Delibera condominiale nulla: i diritti dei terzi non sono pregiudicati
Condominio: i terzi in buona fede, che hanno acquisito diritti in seguito a una delibera dell’assemblea poi dichiarata nulla dal giudice, non perdono alcuna delle loro garanzie derivanti da quel rapporto.
È quanto precisato da una recente pronuncia della Cassazione [1] che, in questo modo, non fa che estendere ai condomini una regola dettata, dal codice civile, con riferimento solo alle assemblee delle società per azioni [2].
Quali sono gli effetti pratici di questa pronuncia? “Mai dire mai” in condominio, dove qualsiasi decisione potrebbe sempre essere messa in discussione da un proprietario che, impugnata la decisione assembleare, rimetta le carte in gioco.
Ma fino a dove si può tornare indietro? In generale – dice la Cassazione – non si può decidere della sorte dei diritti di terzi ormai acquisiti in buona fede. Facciamo un esempio per comprendere meglio di cosa stiamo parlando.
Supponiamo che l’amministratore affidi l’incarico per alcuni lavori di manutenzione a una ditta, firmando il relativo contratto; successivamente, uno dei condomini si fa avanti e impugna tale decisione dell’assemblea.
Dopo anni di causa il giudice gli dà definitivamente ragione, annullando la delibera. Ma, nel frattempo, l’azienda incaricata ha già ultimato i lavori per i quali, giustamente, ora esige il pagamento.
Ebbene: qual è la sorte del rapporto che legava il condominio all’impresa edile? Di primo impatto si potrebbe dire che esso viene annullato insieme alla decisione dell’assemblea. E che, quindi, l’impresa non possa pretendere più alcun pagamento.
E invece non è così. Secondo i giudici, in questi casi, si applica la norma (dettata in materia societaria, ma pacificamente applicabile per analogia anche in materia condominiale [3]) secondo cui: qualora venga pronunciata una sentenza che renda invalida una delibera del condominio, vengono fatti salvi i diritti acquistati, in buona fede, dai terzi in base ad atti compiuti in esecuzione della delibera stessa.
Dunque, nell’esempio fatto poc’anzi, il terzo, creditore del condominio, potrà pretendere il pagamento delle proprie spettanze e procedere, anche, al pignoramento.
Ma quando si può dire che il creditore sia in buona fede? Se dovessimo dire che è in mala fede il terzo (creditore) al corrente dell’impugnazione della delibera dell’assemblea, sarebbe difficilissimo individuare un soggetto “in buona fede”.
È verosimile, infatti, che la notizia dell’impugnazione della delibera venga comunicata immediatamente nei confronti di chi pretende un pagamento. Ma non è questo il ragionamento corretto.
Secondo infatti la Cassazione, lo stato di “buona” o “cattiva” fede va verificato in un momento anteriore: ossia prima della firma del contratto. Pertanto se il creditore, pur consapevole che la delibera sulla scorta della quale sta ricevendo l’incarico è impugnabile perché viziata, allora non potrà mai pretendere alcunché.
Diversamente, se in quel (primitivo) momento egli non poteva essere al corrente delle cause di invalidità della decisione, va considerato “in buona fede” e, pertanto, il suo contratto resiste anche ad eventuali sentenze di annullamento.
[1] Cass. sent. n. 16695/14 del 24.07.2014. [2] Art. 2377 cod. civ. [3] Art. 2377, comma 7 cod. civ. Cfr. Cass. sent. n. 2999/2010.http://www.laleggepertutti.it/54124_del … eVyo9.dpuf