò che è escluso dalla relativa applicazione.
In termini assai sintetici, l’art. 1117 c.c. contiene un elenco, non tassativo ma meramente esemplificativo, di “cose” che si presumono (iuris tantum) condominiali, con la conseguenza che un bene/impianto, pur non indicato in esso, può esser ugualmente qualificato come comune. Tale presunzione di condominialità può essere superata sia da un titolo contrario (contratto) che attribuisca diversamente la relativa titolarità, sia dalla destinazione oggettiva della “cosa”, che ben può essere non comune (perché destinata, appunto, ad uno solo dei partecipanti, o ad un loro “gruppo” ristretto).
È applicando tali regole che viene individuato il “patrimonio” condominiale, che di conseguenza va gestito e conservato, con attribuzione della potestà decisionale e dei relativi oneri ai (soli) soggetti interessati.
Relativamente a tale ambito, il testo di riforma appare comportare le seguenti novità:
– con riferimento ai “proprietari delle singole unità immobiliari” introduce la specificazione “anche se aventi diritto a godimento periodico”, con apparente implicito riferimento alle ipotesi della c.d. multiproprietà immobiliare (cfr. art. 69 e ss. del d.lgs. n. 206/2005, c.d. “Codice del consumo”, e succ. mod.). Di tale precisazione non si ravvisa la necessità in considerazione del fatto che, per pacifica giurisprudenza, certamente valida anche per il nuovo testo, le modalità di utilizzazione concreta del bene/impianto (attuate dal titolare in maniera periodica, o meno) sono irrilevanti per l’attribuzione della proprietà (per la quale conta solo la destinazione oggettiva);
– nel predetto elenco viene inserita la locuzione “i pilastri e le travi portanti”, indicazione che si rivela sostanzialmente superflua, stante la pacifica giurisprudenza sul punto (riguardante l’assodata condominialità della struttura dei c.d. “ritti e architravi”, analoga a quella, citata nel “vecchio” art. 1117 c.c., dei “muri maestri”). Va detto che, nella medesima prospettiva di precisazione, sarebbe stato apprezzabile un qualche riferimento testuale ai “balconi”, nel senso di escluderli, come ampia giurisprudenza impone, dal concetto di “facciata” (in tale norma pur ricompreso) e, quindi, dal novero delle parti comuni;
– al n. 2) viene ricompresa nell’elenco dei beni comuni l’ipotesi dei “sottotetti destinati, per le caratteristiche strutturali e funzionali, all’uso comune”. Anche in questo caso, si tratta di una riproduzione, praticamente pedissequa, di precisazioni ampiamente presenti nella giurisprudenza. Va rivelato che il riferimento alla destinazione oggettiva del bene, senz’altra specificazione, rimanda ogni soluzione delle controversie sulla titolarità del sottotetto all’accordo delle parti o, più spesso, all’intervento del Giudice (unico competente per il relativo accertamento di fatto), con inevitabile sostanziale immutazione (rilevante) quantità del contenzioso in materia.
– al n. 3) – paragrafo dedicato da sempre alle opere, installazioni e manufatti che nell’edificio forniscono utilità generale – vengono aggiunte alcune specificazioni (in primis, ricomprendendo nell’elenco delle cose che si presumono condominiali, gli impianti per il condizionamento dell’aria, quelli per la ricezione radiotelevisiva e per l’accesso a qualunque altro flusso informativo, anche satellitare) , e nel far ciò si ribadisce la prevalenza delle “normative di settore in materia di reti pubbliche”; in grado, queste ultime, di costituire unilateralmente vincoli sull’edificio aventi effetti analoghi alle servitù.
Ambito di applicabilità – L’articolo 1117 bis del codice civile
La norma è completamente nuova, pur tuttavia, rispetto alle prime stesure, esce molto ridimensionata dall’ultima approvazione da parte della Camera dei deputati.
Vengono, infatti, completamente eliminate le prescrizioni relative alla disapplicazione della normativa sulle distanze legali al condominio (fattispecie oggetto di un’accesa disputa in giurisprudenza) (cfr., sul punto e tra le tante conformi, Cass. n. 12520/2010, per la quale "in materia condominiale, le norme relative ai rapporti di vicinato… trovano applicazione rispetto alle singole unità immobiliari soltanto in quanto compatibili con la concreta struttura dell’edificio e con la particolare natura dei diritti e delle facoltà dei singoli proprietari") e sull’estensione delle regole dell’art. 1144 c.c. (tolleranza del possesso esclusivo sulla cosa comune).
Soprattutto nel caso delle “distanze”, un intervento legislativo sarebbe stato utile per fare chiarezza su una problematica assai spigolosa (peraltro, potenzialmente in conflitto con le facoltà di ampliamento delle proprietà esclusive concesse da recenti provvedimenti urbanistici), che mal si accorda con le particolarità del fenomeno condominiale, e perciò genera un frequente contenzioso.
Il testo dell’art. 1117 bis c.c., che residua dopo l’ultima approvazione, si limita a rendere applicabile l’art. 1117 c.c. al fenomeno del c.d. “supercondominio” (cfr., da ultima e per una pacifica interpretazione, Cass. n. 17332/2011 per la quale detta ipotesi si verifica quando “singoli edifici, costituiti in altrettanti condomini, abbiano in comune talune cose, impianti e servizi legati, attraverso la relazione di accessorio e principale, con gli edifici medesimi e per ciò appartenenti, «pro quota», ai proprietari delle singole unità immobiliari comprese nei diversi fabbricati”), non aggiungendo nulla di sostanziale rispetto ai risultati già acquisiti dalla giurisprudenza.
Modificazioni della destinazione d’uso – L’articolo 1117 ter del codice civile
Altra completa novità è costituita dal ter del 1117 che consente a maggioranza la modificazione della destinazione d’uso delle “cose” condominiali. Va subito rilevato che, a priva vista, la norma sembra riprodurre i risultati che la giurisprudenza ha acquisito in ordine al fenomeno delle “innovazioni” (già disciplinato dagli artt. 1120 e 1121 c.c.) e per la quale è innovazione non solo l’ “opera nuova” ma anche il “mutamento della destinazione originaria” del bene (cfr. Cass. n. 11936/1999).
Il tutto, a meno che non si sia voluto andare oltre a tali già acquisite interpretazioni, ed ammettere che è lecito stabilire che un bene/impianto comune possa essere “trasformato” fino a consentirne un uso completamente estraneo rispetto alla sua originaria destinazione oggettiva e strutturale.
La maggioranza prevista (quattro quinti del valore dell’edificio, cioè, 800/1000, oltre ad identica quantità di “teste”), tanto elevata da apparire probabilmente “proibitiva” (quanto meno rispetto alle “presenze” ottenibili solitamente in assemblea), sembra deporre per quest’ultima ipotesi. Nel concreto, la rilevanza di tale maggioranza rispetto a quella prevista per le innovazioni (666,6/1000), appare rivelare la volontà del legislatore di prevedere un’ipotesi di ben maggiore portata.
La norma contiene ulteriori prescrizioni in ordine alla convocazione ed alla deliberazione dell’assemblea interessata da siffatta decisione “innovativa”, nonché la previsione del divieto di “modificazioni” che pregiudichino la sicurezza, la stabilità e/o il decoro del fabbricato. Il tutto già ampiamente presente nella giurisprudenza in argomento.
Tutela delle destinazioni d’uso – L’articolo 1117 quater del codice civile
La norma, anch’essa di nuova introduzione, è collegata con il precedente ter, e, stimando illegittime le attività dannose e/o pregiudizievoli sulla destinazione d’uso delle parti comuni, ne consente una tutela, azionabile dal singolo o dall’amministratore, tramite la convocazione dell’assemblea condominiale, al fine dell’adozione di una deliberazione inerente alla proposizione di un’eventuale azione giudiziaria a difesa degli interessi condominiali.
Nulla viene detto in ordine a particolari destinazioni d’uso eventualmente previste vincolativamente nel regolamento di condominio, per la tutela delle quali, l’amministratore non dovrebbe aver bisogno di apposita autorizzazione, stante le facoltà attribuitegli dalla legge (artt. 1130 e 1131 c.c.; nella precedente e nella nuova versione).
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