Tremonti: la stabilità del posto fisso è un valore
Cari amici,
Giulio Tremonti è un economista che mi piace sempre di più, ed è quasi un anomalia tra i politicanti che ci governano.
Ormai il posto fisso è diventato una rarità, per chi riesce a mantenerlo!
Ci stiamo costruendo un mondo triste, dove la gente occuperà il suo tempo a lavorare e a consumare in fretta.
Il “tempo” diventerà sempre più scarso, e sarà venduto a caro prezzo.
Mi chiedo però se stiamo ponendo il problema del “posto fisso” in modo adeguato per capirlo in tutta la sua portata.
Infatti è bene rilevare che la gente, in realtà, non cerca veramente un “posto per lavorare”, ma bensì chiede il diritto di vivere, ……ossia un valore finanziario mensile sufficiente per avere il permesso di vivere decentemente.
Il vero problema non è il “lavoro”, ma bensì il “valore del lavoro”.
Fino a che non si stabilirà per legge il differenziale consentito tra il reddito “minimo” e il reddito “massimo” attribuibile alle persone, mi sembra evidente che tutti saranno oppressi dal problema di guadagnare sempre di più, e, pertanto, non si riuscirà a vedere “oltre” la consistenza del proprio portafoglio.
Mi sembra evidente che è necessario trovare una logica alternativa al “profitto”, perchè è per questo motivo che la gente guarda la realtà e la natura in modo “distorto”, distruggendo tutto ciò che incontra sul suo cammino, purchè sia “conveniente”.
La visione finanziaria totalizzante che ci condiziona, sta uccidendo la nostra società, la nostra cultura, e alla lunga provocherà perdite economiche insostenibili.
Il cosiddetto “posto fisso” non è una soluzione ai problemi che abbiamo, ma bensì è una relazione che ci fa vedere quanto la cosiddetta “flessibilità” del lavoro sia una condanna per le nostre comunità residenziali, le quali si stanno disgregando sotto i nostri occhi senza che nessuno abbia il coraggio di ribellarsi.
A questo riguardo, Piero Bevilacqua scrive….
- Flessibilità. Con quale facilità si ripete questa parola come in un monotono rosario.
- Eppure a pronunciarla, spesso, non sono uomini malvagi.
- Alcuni di essi, anzi, sono persone pie, sono soliti andare in Chiesa, nella loro cultura è presente il rispetto per gli altri.
- E tuttavia nessuno di essi sembra accorgersi dell’ infamia semantica racchiusa nella parola flessibilità, dell’ umana mortificazione e sofferenza cui essa rinvia.
- La si usa come un sinonimo di prestazione atletica.
- Ma flessibile è la molla, l’ elastico, i dispositivi tecnici inventati dall’ uomo per le applicazioni industriali.
- Per quale suprema ragione gli uomini devono diventare elastici, saltare da un lavoro all’ altro, cambiare continuamente testa, posizioni di corpo, abilità delle mani, attitudini, prestazioni, orari, ambiente, relazioni sociali?
- Le persone devono correre dietro al lavoro?
- E’ questo mondo alla rovescia l’ avvenire delle società industriali, il “futuro”, come ci ripetono in coro e pomposamente tutti gli esperti che affollano le nostre giornate?
- Certo, si tratta di un fenomeno di “falsa coscienza”, come avrebbe detto Marx.
- Costoro perorano con passione la ricetta della flessibilità perchè non tocca a loro preparare il pasto.
- Ad essi spetta solo il privilegio di mangiarlo.
- Ma qualcuno deve pur ricordare, a chi detiene i centri di comando, e a tutti i teatranti al loro servizio, che stanno scavando negli ultimi arsenali del consenso, stanno assottigliando in modo pericoloso i fondamenti storici dell’ intero edificio.
Il sole 24 ore
Posto fisso o mobilità? Per il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, intervenuto oggi a un convegno organizzato dalla Bpm, nella nostra società la stabilità del posto di lavoro è un valore da difendere: «Non credo che la mobilità di per sè sia un valore -ha chiarito Tremonti- penso che in strutture sociali come la nostra il posto fisso sia la base su cui organizzare il tuo progetto di vita e la famiglia. La variabilità del posto di lavoro, l’incertezza, la mutabilità – ha aggiunto il ministro – per alcuni sono un valore in sè, per me onestamente no».
Serve più compartecipazione. «Credo che in questo Paese ci sia meno bisogno di cogestione e più bisogno di compartecipazione», ha detto anche Tremonti. “Non credo – ha aggiunto – che in Italia ci sia spazio per replicare tale e quale la modellistica di altri Paesi», mentre è importante un modello che permetta di avere «più informazioni sulla gestione». Nella coppia cogestione-compartecipazione Tremonti vede quindi «più spazio, più logica e più enfasi sulla compartecipazione», che «può avere forme diverse».
La Costituzione è sempre valida, ma non viene ancora applicata pienamente. Sulla Costituzione, Tremonti ha detto che è «ancora molto valida per la parte dei principi» e che un ritorno allo spirito originario può portare «a concrete e non poco remote applicazioni». «Nella nostra Costituzione – ha argomentato il ministro – che considero ancora molto valida per la parte dei principi, c’è il confronto tra le tre diverse culture chiave che animarono lo spirito di quel tempo: quella cattolica, quella comunista e quella liberale». Tremonti ha poi indicato l’articolo sulla «proprietà industriale» come «la sintesi delle tre diverse visioni».
Il ministro ha proseguito spiegando che «a parte alcuni passaggi che possono sembrare un po’ ingenui, come quando si parla ancora di carbone, ce n’è uno fondamentale, ossia che la repubblica tutela e regola il risparmio e favorisce l’accesso alla proprietà dell’azionariato popolare dei grandi complessi produttivi del Paese».
L’evoluzione delle cose, secondo Tremonti, ha fatto sì che «la Costituzione non sia stata pienamente applicata» in quanto «c’è stata una rotazione rispetto ai principi formulati allora che ha portato ad un grande favore per i titoli di debito sfavorendo quelli di proprietà». Un fatto che ha portato al «controllo del sistema bancario sulla grande proprietà industriale». Il ministro ha concluso il suo ragionamento affermando che «un ritorno alla Costituzione attraverso queste riflessioni ci può portare a concrete e non poco remote applicazioni».