Studi di settore, per la Cgia
non “congruo” uno su tre
Cari amici,
L’ esistenza dell’ istituto fiscale chiamato “studi di settore” è sintomo di come a volte la ragionevolezza venga deliberatamente oscurata ai nostri danni da chi ha il potere di fare le leggi!
A un certo punto chi governa “immagina” che l’ economia si deve adeguare a “classi” omogenee di contribuenti, e allora prende carta e penna e comincia a fantasticare su come “dovrebbe” essere il guadagno di chi gestisce un’ azienda che possiede determinate caratteristiche.
Da ciò consegue che i piccoli artigiani e commercianti si ritrovano rinchiusi anche senza volerlo in “gruppi” omogenei, chiamati tecnicamente in lingua inglese “Cluster”, i quali a giudizio del fisco “dovrebbero” guadagnare almeno un certo valore comune minimo tassabile, perchè le loro organizzazioni, casualmente, si ritrovano con alcune caratteristiche comuni che potrebbero avere delle correlazioni.
In pratica, a giudizio del fisco, se io avessi la stessa altezza di Paolo Rossi, per questo motivo dovrei essere bravissimo a recitare, e la domanda conseguente che mi dovrei porre è: Perchè non faccio l’ attore comico se non sono alto come Paolo Rossi?
Il fatto che Paolo Rossi sia “alto” più o meno come Berlusconi allarga il ragionamento eccessivamente, …pertanto non divaghiamo!
Questa similitudine, per chi non sa nulla di materie fiscali può sembrare assurda, ma è esattamente la logica usata per costruire la legge sugli studi di settore!
Se fosse materia compresa nell’ istituto del referendum, sarebbe opportuno proporlo per cercare di abolire questa norma assurda, ingiusta, illogica, inopportuna e incostituzionale.
Se volessimo davvero andare a caccia di evasori, allora dovremmo obbligare i contribuenti a dichiarare le manifestazioni di reddito (Le macchine, le case di proprietà con indicazione del finanziamento in corso, i titoli finanziari, i conti correnti…etc…etc…) e calcolare su questi dati la correlazione conseguente con le imposte versate!
La soluzione per trovare gli evasori italiani sarebbe pertanto semplice, se i nostri governanti volessero veramente trovarla!
Il fatto è che noi italiani ci raccontiamo addosso così tante frottole che non siamo più abituati a pensare in modo razionale, e così prendiamo per “logico” qualunque pazzia che esca da una mente “malata”, purchè sia detta alla televisione e con l’ “autorevolezza” di una legge dello stato.
Pertanto becchiamoci gli studi di settore anche quest’ anno!!
La Repubblica
ROMA – I correttivi anticrisi già introdotti per gli studi di settore non bastano. Le difficoltà dalla congiuntura sono state ancora più forti e per l’anno di imposta 2008 un contribuente su tre rischia di non essere congruo e non adeguato con gli studi di settore. Vale a dire non rispetta quanto richiesto dall’Amministrazione finanziaria in termini di ricavi e conseguentemente di tasse da versare all’Erario. Lo stima la Cgia di Mestre, rilevando che pertanto, su una platea di circa 3.700.000 partite Iva che sono interessate dagli studi di settore, circa 1 milione e 200 mila attività non risultano essere in linea con le pretese del fisco.
Dalla Cgia ricordano che per l’anno di imposta 2007 i non congrui e non adeguati erano circa uno su 4, precisamente il 26,3% contro il 33,5% che si ipotizza si registrerà nel 2008. Secondo il segretario della Cgia di Mestre Giuseppe Bortolussi, l’aumento della percentuale di coloro che potrebbero aver dichiarato al fisco meno del previsto si spiega solo con la crisi economica. “E’ il frutto della congiuntura in atto”, afferma, invitando “tutti coloro che sono vittime della crisi a non adeguarsi a quegli studi che hanno pretese non giustificabili dopo il peggioramento del quadro economico avvenuto nell’ultimo anno”. Infatti, nel caso il contenzioso finisca presso la Commissione tributaria sarà l’Agenzia delle Entrate, e non più il contribuente, a dover dimostrare l’esistenza di maggiori ricavi non dichiarati.
“Le stime che abbiamo elaborato per l’anno di imposta 2008 – prosegue Bortolussi – ci dicono che molti operatori economici hanno subito delle ripercussioni economiche durissime e nonostante le modifiche, gli accorgimenti e i correttivi anti crisi introdotti negli ultimi mesi dall’Amministrazione finanziaria, questo strumento non è ancora in grado di fotografare con obbiettività la situazione economica che grava sul Paese. Con la conseguenza che a molti autonomi si chiede di pagare di più rispetto all’anno scorso su incassi presunti che non corrispondono alla realtà”.
“Sia chiaro – aggiunge – il ministro Tremonti non ha nessuna responsabilità. Ha ereditato una situazione molto compromessa e sta tentando con determinazione di recuperare. Per il 2009, ad esempio, l’Agenzia delle Entrate ha ribadito con forza come gli studi di settore siano solo uno dei parametri su cui si baserà il lavoro di accertamento fiscale”. Se prima, infatti, la non congruità poteva potenzialmente far scattare un accertamento con adesione da parte del fisco – precisa la Cgia – oggi il non adeguamento non lo avvia più con certezza.